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Madre in lacrime: «Giustizia per mio figlio morto d’amianto a 33 anni»

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di VITTORIO FIORENZA

Ci sono le belle parole, quelle politicamente corrette e misurate. Ci sono i riconoscimenti. C’è la pergamena con i caratteri giusti, quelli eleganti. Tutto perfetto.

Poi arriva il pianto e lo strazio di una madre che ha perso il figlio per mesotelioma pleurico. E la “questione amianto”, da questione scientifica, sanitaria e burocratica, ripiomba sul pavimento di Villa delle Favare come un macigno, nella sua essenza tragica. La fredda sala conferenze, che ospita la cerimonia per il conferimento della cittadinanza onoraria al dirigente dell’Istituto Superiore di Sanità, Pietro Comba, per il suo impegno sul fronte del “caso amianto”, diventa glaciale quando la signora Giusi Tomasello, con esemplare dignità, racconta la storia del figlio.

Dino Ingrassia, idraulico di 33 anni, sposato e padre di tre bambini, era un giovane voluto bene da tutti. Un onesto lavoratore che aveva costruito una splendida famiglia. Un quadretto felice e sereno, guastato da quel micidiale cancro alla pleura che non lascia scampo. Nel giro di pochi mesi dalla diagnosi, la morte in un letto d’ospedale. Dino è una delle più giovani vittime tra i 49 morti accertati a Biancavilla per mesotelioma pleurico causati dalla fluoroedenite.

«Non so come e a chi chiederla, ma desidero giustizia», ha detto questa mamma non rassegnata (e come può esserlo?), davanti ad un pubblico attonito. Nelle poltrone laterali, in lacrime, anche il marito della signora e la giovane moglie di Dino, con i suoi tre bambini, la cui spiccata somiglianza con il padre commuove.

In quasi 18 anni –tanto è passato dalla scoperta del tasso anomalo di mortalità per mesotelioma a Biancavilla– le vittime della fluoroedenite e i loro familiari hanno vissuto il problema senza mai esporsi. Mai un intervento pubblico. Mai il tentativo di costituire un’associazione.

Il primo a dichiarare pubblicamente, attraverso Facebook, la sua malattia e ad annunciare la sua morte, è stato il 44enne Giovanni Galvagno. È stato lui, 47esima vittima, a pubblicare immagini e post di denuncia sul social network per bacchettare gli amministratori comunali sul disinteresse per le tante microdiscariche del territorio piene di Eternit. È stato lui, rivolgendosi all’Osservatorio Nazionale Amianto, a presentare un esposto alla Procura di Catania (inutile perché la morte è stata più veloce dei tempi lumaca della giustizia). Il primo malato di mesotelioma che si è esposto pubblicamente.

Il mese scorso, poi, in quella giornata infernale della demolizione dell’immobile abusivo a sud di Biancavilla, ad intervenire ai microfoni dell’emittente Tva di Adrano contro il sollevamento di polveri, furono i due fratelli di Dino Ingrassia: un allarme sentito, il loro, che ha fatto il giro del web con moltissimi clic e visualizzazioni.

Adesso si aggiunge la testimonianza della mamma. E la “questione amianto” mostra il suo lato più vero: quello umano. Per questo Biancavilla Oggi ha deciso di pubblicare integralmente, qui di seguito, le parole della signora Giusi. Perché tutti ricordino che dietro a questa vicenda ci sono storie di sofferenze e lutti.

«Dino aveva il mondo nelle mani…»
Un brutto giorno, tre anni e sei mesi fa, mio figlio si reca dal medico per una tosse e gli vengono prescritte tre punture. Dopo una settimana, per l’insistenza di mia nuora, viene visitato e gli viene detto di andare subito all’ospedale per fare una radiografia. Ma mio figlio non fumava, non beveva, era solo un grande lavoratore. Lavorava 15 ore al giorno. Io gli dicevo di riposarsi, di prendersi una settimana di riposo. Lui, invece, mi rispondeva: “Mamma, ma se non faccio questo a 30 anni…, lo faccio per i miei tre figli”.

Dopo l’esito delle radiografie, il campanello d’allarme. Mio figlio non aveva gravi sintomi: solo stanchezza e tosse. Fatto sta che lo mandano immediatamente al “Garibaldi”. È entrato in quell’ospedale e ne è uscito morto dopo cinque mesi di ricovero e 26 giorni di Rianimazione. Io non sapevo cosa fosse il mesotelioma pleurico e pensavo si trattasse di dicerie di paese. Adesso sono qua perché forse mi dà la forza mio figlio. E chi è mamma mi può capire.

Io prego di avere solo una cosa: giustizia. Mio figlio ha lasciato tre bambini e la moglie. Ma a chi la devo chiedere questa giustizia? Al sindaco? Al Comune? A chi? Mio figlio non è mai uscito da Biancavilla. Il professore mi dica quando ha potuto prendere questa malattia, il mesotelioma pleurico. Quando l’ha presa a dieci anni, quando giocava per strada?

Signor sindaco, a Biancavilla abbiamo tutte le case grigie. Bisogna controllare. Mio nipote ha 4 anni e quando col dito tocca i muri ho paura, ho terrore. Chi come lei, signor sindaco, è a capo di una comunità come la nostra, deve prendere impegni ben precisi.

C’è ancora gente che non ci crede a questo male, ma io che vivo con questo dolore, un giorno dovrò raccontare ai miei nipoti come è morto il loro papà. E cosa devo raccontare, una favola?  Che è morto con la polvere?

Bisogna eliminare queste facciate grigie. D’altra parte non siamo nel Terzo Mondo, ma in un paese civile. Lo so che è difficile, signor sindaco. Però ci vuole un certo rigore.

E per rispetto di mio figlio, desidero giustizia. Non so come, ma mio figlio era giovane e aveva tutto il mondo nelle mani. Non chiedeva nulla perché gli bastava il lavoro e la famiglia che aveva.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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Il bambino di Biancavilla tra i paladini di Francia: Tommaso e i suoi pupi siciliani

A soli 8 anni si è esibito già con il suo teatrino di legno, portando in scena “L’Orlando innamorato”

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GOODNEWS.
Questa è la Biancavilla che ci piace

Una grande passione per i pupi siciliani al punto che non soltanto li colleziona, ma si cimenta pure nell’allestimento scenico e nella recitazione, imparando a memoria e interpretando lunghi dialoghi, mentre le sue mani muovono i fili. Tommaso Francesco Lavenia ha otto anni e il prossimo anno scolastico andrà in quarta elementare nel plesso “San Giovanni Bosco” di Biancavilla.

In queste sere d’estate si è esibito in piazza Cisterna a Ragalna, nell’ambito della “Summer Fashion Week”. Davanti a un numeroso pubblico, con il suo teatrino in legno, ha portato in scena “L’Orlando innamorato”, dando carattere, movimento e voce ad ogni pupo. Una passione, forse un talento. Per lui, applausi e incoraggiamenti. Sorprende come ad appena 8 anni, Tommaso Francesco stia seguendo un interesse inconsueto per la sua età. Uno sforzo che, al di là del gioco, rivela dedizione, studio e sensibilità artistica.

Tutto è nato per caso a Taormina, quando in un ristorante ha visto esposto un classico pupo siciliano. Da lì è scoccata la curiosità, accentuata quando a casa, tra i vecchi giochi del papà, ha trovato un “Orlando”. Poi, l’acquisto dei primi pezzi, alcuni in pessime condizioni e restaurati. Altri ancora costruiti in legno. Una collezione che ormai conta una trentina di pupi.

In questa sua passione ha coinvolto i genitori, Placido e Valeria, e anche i nonni, che lo hanno aiutato nella realizzazione dei costumi. Su YouTube è andato a cercare rappresentazioni dei pupi siciliani, ha studiato a memoria i lunghi dialoghi, integrando anche personaggi biancavillesi con riferimenti a San Placido e alla Madonna dell’Elemosina.

Tommaso Francesco si è tuffato così nel mondo epico-cavalleresco dei paladini di Francia, di Ludovico Ariosto e Matteo Maria Boiardo. Ha avuto pure l’opportunità di conoscere da vicino alcune famiglie siciliane che da generazioni custodiscono quest’arte: i “Napoli” di Catania, i “Puglisi” di Sortino, “Ariosto e Calabretta” di Acireale.

Un grande patrimonio culturale, non a caso proclamato nel 2001 dall’Unesco «capolavoro orale e immateriale dell’umanità», che mescola teatro, letteratura, tradizione e artigianato. Un patrimonio nel quale il piccolo Tommaso Francesco sperimenta la sua passione, preferendolo ai giochi digitali che lo terrebbero incollato per ore davanti a uno schermo, come accade a tanti suoi coetanei.

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Chiude il “Tropical Bar”: quel ritrovo giovanile nella Biancavilla Anni ’80 e ’90

Il locale di Pietro Leocata (il primo a proporre il panino con wurstel) segna un ciclo generazionale

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È un altro pezzo da consegnare alla memoria collettiva. Ricordi che riaffiorano e si sgretolano, legati alla generazione giovanile di Biancavilla a cavallo tra gli anni ’80 e ’90. Ecco perché c’è un po’ di malinconia nell’apprendere che, dopo quasi quarant’anni (38 per l’esattezza), chiude il “Tropical Bar”. Un’attività aperta nel 1987 in via Vittorio Emanuele, tra il plesso elementare “Guglielmo Marconi” e Villa delle Favare. Era lì il cuore pulsante del ritrovo giovanile di Biancavilla, prima che la bussola virasse verso via Umberto e piazza Annunziata.

Il titolare Pietro Leocata (pasticcere di professione) è prossimo ai 68 anni. In più, quella parte del centro storico ha visto continue chiusure di saracinesche. Un destino inesorabile di desertificazione commerciale. Tutt’altro scenario rispetto agli «anni delle immense compagnie, gli anni in motorino, sempre in due». Sì, perché in fondo, la movida biancavillese (quando ancora nessuno la chiamava così), era scandita da abitudini rituali: «Stessa storia, stesso posto, stesso bar», come cantava Max Pezzali.

Ma il bar di Leocata si distinse nella sua offerta. Fu il primo locale a proporre il panino caldo con wurstel, patatine fritte, ketchup e maionese. Una novità, che poi ha fatto scuola, alternativa alla più classica tavola calda con arancini e cartocciate. “Noi che… con 3mila lire ci saziavamo”: anche questo da custodire negli annali di “costume & società”.

I tempi cambiano, le mode pure. Così, quel locale al Civico 151 è diventato testimone delle abitudini che mutavano, mentre tra i due marciapiedi del tratto di via Vittorio Emanuele scomparivano pian piano le “comitive”. Lì dove erano nati amori e amicizie, discussioni e liti, con il sottofondo di una lunga play list che dai Duran Duran balza fino ai Rem.

A differenza di altre attività che hanno chiuso ormai da tempo (come Al Gabbiano, altro storico locale), il “Tropical Bar” ha resistito con orgoglio, adattandosi ad una clientela più ristretta, fedele, abitudinaria, ed “inventando” eventi propri per il periodo di Carnevale o Natale. Ora, però, si chiude un ciclo, personale e generazionale, professionale ed emotivo. Legati a quel posto, restano i ricordi di tanti giovani in sella ad un Garelli tra gli anni ’80 e ’90. Ricordi che suscitano tenerezza e una genuina nostalgia, come nei titoli di coda di un film dei Vanzina. A Pietro Leocata, l’augurio di una serena e meritata età della pensione, da vivere con la propria famiglia.  

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