Chiesa
L’Icona di Biancavilla a Roma per la canonizzazione di Madre Teresa
«Venendo incontro ad uno speciale desiderio del Santo Padre Francesco, la venerata Icona della Beta Vergine Maria dell’Elemosina, Madre della Misericordia, con un grande pellegrinaggio di fedeli, sarà recata a Roma domenica 4 settembre, in occasione della canonizzazione della beata Madre Teresa di Calcutta».
Ne dà notizia il sito dell’associazione Maria Santissima dell’Elemosina. Il quadro sacro della compatrona di Biancavilla, quindi, sarà presente in Vaticano. Si tratta di un annuncio che i fedeli biancavillesi attendevano da mesi per chiudere una ferita. La presenza dell’icona simbolo dell’identità biancavillese doveva essere a Roma, infatti, lo scorso dicembre per l’apertura della Porta Santa. Ma tutto fu bloccato in extremis, lasciando una grande delusione.
Era stato mons. Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, a proporre al Papa una serie di immagini sacre da esporre per l’apertura della Porta Santa.
Francesco, come raccontato da Biancavilla Oggi, non aveva avuto esitazioni: con il proprio dito aveva indicato l’icona della Madonna dell’Elemosina. Tutto era pronto. Padre Pino Salerno, prevosto di Biancavilla, aveva anche organizzato il trasporto, chiedendo ogni misura di sicurezza per l’esposizione del quadro, che avrebbe avuto la mondovisione l’8 dicembre.
Invece, all’ultimo momento, come avevamo svelato da queste pagine, dalla diocesi catanese arrivò lo stop per generiche problematiche di sicurezza. Le ragioni reali non sono state mai chiarite e tra i devoti la delusione per quell’occasione sfumata aveva diffuso voci di invidie e complotti. Uno schiaffo per Biancavilla, soprattutto quando, in quell’8 dicembre, al posto dell’icona biancavillese, in Vaticano fu esposto un altro quadro proveniente dalla Chiesa greco-cattolica di Przemienienia Panskiego, in Polonia. «Come mai le ragioni di sicurezza non sono valse per questo dipinto, altrettanto prezioso?», tanti si chiesero senza avere ragionevoli risposte.
Per raffreddare gli animi, lo stesso padre Pino si era premurato a specificare che comunque il quadro della Madonna dell’Elemosina avrebbe avuto l’occasione nel corso del 2016 di essere trasportato a Roma per dare seguito al desiderio del Papa.
E il momento, adesso, è stato deciso: il 4 settembre. Non un giorno qualsiasi. Ma il giorno in cui la suora di origine albanese, Premio Nobel per la Pace nel 1979, diventerà santa.
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Chiesa
San Placido: la nostra identità cittadina tra fede, tradizioni e memorie secolari
La festa in onore del Patrono è esplosione di piacere collettivo, al quale tutti debbono partecipare
Un episodio della vita di san Placido, risalente ai primi anni della permanenza in monastero con san Benedetto ci tramanda che i monaci di alcuni monasteri avevano enormi difficoltà a reperire l’acqua, sicuramente per la lontananza con le fonti o per una persistente siccità. Allora angustiati chiesero all’abate di risolvere il problema. Il superiore non trovò altro rimedio se non la preghiera. Una notte, affinché la supplica fosse più efficace, svegliò il piccolo Placido, beatamente addormentato. Insieme si inoltrarono tra i monti e in un luogo remoto pregarono lungamente tutta la notte. Alla fine, poste tre pietre ad indicare il sito, se ne tornarono in monastero. Quando, su indicazione dell’abate, gli altri monaci andarono nel posto indicato tra quelle rocce videro uscire l’acqua tanto desiderata, prodigioso dono ancora oggi tangibile.
I santi commuovono il cuore di Dio. Lo dovremmo pensare quando tra le strade di basolato lavico della città passa solenne la statua del nostro san Placido. Quando le bombe assordanti, le strisce colorate, gli applausi dai balconi, le festose marce della banda accompagnano l’immagine di questo monaco andato in cielo – più di millecinquecento anni fa – a poco meno di trent’anni. I santi chiedono a Dio le grazie di cui noi abbiamo bisogno e ci indicano la giusta strada, già da loro percorsa.
Il segno dell’identità cittadina
In un mondo che sta cambiando troppo in fretta, in una società che ha modificato valori e ideali, portare tra le strade le statue dei nostri patroni assume un senso nuovo rispetto ai tempi andati.
San Placido rappresenta l’identità cittadina, con tradizioni e memorie derivanti dallo stratificarsi del passato e dalle contaminazioni culturali che l’hanno arricchita e la rendono unica. La festa a sua volta è esplosione di piacere collettivo, al quale tutti debbono partecipare. Essa spezza la monotonia della quotidianità e attraverso la manifestazione esterna di sentimenti ed emozioni offre l’occasione di riscoprire le origini della comunità, recuperandone la storia, rifondandola periodicamente e trovando nella ritualità dei gesti compiuti all’unisono da tutti la propria ragione di essere.
Per i cristiani, la festa è anche culto, è manifestazione della gioia che deriva da Dio e a lui fa ritorno. Esattamente come il nostro “giru de’ santi”, che dalla Chiesa Madre prende inizio e lì ritorna, esorcizzando la concezione della vita. Una vita intesa non come fluire lineare, con un inizio e una fine, ma come un divenire ciclico di nascita, morte e rigenerazione. Esattamente come le stagioni.
Festa, fede e simbolismo
La festa è pure preghiera ed è riflessione sul destino dell’uomo. Placido è stato un uomo. Ha gioito e ha patito come ogni altro essere umano. Ha dato però degli obiettivi e delle priorità alla sua esistenza. Ha saputo fare dono di sé agli altri. Questo ci viene rivelato dalla statua, opera del biancavillese Placido Portal, scolpita agli inizi del Settecento. Essa, riproponendo la Santità del martire secondo i modelli classici del barocco siciliano, mostra un uomo imberbe, ancora molto giovane, con un’ampia cocolla nera, con la mano destra alzata per benedire chi gli si rivolge.
Il simbolismo aiuta a capire il messaggio solo se il fedele osserva l’opera con occhio attento. L’aureola d’argento, è uno degli attributi più antichi, indica quello come uomo di Dio, ammantato dall’aura splendente della luce divina. Il pastorale rappresenta la dignità di abate, padre e pastore della comunità monastica a lui affidata. Il libro della Regola afferma che il santo appartenne all’ordine Benedettino, i cui monaci dopo il crollo dell’Impero Romano compirono l’imponente opera di ristabilire l’equilibrio in una Europa sconquassata dalle invasioni barbariche. La palma è simbolo del martirio subito per testimoniare gli ideali cristiani. Le chiavi della città – consegnate ogni anno dal sindaco – indicano l’affidamento di Biancavilla al suo Patrono. Infine la croce pettorale, in argento e pietre preziose, è segno della fede in Cristo, stabile fino alla fine nel cuore di Placido.
Ai piedi del fercolo, dentro un’antichissima urna, sono conservate le reliquie, il braccio destro del santo che tante volte benedisse i fratelli e oggi continua a benedire i suoi devoti.
Il senso della festa oggi
Ecco cosa rappresenta quella effigie tirata dai fedeli, portata festosamente tra la gente, abbracciata da migliaia di biancavillesi. Ancora oggi, quel monaco di cui parlò Gregorio Magno, avvicinato dalla tradizione alla nostra Sicilia come martire, ci vuole parlare di pace in un mondo che, preso da interessi di parte sta conoscendo una triste era di conflitti; ci parla di ponti per unire individui appartenenti all’unica famiglia umana; ci parla di accoglienza e di interculturalità in una società chiamata a ricevere nuovi flussi migratori da terre povere e devastate concretizzati ogni giorno in nuovi vicini di casa, compagni di scuola, colleghi di lavoro; ci parla di lotta audace alle nuove mafie che attanagliano come tumori la nostra terra, la oltraggiano e la umiliano.
Una forte dose di coraggio, di presa di coscienza intelligente per far uscire la nostra società civile dall’individualismo imperante e dalla ricerca di profitti e interessi privati a scapito di quelli comuni. Una buona quantità di impegno e di forza di volontà per tirar fuori le nostre comunità ecclesiali – spesso annebbiate dai troppi fumi d’incenso – dai raccolti edifici sacri al mondo chiassoso e agitato. Accogliere le nuove sfide del nostro tempo e piantare semi di nuova speranza per tramutare il caos in cosmos: è questo che ci dice e ci chiede il nostro Santo Patrono in questo 2024? Forse, e non solo.
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