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Cultura

Terza edizione della “festa del libro” tra caffè letterari e flash mob

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Foto di gruppo a Villa delle Favare in occasione della prima edizione dell’iniziativa

Al via domani, 23 aprile la terza edizione della “festa del libro” promossa, nell’ambito della Giornata mondiale del libro, dall’associazione “Sturzo” Biancavilla, in collaborazione con “Penelope Sicilia”, “Ricominciare”, il Leo Club Adrano Bronte Biancavilla.

La giornata, promossa dall’ Unesco, è divenuta ormai un appuntamento fisso nel calendario delle manifestazioni culturali italiane ma anche biancavillesi.

L’obiettivo è quello di incoraggiare e scoprire il piacere della lettura e valorizzare il contributo che gli autori danno al progresso sociale e culturale dell’umanità. L’idea di questa celebrazione è nata in Catalogna, dove il 23 aprile, giorno di San Giorgio, una rosa viene tradizionalmente data come dono per ogni libro venduto.  Le associazioni in occasione di questa ricorrenza hanno deciso di organizzare numerosi appuntamenti per riscoprire il piacere della lettura. Tante, infatti, le novità introdotte e soprattutto molte le riconferme: “Stilografiche di primavera”, flash mob book e murales d’autore, già proposti nelle edizioni precedente.

Domani, domenica 23 aprile, apre la manifestazione un grande ritorno: il caffè letterario. Sarà possibile recarsi presso gli esercizi che aderisco all’iniziativa e vivere le pagine di un libro tra i profumi e sapori dei caffè locali. A coloro che porteranno con se un libro, sarà donato un segnalibro in ricordo della giornata mondiale. Purtroppo i rapporti annuali sulla promozione della lettura riferiscono che in Italia oggi ci sono oltre 4 milioni (4.300.000 per la precisione) di lettori di libri in meno rispetto al 2010. E nel 2016 sono circa 33 milioni le persone con più di 6 anni che non hanno letto nemmeno un libro di carta in un anno, cioè il 57,6% della popolazione, la stessa quota che era stata toccata nel 2000.

«Siamo felici –commentano Ada Vasta, Giuseppe Bua e Vanessa Tomasello del comitato organizzatore– di essere arrivati alla terza edizione e di ricevere numerose adesioni ogni anno. Ringraziamo le associazioni Ricominciare, Penelope Sicilia e Leoclub A.B.B. che collaborano all’iniziativa.  Nei prossimi giorni chiederemo ai dirigenti scolastici delle scuole del territorio di somministrare agli studenti dei questionari sulla lettura, così da avere una idea delle percentuali degli studenti di Biancavilla da comparare con il dato nazionale».

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Cultura

Anche il ministro della Cultura Sangiuliano si prende la “stagghjata”

Il termina indica un compito da svolgere, ma a Biancavilla è pure il nome di una contrada

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Questa infelicissima e tristissima dichiarazione del ministro della Cultura (sic!) è di qualche settimana fa: «Mi sono autoimposto di leggere un libro al mese. Un fatto di disciplina, come andare a messa». La lettura come sacrificio ed espiazione, dunque: una sorta di cilicio. C’è l’aspetto politico, pedagogico e culturale della dichiarazione. Ma anche religioso (ridurre l’andare a messa a un mero dovere, se non a un sacrificio, non è proprio il massimo per un credente). A noi che ci occupiamo di lingue e di dialetti, tutto ciò, però, ha fatto pensare a un modo di dire usato a Biancavilla.

Un modo che ci sembra calzante: pigghjàrisi a stagghjata, cioè “assumere l’incarico di portare a termine un lavoro entro un lasso di tempo stabilito” (exempli gratia «leggere un libro al mese»). La stagghjata era cioè “il compito, il lavoro da svolgere in un tempo determinato, spesso nell’arco di una giornata”. Dari a stagghjata a unu equivaleva ad “assegnare a qualcuno un lavoro da compiere in un tempo stabilito dopo di che potrà cessare per quel giorno il proprio servizio”.

In altre parti della Sicilia la stagghjata può indicare il “cottimo”. Ad esempio: ṭṛavagghjari ccâ / a la stagghjata “lavorare a cottimo”; “la quantità di olive da spremere in una giornata”; “la fine della giornata, il tramonto: ṭṛavagghjari finu â stagghjata lavorare fino al tramonto”; “sospensione da lavoro”, “slattamento, svezzamento”.

Con l’illusione di finire prima un lavoro, ancora negli anni ’80 del secolo scorso si sfruttavano i braccianti e gli operai dell’edilizia, soprattutto i manovali, i ragazzi minorenni. Ecco una testimonianza tratta da La speranza della cicogna di Filippo Reginella:

Tale lavoro si sviluppava quasi interamente con metodi manuali e magari con la promessa della famosa “stagghiata” che consisteva nel lavorare di continuo fino al completamento della struttura in corso di realizzazione e poi andare a casa qualsiasi ora fosse, come se potesse capitare di finire prima dell’orario ordinario: mai successo! Solo illusione!

Toponimo in zona Vigne

Il nome ricorre anche nella toponomastica del territorio di Biancavilla. Le carte dell’Istituto geografico militare (IGMI 261 II) ricordano il toponimo Stagghjata che indica dei vigneti a Nord del Castagneto Ciancio.

Anche il Saggio di toponomastica siciliana di Corrado Avolio (1937) ricorda i stagghiati di Biancavilla, col significato probabile di “terre date in affitto”.

Alle origini del termine

Cercando di risalire all’origine della nostra voce, ricordiamo, innanzitutto, che stagghjata deriva da stagghjari, un verbo dai molti significati. Tra questi ricordiamo i seguenti: “tagliare, troncare”, “fermare, interrompere il flusso di un liquido” (cfr. stagghjasangu “matita emostatica usata dai barbieri”), “delimitare, circoscrivere, da parte di più cacciatori, un tratto di terreno in cui si trova la selvaggina”; “convogliare i tonni verso la camera della morte della tonnara”; “sospendere momentaneamente il lavoro che si sta facendo”; “venir meno di una determinata condizione fisica:  a frevi mi stagghjau non ho più la febbre”.

Fra i modi di dire citiamo stagghjàricci a tussi a unu “ridurre qualcuno al silenzio”, stagghjari la vìa “impedire il passaggio”, stagghjari l’acqua di n-ciùmi “deviare l’acqua di un fiume”. Fra i composti con stagghjari, oltre al citato stagghjasangu, ricordiamo stagghjafocu a) “ostacolo per impedire che il fuoco si propaghi ai campi vicini quando bruciano le stoppie” e b) “striscia di terreno liberata da ogni vegetazione per circoscrivere un incendio”; stagghjacubbu “silenzio profondo”, negli usi gergali; stagghjapassu nella loc. iri a stagghjapassu “prendere scorciatoie per raggiungere qualcuno, tagliandogli la strada”.

Il verbo deriva a sua volta da stagghju “cottimo, lavoro a cottimo”, “interruzione, sosta, riposo dopo un lavoro”, “canone d’affitto”, “scorciatoia” ecc. C’è anche il femm. stagghja “quantità di lavoro assegnato”. Scrive il Pitrè che i bambini usavano l’escl. stagghja! per interrompere improvvisamente e momentaneamente il gioco. Varianti sono stagghjarrè! e stagghjunè!

Da ultimo stagghju, documentato sin dal 1349, nella forma extali, deriva da un latino giuridico *EXTALIUM, derivato di TALIARE “tagliare”.

Concludiamo questa carrellata di parole con un uso letterario di stagghjari nel romanzo Il conto delle minne di Giuseppina Torregrossa:

Ninetta, la vecchia tata, è diventata così grassa che non si vede più i piedi da molto tempo, ma ha acquisito un’aura di saggezza che la fa assomigliare a una vecchia sciamana, dirime controversie, compone liti, stagghia malocchiodispensa consigli, cura malattie.

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