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Cronaca

«O lavori così oppure te ne vai»: albergatori accusati di estorsione

Una coppia che gestiva un hotel nel centro di Catania a processo, dopo la denuncia di una biancavillese

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di VITTORIO FIORENZA

Impiegata come addetta alle pulizie delle camere, ma trattata come una Cenerentola. Per quasi due anni ha lavorato senza regolare contratto in un piccolo hotel del centro storico di Catania.

Pensava che i desideri di stabilizzazione, prima o dopo, potessero avverarsi. Invece, quando ha cominciato a lamentare le condizioni di lavoro e a pretendere il riconoscimento dei propri diritti, i titolari si sarebbero rivoltati con toni non appropriati: «O ti sta bene così oppure puoi uscire da quella porta, in tua sostituzione ne troveremo a decine».

La lavoratrice, una 47enne di Biancavilla, in effetti ha varcato “quella porta”, ma è andata dritta a presentare denuncia, assistita dall’avv. Pilar Castiglia.

La giovane coppia che gestiva l’albergo si ritrova adesso sotto processo per estorsione ai danni della ormai ex dipendente. Ebbene sì: il reato è quello di estorsione, secondo una linea giurisprudenziale a cui il Tribunale di Catania negli anni si è allineato. In sostanza, approfittare di una persona, facendo leva sullo stato di bisogno e di debolezza per ottenerne lavoro malpagato, è da considerare alla stregua di una richiesta di “pizzo”.

Non solo: la donna, come scrive il pubblico ministero, Assunta Musella, sarebbe stata anche minacciata. «Minacce –viene specificato– consistite nel prospettare che se non avesse accettato le condizioni di lavoro imposte sarebbe stata licenziata e sostituita da altra persona, al punto da costringere la predetta ad accettare condizioni di lavoro umilianti nonché emolumenti inferiori a quelli previsti per legge». Il processo si è aperto ieri presso la prima sezione penale del Tribunale. L’udienza è stata rinviata a settembre.

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Cronaca

Fuochi d’artificio e rombi di motori per l’ultimo saluto ad Antonio Andolfi

Funerali nella chiesa del “Santissimo Salvatore” per il giovane ucciso nelle campagne di Centuripe

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Fuochi d’artificio fuori dall’abitazione di Spartiviale, all’ingresso della chiesa del “Santissimo Salvatore” e al cimitero. Un corteo con moto e scooter lungo le strade del centro storico. Clacson e rombo di motori. Striscioni e palloncini. Applausi e lacrime.

Così è avvenuto l’ultimo saluto ad Antonio Andolfi, il giovane biancavillese di 20 anni ucciso con un colpo di pistola, durante un inseguimento, nelle campagne di Centuripe.

I funerali li ha celebrati il parroco don Salvatore Verzì. All’interno della chiesa di viale Europa, silenzio e raccoglimento, attorno alla bara bianca.

«Bisogna alzare lo sguardo a Cristo – ha detto padre Verzì – perché guardando Cristo l’uomo, chiunque esso sia, può ritrovare la vera immagine di sé e così non fare del suo cuore un luogo di barbarie». Il sacerdote si è rivolto in modo particolare ai giovani presenti: «La vita è sacra, altrimenti è davvero la barbarie. Solo Cristo ha il potere di liberarci della morte qualsiasi forma essa assuma».

Per ragioni di prevenzione di ordine pubblico, a seguire e monitorare lo svolgimento, come accade in casi del genere, c’erano carabinieri in divisa e in borghese.

Indagini ancora in corso

Sul fronte delle indagini, nonostante sia stato sottoposto a fermo il 46enne Salvatore Santangelo per gravi indizi di colpevolezza, il lavoro dei militari non è ancora concluso. Proseguono approfondimenti e acquisizioni di informazioni. Il fascicolo dell’inchiesta è ora sul tavolo della Procura di Enna, competente per territorio.

Il movente è stato indicato in una serie di dissidi tra il presunto omicida e la vittima per questioni legate a terreni e pascoli di ovini. Al vaglio degli inquirenti, episodi che si riferiscono agli ultimi due anni. L’ultima discussione è degenerata in lite. Ne è nato un inseguimento nelle strade di campagna. Santangelo, con la sua jeep, si è ritrovato affiancato al furgoncino in cui viaggiava Andolfi, e ha cominciato a sparare. Almeno tre colpi di pistola. Uno ha centrato il giovane al torace, come accertato pure dall’esame autoptico.

Il conducente del furgone – anche lui allevatore – ha proseguito la corsa fino all’ospedale di Biancavilla, ma il 20enne era già spirato durante il tragitto. Ai carabinieri della compagnia di Paternò e della stazione di Biancavilla è bastato poco per rintracciare Santangelo, che non era ancora rientrato a casa e che subito ha assunto un atteggiamento collaborativo.

Assistito dall’avv. Giuseppe Milazzo, si attende per lui una nuova convalida del fermo da parte del gip del Tribunale di Enna, dopo quello disposto in un primo momento a Catania. Resta chiuso in una cella del carcere catanese di piazza Lanza. Gli vengono contestati l’omicidio di Andolfi, il tentato omicidio del conducente del furgoncino e il porto illegale d’arma da fuoco.

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