Cronaca
Allarme al “Cenacolo”: seconda auto in fiamme in meno di un mese




la struttura dell’Opera Cenacolo Cristo Re di contrada Croce al Vallone
di Vittorio Fiorenza
Un’altra auto data alle fiamme all’interno della comunità per tossicodipendenti “Sentiero speranza” di contrada “Croce al vallone” di Biancavilla, legata all’Opera Cenacolo Cristo Re.
Una Fiat Panda di servizio della struttura è stata completamente distrutta dalle fiamme. Il fatto è accaduto martedì in pieno giorno, poco dopo le ore 14. Adesso è la direzione della comunità a rendere noto l’accaduto a Biancavilla Oggi.
Sul posto sono intervenuti i vigili del fuoco del distaccamento di Adrano, oltre ai carabinieri della stazione di Biancavilla.
L’episodio, con probabile origine dolosa, segue di poco più di venti giorni un altro incendio di auto, avvenuto sempre all’interno della struttura per tossicodipendenti e subìto da una delle educatrici della struttura. In quel caso, nessun dubbio sull’azione criminale, visto che le immagini del sistema di videosorveglianza hanno registrato i movimenti di un soggetto che, dopo avere superato la recinzione, si è diretto verso il veicolo, appiccando il fuoco.
Due episodi in meno di un mese che creano allarme nell’Opera fondata da mons. Giosuè Calaciura. Il direttore generale, Giosuè Greco, si è rivolto a Biancavilla Oggi per esprimere alcune considerazioni, che qui di seguito pubblichiamo integralmente.
Giosuè Greco: «Un vile gesto»
Consapevoli del nostro operato e della nostra funzione anche sociale, siamo fiduciosi nelle forze dell’ordine che ci stanno opportunamente sostenendo ed aiutando nell’affrontare questo momento di aggressività e di rabbia cieca nei nostri confronti.
Accanto alle istituzioni e sorretti da queste ci sentiamo al sicuro, nello svolgere il nostro delicato compito nella cura delle persone con problemi di dipendenza patologica.
Il vile gesto, diretto a noi, probabilmente è espressione di un’aggressività e di una violenza i cui significati non trovano altra modalità di espressione, di ragioni recondite che non sappiamo comprendere e con le quali non possiamo neanche confrontarci.
Non coglieremo e non comprenderemo mai nessuna volontà di piegare o di condizionare il nostro operare ad interessi particolari e/o personali che non riusciamo ad immaginare, poiché ci sentiamo da sempre ancorati saldamente alle leggi, al nostro mandato istituzionale, alle istanze terapeutiche che il territorio da sempre ci riconosce.
Siamo nati per essere e dare speranza al territorio e questo rimarremo. In questo ci sentiamo anche di cogliere e di ringraziare per quel l’attenzione e quella solidarietà che le istituzioni ed i singoli ci stanno già facendo pervenire.
La comunità “Sentiero Speranza” dell’Opera Cenacolo Cristo Re, continua ad operare con fiducia e con tranquillità accanto alle persone, in sostegno di esse, certa che l’attenzione delle istituzioni, in particolare delle forze dell’ordine, la vicinanza della società civile, il buon senso ed i comportamenti chiari e netti dei suoi operatori, dissuaderanno chiunque dal tentativo di volere condizionare il passo. L’attaccamento ai nostri compiti, la passione verso la nostra missione non vengono e non verranno mai meno.
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Cronaca
La droga sull’asse Lombardia-Adrano con un biancavillese mediatore del clan


di VITTORIO FIORENZA
C’è un biancavillese, Antonino Amato, 71 anni, trapiantato in Lombardia, tra i riferimenti di fiducia del clan Santangelo-Taccuni di Adrano per arrivare all’acquisto di partite di droga. Secondo i magistrati della Direzione Distrettuale Antimafia di Catania, l’uomo è da ritenere uno dei mediatori per l’approvvigionamento di stupefacenti nel Nord Italia. Il suo profilo e il suo ruolo emergono dalla recente operazione “Adrano libera” (con 38 indagati), condotta dal commissariato di polizia e dalla Squadra mobile contro il clan capeggiato da Gianni Santangelo.
«Sulla base degli elementi acquisiti –scrive il Gip– può concludersi per la sussistenza di gravi indizi di reità a carico di Amato» per i reati riferiti all’associazione mafiosa e alla droga. Per lui, la misura cautelare applicata dal giudice Giovanni Cariolo è quella dell’obbligo di presentazione alla P.G. tre volte a settimana.
Nelle carte dell’inchiesta, come appurato da Biancavilla Oggi, un capitolo corposo è quello della droga. Uno dei canali di acquisto è nelle province di Como e Varese (oltre che nel Messinese, in Calabria e in Campania).
Quando la Dda di Catania comincia ad intercettare le telefonate, alla fine del 2017, Amato è il primo contatto al Nord chiamato da Tony Ugo Scarvaglieri, uomo di spicco dei “Santangelo-Taccuni”, per avviare la trattativa di acquisto. «Il tempo che raccogliamo queste cose e poi…», assicura Scarvaglieri ad Amato, riferendosi alla raccolta del denaro destinato alla droga. E in effetti, l’organizzazione, per disporre di liquidità, assalta il “Credem” di Adrano, scardinando lo sportello bancomat (contenente quasi 25mila euro) con l’ausilio di un mini escavatore (trasportato su un camion rubato a Biancavilla).
La polizia ascolta e segue tutte le fasi. La trasferta al Nord degli uomini del clan. Il loro arrivo. Gli incontri e le trattative in loco. Il viaggio di ritorno verso la Sicilia con un carico di 1,5 kg di eroina.
Oltre ad Amato, entrano in scena, come mediatori in Lombardia, Domenico Salamone, originario di Adrano, e Giovanni Malagò, calabrese trapiantato a Varese, che teneva i contatti diretti con il narcotrafficante albanese Emir Daci, fornitore dello stupefacente (arrestato già nel 2018 con 17,5 kg di eroina e 44mila euro in contante).
È Amato –secondo quanto emerge dall’inchiesta– a ricevere da Malagò un “provino” di eroina, che sarebbe stato testato da Federico Longo (un “intenditore”, ritenuto organico al clan) prima dell’acquisto. Tutti entusiasti della qualità e del buon affare. Sensazioni riferite subito al boss Santangelo, che seguiva tutto da Adrano: «Una bomba… Niente, Gianni, cose mai viste… Madonna mia!». Si passa all’acquisto della droga, si fantasticano consolidamenti di futuri affari.
Secondo i magistrati etnei, «Amato era personalmente coinvolto negli incontri del 22 dicembre che si erano conclusi con l’acquisto di mezzo chilo di eroina al costo di 12mila euro». Era solo una parte. L’intero quantitativo che il gruppo di adraniti carica in auto a Turate (in provincia di Como) viene trasportato, in direzione Sicilia, da David Palmiotti (già indicato da alcuni pentiti come “corriere” del clan Santangelo-Taccuni). Su un’altra auto gli fanno da “scorta” Longo, Scarvaglieri e Antonino Bulla, uomo-chiave del clan per gli affari di droga. È lui che guida la mission in terra lombarda, aggiornando per telefono ed sms il boss su ogni passaggio, incontro, spostamento, fase della trattativa.
Tutto sembrava filare liscio. Fino agli imbarchi dei traghetti per oltrepassare lo Stretto. Qui, la Fiat Bravo di Palmiotti viene bloccata dai poliziotti e lui finisce in manette, dopo il sequestro di due involucri di “roba”. Erano nascosti nello pneumatico della ruota di scorta. L’arresto mette in allarme tutta l’organizzazione. Bulla chiama subito il boss: «Lo butto questo telefono?», chiede. «Che devi fare… ormai… a quest’ora ci hanno sentito…», risponde sconsolato Gianni Santangelo. Era il 23 dicembre del 2017. Per il clan di Adrano, quello sarebbe stato un brutto Natale.
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