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Primarie Pd, questa non è politica: sinistra geneticamente modificata

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Logo EditorialeMa questa non è politica. È qualcosa che nulla ha a che vedere con la partecipazione, la democrazia, la passionalità dei grandi ideali. Niente di tutto questo. Il patrimonio storico dei valori e delle battaglie della sinistra biancavillese non può essere ritenuto un’eredità di Glorioso e della stracciatella di lombardiani, democristiani, arrampicatori e fratellastri d’Italia che tale sindaco ha montato a sostegno di Andrea Orlando. Non c’entra la politica. È soltanto una questione di “amicizia”, come giustamente ha puntualizzato lo stesso Glorioso nel suo post alla Nazione per questo 1° Maggio lontano anni luce da Portella della ginestra. Un’amicizia interessatissima, sia ben inteso. Non sentimentale.

Le Primarie del Pd, a Biancavilla, hanno visto la mobilitazione non di un partito ma di tutti i politicanti, di ogni colore, che avevano esigenza di misurarsela col righello, sfruttando il campo di battaglia tra Renzi, Orlando ed Emiliano.

Nella sfilata dei 1120 votanti che hanno varcato la segreteria del Pd (in quella sede aperta con il contributo di 500mila lire dell’allora segretario regionale dei Ds, Claudio Fava), una grossa fetta (alcuni stessi esponenti Dem la quantificano in oltre il 30%) non avrebbe nulla a che vedere con il partito. Su 300 tesserati, soltanto la metà –ci viene confidato– ha votato. Ma al di là dei numeri, il bello di un paese come il nostro è che ci conosciamo tutti e non c’è bisogno di approfondite radiografie per andare all’ossatura della vera questione.

Glorioso ha fatto i salti mortali per mobilitare l’universo. Chi doveva dargli “conto” è stato gentilmente “invitato” a recarsi al voto. Così, ecco entrare nella sede Pd i lombardiani di Pippo Calaciura, democratici osservanti cristiani di santa messa domenicale. E poi una folla di dipendenti comunali, categoria sempre sensibile ai richiami della foresta di chiunque sieda sulla poltrona principale del Palazzo. Il mondo dell’associazionismo che ha a che fare con l’amministrazione comunale. Consulenti, incaricati, addetti, esperti del nulla vari, ex assessori. Quindi la discepolanza istituzionale: presidente del Consiglio e la quasi totalità dei consiglieri di maggioranza. Persino Fratelli d’Italia avrebbe dato una mano a Glorioso a portare voti, in virtù di quella vecchia “amicizia” (appunto, “amicizia”, non politica) con Mario Cantarella. Proprio vero: il primo inciucio non si scorda mai.

Tutti a remare per Orlando. Eppure, nonostante la mobilitazione delle falde acquifere e la risuscitazione dei Lazzari della politica biancavillana, colui che è primo cittadino (ancora un ultimissimo anno, ragazzi, e poi torna il 25 aprile) si vanta in pubblico (per poi, comprensibilmente, piangere di nascosto) di avergli racimolato il 37% dei consensi assieme a un gruppo di “amici” (aridaje!). Un risultato modestissimo rispetto all’esercito che è stato mosso.

Per quel concetto del righello di cui sopra, Giuseppe Furnari & C. hanno convogliato i voti su Emiliano: 12%. Per la serie: «È vivo, è vivo e lotta insieme a noi».

Renzi ha superato il 51% (ma va?), spinto innanzitutto dal quadrifoglio Salvà-Pappalardo-Mignemi-La Delfa. Un intonaco pronto di qualità Muracel. Pronto ad avere il ruolo di protagonista e ad andare oltre i confini politici. Loro lo sanno fare bene, lo hanno sempre fatto. E infatti, anche in questa competizione non hanno disdegnato il contributo azzurro che qualche porzione di Forza Italia ha voluto conferire.

Insomma, sì, dal Centrodestra biancavillese c’è chi ha partecipato con vigore a queste Primarie del Pd. Prove di geometrie inciuciste, forse mai messe di lato? Non sappiamo se anche preti, catechisti e chierichetti si siano adoperati in qualche modo. Per il resto, una folla variopinta. Facce di ferventi di sinistra, nessuna. Alpinisti della politica, tanti.

D’altra parte, lo ripetiamo da anni: a Biancavilla la storia della sinistra ha avuto un inizio e una fine. L’avventura cominciò con Alfio Bruno, brillante sindaco defeliciano di inizio ‘900, e fini con Pietro Manna, il primo ad essere eletto dai cittadini e ad avere archiviato la Prima Repubblica. Ciò che è venuto dopo la Cosa e la Cosa 2 è tutt’altra cosa. Glorioso? La sinistra geneticamente modificata. Un alieno senza forma né identità. La politica ridotta a perversione.

Ecco perché ci resta soltanto una richiesta. Dalla sede del Pd, potete gentilmente togliere il ritratto di Enrico Berlinguer e la riproduzione del “Quarto Stato”? Evitateci almeno l’oltraggio, la blasfemia, le bestemmie. Contiamo nella vostra sensibilità.

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© RIPRODUZIONE RISERVATA

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2 Commenti

2 Commenti

  1. Alba

    10 Maggio 2017 at 15:49

    I cittadini biancavillesi si lamentano che di tutto e di più per un paese nel totale abbandono delle istituzioni..eppure li votano perché bo???? Chi ha votato alle primarie e solo ai fini del tornaconto personale…infatti vi sono persone che sono li da più di vent’anni…e’ la foto sottostante a fatto quadrato cioè la politica non esiste come non esistono più le ideologie di partito…ma esistono le fratellanze della grande ammucchiata..

  2. Kevin

    10 Maggio 2017 at 12:24

    Voti di scambio a non finire

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Editoriali

Nel Consiglio del 15-1, l’opposizione va garantita (anche) tramite… una firma

Ma i numeri impietosi non siano un alibi di inconcludenza: la democrazia cittadina non è in pericolo

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© Foto Biancavilla Oggi

La nuova geografia consiliare di Biancavilla, tracciata dopo l’esito plebiscitario a favore di Antonio Bonanno, ha una mappa senza precedenti: 15 componenti alla maggioranza e soltanto 1 alla minoranza. Un quadro sbilanciato, evidentemente. Ma non è il frutto di un golpe. È il risultato democratico determinato da regole e meccanismi democratici, sulla base del voto popolare, espresso peraltro con un’affluenza superiore al 63%.

Al di là della volontà – fin troppo chiara – manifestata dai biancavillesi, va riconosciuto che il nuovo assetto dell’assemblea cittadina, convocata oggi, alle ore 20.30, per l’insediamento, fa emergere conseguenze pratiche e necessità operative che mai prima d’ora si erano verificate. Necessità, nella dialettica e nelle dinamiche consiliari, a cui vanno date risposte immediate.

Un esempio? Per presentare una mozione, il regolamento prevede che l’atto, se si vuole mettere in discussione, debba essere firmato da almeno due consiglieri comunali. Ne deriva che l’attuale minoranza sarà oggettivamente impedita a poterlo fare. Certo, una mozione dà un indirizzo all’amministrazione comunale, ma non pone alcun vincolo: spesso ha solo un valore simbolico o di mera testimonianza.

Non a caso, la prassi, nelle sei consiliature, è che il 99% delle mozioni – anche quelle approvate all’unanimità – siano state poi disattese dalla Giunta e dal sindaco di turno. All’epoca di Pietro Manna, tutti i consiglieri votarono una proposta di Nicola Tomasello e Vincenzo Cantarella per dare la cittadinanza onoraria a Rita Levi Montalcini. L’amministrazione se ne infischiò dell’illustre scienziata Premio Nobel. Stessa sorte, più recente, per la proposta di Alfio Distefano e Dino Asero tesa ad intitolare una via a Peppino Impastato: nonostante l’atto sia passato all’unanimità, nella toponomastica non c’è menzione del militante di Democrazia Proletaria, morto ammazzato per mano mafiosa.

Se è vero che il tenore delle mozioni trattate nell’ultimo quinquennio abbia avuto un livello elementare imbarazzante (inferiore alle discussioni del baby-Consiglio), è innegabile che si tratti di uno strumento utile. Se ben usato, può innescare la discussione in aula, denunciare e dibattere questioni di ampio interesse, porre tematiche all’attenzione dell’opinione pubblica, indicare soluzioni e suggerire un indirizzo (a prescindere dall’effettiva ricezione dell’organo esecutivo).

Una funzione di cui il Partito Democratico, in questo Consiglio Comunale, risulta privato di fatto. Stesso “impedimento” varrebbe in linea teorica per altre due forze mono-rappresentate: Movimento per l’Autonomia e “Noi per Biancavilla”. Ma loro stanno nella comfort zone della coalizione di governo, mentre l’esigenza impellente – lo si comprende facilmente – riguarda la minoranza, dunque il Pd.

Come risolvere questo vuoto? Una maggioranza bulgara, come quella attuale, deve avvertire l’opportunità di mettere mano al regolamento per consentire proposte a firma singola. Nell’attesa della modifica, la coalizione di Bonanno può dare dimostrazione di maturità istituzionale, “prestando” una firma in bianco al consigliere solitario del Pd affinché gli sia consentita la trattazione dell’atto. Resta inteso che poi può essere emendato o anche respinto. Ma la discussione dev’essere garantita. Ebbene sì, il rispetto della minoranza passa anche attraverso… una firma.

Un simile gesto avrebbe più valore di affidare all’opposizione – per garbo istituzionale, secondo le intenzioni del sindaco Bonanno – la vicepresidenza del Consiglio. Una carica inutile sul piano operativo, che non attribuisce alcuna prerogativa supplementare. Un ruolo che entra in esercizio solo quando il presidente è impedito da una febbre autunnale o si allontana dall’aula per andare a fare pipì.

Detto questo – lo sottolineiamo con altrettanta chiarezza – non vediamo pericoli per la democrazia cittadina. Il palazzo comunale, per sua natura, è il luogo più trasparente, nel quale risulta impossibile nascondere o camuffare alcunché. E poi, è facile e fisiologico prevedere, in una maggioranza così larga, la creazione di una “opposizione” intestina.

Non impressioni più di tanto, quindi, la sproporizione del 15-1. D’altra parte, il precedente Consiglio Comunale era partito con ben 5 oppositori, poi ridotti a 3. Ma sono stati gli oppositori più muti e assenti di sempre, al punto da non presentare nemmeno emendamenti al bilancio, che costituiscono l’abc dell’attività consiliare. Un’imperdonabile e scandalosa violazione del patto “sacro” con i propri elettori per un “mandato di opposizione” non esercitato nell’ultima consiliatura (a parte qualche lampo nella fase finale).

Non si usino, perciò, i numeri come alibi di eventuale inconcludenza: dai banchi della destra, a contrapporsi alla prima Giunta Manna, c’era solo Vincenzo Randazzo (oggi diventato assessore), il quale dava filo da torcere con puntuale capacità e martellante presenza, nonostante lo strapotere dell’allora primo cittadino.

Il Pd biancavillese deve, quindi, dimostrare di essere all’altezza del difficilissimo lavoro d’aula, come a parti inverse faceva Alleanza Nazionale quasi trent’anni fa. Ma è bene specificare che il suo vero problema è visceralmente e drammaticamente sociale, prima ancora che politico. È una forza che – fuori dal Palazzo – è chiamata ad una profonda rifondazione per ritrovare l’identità perduta, rimediare alle umiliazioni patite, riconnettersi all’elettorato progressista ed uscire dall’irrilevanza in cui è ridotta (da anni, non da ora). Perché, altrimenti, il passo successivo è l’estinzione.

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