Cultura
Caffè letterari e flah mob book per diffondere la cultura del libro

Ricco programma promosso dal Centro studi “Luigi Sturzo” di Biancavilla. Coinvolti bar e locali, ma anche studenti, insegnanti e genitori. Tappa serale nei luoghi della movida.
Anche a Biancavilla si celebrerà domani la “Giornata mondiale del libro”, promossa dall’Unesco e in Italia ormai divenuta un appuntamento fisso tra le manifestazioni culturali.
Nel paese etneo le iniziative in programma per diffondere la cultura della lettura sono state organizzate dal Centro Studi “Luigi Sturzo”. Biancavilla per un giorno si trasformerà in una grande biblioteca: ogni luogo del paese diventerà un angolo ideale per poter leggere un libro. Coinvolti dal Centro Studi, per far vivere la giornata veramente a tutti, anche bar e locali.
Le iniziative saranno rivolte in modo particolare ai giovani, ai quali verrà lanciato il messaggio che “leggere è alla moda e ti apre la mente”. La giornata sarà articolata in tre appuntamenti per fasce orarie.
Si comincerà alle 7 con il caffè letterario nei bar che hanno aderito: le pagine di un libro lette tra profumi e sapori dei caffè locali.
Alle 11 flash mob book a Villa Delle Favare con gli alunni della scuola “Luigi Sturzo” e dell’Istituto comprensivo “Antonio Bruno” e la collaborazione dell’associazione “Ricominciare” di Catania. Gli alunni, ma anche gli insegnati e i genitori, sono stati invitati a portare un libro per poi leggere per tre minuti uno stralcio della storia prescelta e al termine gridare “I libri sono come la mente: funzionano solo se li apri”.
In serata poi, alle 19.30, “Girolibrando”, a spasso per il paese con un libro. Con i locali della movida che per l’occasione diventeranno luoghi dove scambiarsi volumi, ma anche idee e sensazioni.
I locali che aderiscono al caffè letterario (dalle ore 7)
Caffe Avenue, Caffè Cristal, Caffè Musa Nera, Etna bar, Gama Caffè, Bar tabacchi Aurora, Turi U mau Chiosco, Tropical Bar, Bar Tuccio (a partire da venerdì), Tabacchi Atanasio, Bar Havana, Scandura Delicatessen, Bar Maurí, Eden Bar, Bar L’artigiana, Fly Cafe, Bar della Q8.
I locali che aderiscono a “Girolibrando” (dalle ore 19.30)
Casale dei greci, Pizzeria Giglio, La Fenice, l’Eliseo, Le Grotte, Il cavallino, Nottingham pub, La vite, Etna bar, Bar Havana, Le Piramidi, Happy Hour via Umberto, B.B. King, Mizzika, Pizzeria L’artigiana.
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Cultura
Ficurìnnia nustrali, trunzara o bastarduna ma sempre da “scuzzulari”
Dalle varietà del succoso frutto alle varianti dialettali, tra tipi lessicali e significati metaforici


Se c’è una pianta che contrassegna fisicamente il paesaggio della Sicilia e la simboleggia culturalmente, questa è il fico d’India o, nella forma graficamente unita, ficodindia (Opuntia ficus-indica). Pur trattandosi infatti di una pianta esotica, originaria, come sappiamo, dell’America centrale e meridionale, essa si è adattata e diffusa capillarmente in tutto il territorio e i suoi frutti raggiungono le tavole di tutti gli italiani e non solo. A Biancavilla, la pianta e il frutto si chiamano ficurìnnia, ma in Sicilia si usano molte varianti, dalla più diffusa ficudìnnia a quelle locali, come ficadìnnia, ficalinna, ficarigna, fucurìnnia, ficutìnnia, cufulìnia ecc. Atri tipi lessicali sono ficupala, ficumora, mulineḍḍu.
Esistono inoltre specie non addomesticate, come l’Opuntia amyclaea, con spine molto pronunciate, sia nei cladodi sia nei frutti, poco commestibili, e usate principalmente come siepi a difesa dei fondi rustici. In Sicilia, questa si può chiamare, secondo le località, ficudìnnia sarvàggia, ficudìnnia spinusa, ficudìnnia di sipala, ficudìnnia masculina, ficudìnnia tincirrussu. Per distinguerla dalla specie ‘selvatica’, quella addomesticata è in Sicilia la ficurìnnia manza, di cui esistono varietà a frutto giallo (ficurìnnia surfarina o surfarigna), varietà a frutto bianco (ficurìnnia ianca, muscareḍḍa o sciannarina [< (li)sciannarina lett. “alessandrina”]), varietà a frutto rosso (ficurìnnia rrussa o sagnigna), varietà senza semi (ficudìnnia senza arìḍḍari, nel Palermitano). I frutti pieni di semi si dicono piriḍḍari, quelli eccessivamente maturi mpuḍḍicinati o mpuḍḍiciniḍḍati, quelli primaticci o tardivi di infima qualità sono i ficurìnnia mussuti (altrove culi rrussi).
In una commedia di Martoglio (Capitan Seniu), il protagonista, Seniu, rivolto a Rachela, dice:
Almenu ti stassi muta, chiappa di ficudinnia mussuta, almenu ti stassi muta! … Hai ‘u curaggiu di parrari tu, ca facisti spavintari ‘dda picciridda, dícennucci ca persi l’onuri?
Come è noto il frutto del ficodindia matura nel mese di agosto, ma questi frutti, chiamati (ficurìnnia) nuṣṭṛali a Biancavilla, anche se di buona qualità, fra cui sono da annoverare i fichidindia ṭṛunzari o ṭṛunzara, in genere bianche, che si distinguono per la compattezza del frutto, non sono certo i migliori. Quelli di qualità superiore, per resistenza e sapidità, sono i bbastardoli, o, altrove, bbastarduna. Questi maturano tardivamente (a partire dalla seconda metà di ottobre) per effetto di una seconda fioritura, provocata asportando la prima, attraverso lo scoccolamento o scoccolatura, una pratica agricola che consiste nell’eliminazione, nel mese di maggio, delle bacche fiorite della pianta, che verranno sostituite da altre in una seconda fioritura. A Biancavilla e in altre parti della Sicilia si dice scuzzulari i ficurìnnia.
Per inciso, scuzzulari significa, da una parte, “togliere la crosta, scrostare”, dall’altra, “staccare i frutti dal ramo”. Dal primo significato deriva quello metaforico e ironico di “strapazzarsi”, in riferimento a persona leziosamente ed eccessivamente delicata, come nelle frasi staccura ca ti scòzzuli!, quantu isàu m-panareḍḍu, si scuzzulàu tuttu, u figghju! Così “di chi ha fatto una cosa trascurabile e pretende di aver fatto molto e di essersi perfino affaticato”. Inoltre, èssiri nam-mi tuccati ca mi scòzzulu si dice “di una persona assai gracile” oppure “di una persona molto suscettibile e permalosa”. Il verbo, infine, deriva da còzzula “crosta”, dal latino COCHLEA “chiocciola”.
Ritornando ai fichidindia, sono ovviamente noti gli usi culinari, la mostarda, il “vino cotto”, quelli dei cladodi, le pale, nella cosmesi o ancora nell’artigianato per realizzare borse di pelle vegan, ma essi, o meglio alcuni loro sottoprodotti, sono stati anche, in certi periodi, simboli di povertà. Quando, infatti, si faceva la mostarda, i semi di scarto venivano riutilizzati, ammassati in panetti e conservati. Si trattava di un prodotto povero di valori nutrizionali e dal sapore non certo gradevole come la mostarda. Si chiamava ficurìnnia sicca, locuzione divenuta proverbiale a volere indicare non solo un cibo scadente ma perfino la mancanza di cibo. Cchi cc’è oggi di manciàri? ‒ Ficurìnnia sicca! Cioè “niente!”
PER SAPERNE DI PIU’
“La Sicilia dei cento dialetti” di Alfio Lanaia
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