Biancavilla siamo noi
«A Ballarò ho conosciuto il Mondo»: l’esperienza di un biancavillese
Palermo, quartiere Ballarò, Casa salesiana “Santa Chiara”. Raccontare l’esperienza che ho vissuto a distanza di un mese dalla sua conclusione, beh, fa uno strano effetto: credi di fare un tuffo nel passato, ma subito ti rendi conto che questo passato è più presente che mai dentro di te e sta incominciando ad amalgamarsi e ad avere senso nel tuo quotidiano, nella tua vita.
Cosa ho fatto in questa meravigliosa esperienza è più semplice di quanto si possa pensare: la mattina scuola di prima alfabetizzazione per gli immigrati (che aumentavano giorno dopo giorno), il pomeriggio si preparava il “Grest Giovani” per i ragazzi dell’oratorio (dagli 11 ai 20 anni). Le attività non sono l’esperienza; sono il modo in cui ci siamo messi a servizio.
Nel quartiere di Ballarò io ho conosciuto il ”Mondo”; sì, perché vi è una multietnicità molto elevata; però un Mondo strano, diverso da quello reale di cui sentiamo ogni giorno parlare: la convivenza tra uomini e donne di cultura, religione, nazionalità diverse risulta assai pacifica, serena e bella. Il grande cortile di quell’oratorio è un mix di colori, di accenti diversi, preghiere diverse. Testimonianza di ciò è, per esempio, il rispetto per la celebrazione eucaristica anche da parte dei bambini musulmani che frequentano l’oratorio.
Ricordo con emozione e simpatia la visita del quartiere, il dover correre dietro questi ragazzi difficili verso i luoghi nei quali sono cresciuti, come se fossero le nostre guide turistiche. Passare per quei luoghi, anche se per pochi minuti, è stato il modo più bello e autentico per partecipare e condividere la loro vita, una vita difficile alimentata dalla violenza, dalla droga, dalla mafia, da tutti quegli aspetti negativi che quel quartiere gli offre quotidianamente.
Che bello pensare che tutto l’anno ci sono delle persone, come i salesiani e i loro collaboratori, che aiutano le famiglie più povere, aiutano gli immigrati che continuamente arrivano in massa, ma soprattutto che offrono una prospettiva diversa della vita a questi ragazzi, affinché possano in futuro possano avere un attimo per fermarsi, pensare e dire “cosa devo fare della mia vita? Seguire il bene o il male? Andare in contro ad una vita lacerante e inutile o essere felici?”.
Il Portone di questa casa salesiana è sempre aperto, la familiarità e l’affetto sono di prim’ordine, continuamente si vedono persone che entrano ed escono, voci che si alternano, il direttore della casa, Don Enzo Volpe, che dice: «Benvenuti, siete a casa Santa Chiara, fate ciò che vi sentite».
Sotto il cielo di Palermo nei primi giorni di agosto è successo un qualcosa di straordinario: ognuno stava regalando a chi ha bisogno la parte più intima di se stesso, condividendo le proprie paure, i propri sogni, le proprie aspettative… tutto; quello che esce dal cuore, i pensieri che spontaneamente escono fuori. Una ricchezza inestimabile che custodirò per sempre, perché mi è cambiata la vita.
L’11 Agosto è terminata questa esperienza, e tra molte lacrime e tra gli abbracci dei ragazzi dell’oratorio, dei salesiani, del biancavillese Don Francesco Furnari e dei migranti, come se appartenessero alla mia famiglia, e ho lasciato Palermo.
Adesso, tornato alla vita comune di tutti i giorni e tra i vari insegnamenti che mi sono portato, una cosa è certa: i problemi di “Santa Chiara” non sono solo a Ballarò, Santa Chiara è nella mia comunità parrocchiale, nell’istituto delle FMA che frequento, ovunque, alle volte anche dentro di me!
Dappertutto c’è bisogno del nostro aiuto, della nostra testimonianza, del nostro contributo, anche se il più piccolo che possiamo dare. C’è un detto che dice “Chi vuole fare qualcosa trova una strada, gli altri trovano una scusa”; io a casa Santa Chiara penso di aver trovato, o meglio ho confermato di aver trovato una strada che si chiama Gesù Cristo, e con l’aiuto di Don Bosco che mi insegna molto giorno dopo giorno e che mi aiuta a camminare per questa strada, cerco sempre di dare una mano a chi ne ha bisogno, a chi sta peggio di me, cerco di aiutare un mio simile senza guardare il colore della sua pelle o la sua identità religiosa.
Se ognuno fa qualcosa, allora si può fare molto… e il Mondo cambierà, ma tocca a ciascuno di noi fare ciò.
GIUSEPPE SANT’ELENA
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Biancavilla siamo noi
Uno scatto dal cimitero di Biancavilla: rifiuti e tombe, un muro sottile in mezzo
Una nostra lettrice: «La visuale offre un’evidente “stonatura”, eppure basterebbe un po’ di buonsenso»
Uno scatto fotografico che parla da sé. Una vista al di sopra del muro che separa l’isola ecologica dal cimitero nuovo di Biancavilla. Di qua lo scarrabile pieno di rifiuti, di là la serie di tombe e lapidi.
Non è soltanto una visuale con una evidente “stonatura” (è quel che si vede dal primo piano dell’area di pertinenza dell’Arciconfraternita del Sacramento). È anche una questione, spesso, di cattivi odori che pervadono i luoghi di sepoltura, sia nella parte “nuova” che in quella dei loculi confraternali.
È così: il cimitero confina con l’isola ecologica. «Lo sappiamo che le due aree sono attigue, ma – osserva una nostra lettrice, reduce da una visita al cimitero – si possono osservare delle accortezze, nel rispetto del luogo. Per esempio, mi chiedo per quale motivo si debbano sostare questi cassoni pieni di rifiuti a ridosso del muro del cimitero. Una separazione sottile che, di fatto, non evita né una vista poco decorosa né blocca i cattivi odori che, soprattutto in giornate di vento, arrivano fin dentro il cimitero. A volte basta poco. Ma perché l’attenzione per le piccole cose, a Biancavilla sembra qualcosa di gigantesco? Qui non servono finanziamenti, ma buonsenso». Un interrogativo e considerazioni che rigiriamo ad amministratori e funzionari del Comune.
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