Cultura
Torna in edicola “Piazza Grande”: «Realtà, natura, ambiente»

“Realtà, natura, ambiente: salviamo la nostra Terra”. Su questo tema si incentra il terzo numero di “Piazza Grande”, la rivista dell’omonima associazione culturale di Biancavilla. Un numero già disponibile nelle edicole della nostra città.
Diversi e approfonditi gli spunti di riflessione che, ancora una volta, ci offre il giornale, sviluppati in 36 pagine ricche di immagini.
La rivista si presenta con nuove rubriche, presenta un reportage dalla Patagonia, non manca di parlare di Greta Thunberg, «novella “Giovanna d’Arco” che guida la riscossa ecologista».
Tra le tematiche di interesse locale, quella sull’inquinamento ambientale di fluoroedenite con un’intervista al prof. Enrico Ciliberto, ordinario di chimica inorganica dell’Università di Catania.
Segnaliamo anche un articolo di Alfio Grasso su “La pubblica istruzione a Biancavilla nel periodo borbonico”.
“Piazza Grande” vuole essere un tentativo di smuovere le acque stagnanti di Biancavilla, in ambito culturale. Impresa non semplice in un contesto come il nostro. Lo sa bene Alfio Pelleriti, animatore della rivista: «In un contesto generale in cui la carta stampata accusa notevoli colpi per una concorrenza forte di Internet, siamo riusciti con il secondo numero a distribuire 250 copie».
Apprezzamenti per il progetto editoriale. Ma anche critiche. «Tra le critiche che mi sono pervenute –sottolinea ancora Pelleriti– la più insopportabile è stata quella di chi liquida senza appello la rivista tacciandola di “sinistrismo” e tale giudizio lo si avanza quasi con intento salvifico nei confronti di chi non l’ha ancora letta, affinché si tenga alla larga da tali articoli “faziosi” e “corruttori delle giovani menti”. Sono accuse avanzate senza alcuna argomentazione, espresse con velenosa sinteticità e con sorrisi ammiccanti a far intendere chissà quali strategie settarie e dunque non meritano risposte».
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Cultura
Smilzo, gracile, magro, insomma uno “smiçiaçiàtu”… di origine francese
Un aggettivo che trova “cittadinanza letteraria”, da Silvana Grasso a Maria Antonietta Musumarra


Ne L’arti di Giufà (1916) di Nino Martoglio, c’è un personaggio dal nome parlante, quasi un soprannome descrittivo dell’aspetto fisico, il Conte Smiciaciato «grande metteur en scene cinematografico». In precedenza, infatti, ne I civitoti in pretura (1903), Martoglio aveva usato lo stesso termine come aggettivo: «Ah, allura, mentri c’è ’ssu bonifatturi… Benchì ca ’st’avvucatu mi pari smiciaciàtu», dice l’imputato Masillara. In Cappiddazzu paga tuttu (1917), la commedia scritta insieme a Pirandello, Don Jacu dice: «Chi? Chi faciti? E chi sugnu allura ddu smiciaciatu di Don Sucasimula? Va, dati cca, e pigghiativi ’u vostru!».
Qual è dunque il significato di smiciaciatu o meglio smiçiaçiàtu, secondo la trascrizione ortografica del Vocabolario Siciliano? A Biancavilla e in tutta la provincia di Catania, ma anche in altre province dell’Isola, significa “mingherlino, molto magro”; “smilzo, gracile”; ma localmente vale anche “rachitico, stentato, che è poco sviluppato”, e si dice pure di un “bambino vestito di abiti sbrindellati”. Molto interessante, come vedremo, è l’espressione di area orientale si fa-mmòriri smiçiaçiàtu! in riferimento a chi lesina su tutto, privandosi persino del necessario.
L’espressività del nostro aggettivo non è passata inosservata alle nostre scrittrici e ai nostri scrittori, che l’adoperano nelle loro opere, come Silvana Grasso:
Aveva speso una fortuna nei casini, ma solo cosí aveva onorato il sacramento del matrimonio che uno era e uno doveva … anzi piuttosto incarcagnato bassino, aveva un’aria smisciasciàta, di uno che soffre di stomaco, di colite o una cute lucida rossellina, ed era calvo tranne che sulla nuca trapaniata da peluzzi (Pazza è la luna).
Oppure Mario Di Bella, in un racconto tratto da Il salone del barbiere:
Il tempo ce l’avevano, sia lui che il mastro, e il tempo, da perfetto galantuomo, insieme alla paglia e qualche scoppolone di sveglia, avrebbe saputo fare maturare le nespole anche su quell’albero smisciasciato e ’nzitato malamenti (Il parrucchiere Franco).
O ancora Maria Antonietta Musumarra (La collina del giorno dopo):
Ognuno diceva la sua, tutti d’accordo però nel trovare Antonio un bocciolo di rosa e me un po’ troppo “smiciaciata” e bruttina.
Quale sarà l’origine del nostro aggettivo, è ora il caso di chiederci? Alla base di smiçiaçiàtu c’è il siciliano antico (XIV sec.) misasiátu (pàsciri li poviri et li misasiati) e a sua volta dal francese antico mesaise “stato di malessere, di sofferenza, di sconforto” da cui miçiàçiu e smiçiàçiu “inedia”; “miseria”, usato in frasi come mòriri di miçiàçiu “morire d’inedia”; in area ragusana irisinni di miçiàçiu “di sostanze, in genere alimentari, che si consumano gradatamente”, fari i cosi a-mmiçiàçiu “abborracciare”. Per sfuggire alla censura, un soldato palermitano, durante la I guerra mondiale, scrisse così alla famiglia: «la salute discretamente, salvo una certa dose di miciacio con conseguente stitichezza».
La voce francese è formata dal suff. sottrattivo mes– + aise “benessere”. Ci potremmo fermare qui, ma l’ant. francese aise, attraverso uno sviluppo semantico con riscontri nella stessa Francia e nei dialetti meridionali, continuatore del latino adiacens (ad + iacio), è giunto come prestito nel siciliano àciu ‘latrina, cesso’ e nell’it. agio. Lascio immaginare ai lettori e alle lettrici quale benessere o agio (aise) si sarà potuto trarre in una latrina.
PER SAPERNE DI PIU’
“La Sicilia dei cento dialetti” di Alfio Lanaia
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