Cultura
Per Gerardo Sangiorgio l’omaggio del grande poeta Yves Bonnefoy

INEDITO. Uno scritto del decano della poesia francese sul biancavillese rinchiuso nei lager nazisti perché rifiutò di aderire alla Repubblica di Salò. Una testimonianza che adesso Biancavilla Oggi pubblica per la prima volta.
La ricorrenza dell’Anniversario della Liberazione, lungi dall’invitarmi ad enfatiche nonché settarie considerazioni sui noti fatti e risvolti della Resistenza – ogni anno i discorsi commemorativi che si imbastiscono dal primo arrivato sono ormai sempre più afasici, tanto da tediare le nuove generazioni che nulla intanto sanno di quel tempo per averne poco o niente sentito parlare perfino a scuola – con animo sereno, non contaminato da passioni o etichette politiche o, meno ancora, da interessi di parte, mi piace rievocare, onde preservare la dignità di quelle celebrazioni da qualsiasi speculazione settaria, «l’aspetto diversamente eroico» di quella nobile figura che fu il nostro illustre concittadino Gerardo Sangiorgio, «reso vincitore dall’indomito eppur mite spirito cristiano su tutte le prevaricazioni a torto subite solo per essersi rifiutato di seguire, per opportunismo, le aberranti correnti militariste, di destra e di sinistra, del suo giovane tempo allo sbando».
A scanso di equivoci, e soprattutto per evitare il pericolo di incorrere in qualcuna delle tante banalità che sono state di Lui scritte a titolo di occasionale celebrazione, ho chiesto all’amico Vittorio Fiorenza di pubblicare su Biancavilla Oggi questa mia testimonianza, umile nelle intenzioni ma sincera perché vissuta in anni felici, che certo è, a mio modo di vedere, assai importante per i contenuti di un documento redatto in originale francese ma che qui propongo all’attenzione di tutti.
Su invito del figlio Placido, alcuni mesi or sono ho intrapreso l’iniziativa di spedire in traduzione a Parigi, con destinazione a Yves Bonnefoy, sorboniano e accademico, intellettuale di grande successo (è il massimo poeta vivente) nonché filosofo e scrittore prolifico, tutti i testi autografi del compianto prof. Gerardo che sono relativi agli anni della sua prigionia nel lager tedesco di Düisdorf, chiedendone una valutazione. Ebbene, poco tempo dopo quel Signore ha avuto la sensibilità di rispondermi premiandomi con la sua cortesia, accludendo anche un autorevole omaggio che, sebbene conciso – forse un po’ spartano nei toni – nobilita ben oltre ogni plausibile aspettativa la venerabile memoria del nostro Concittadino Poeta.
Ne sono fiero, se non altro perché, fra le tante testimonianze scritte che sono state a diverso titolo tributate a Gerardo Sangiorgio, questa mi sembra la più vera, la più spontanea, senz’altro la più genuina per la convinzione che ne imbastisce i contenuti.
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OMAGGIO A GERARDO SANGIORGIO
Un prode combattente che lottò contro l’ideologia fascista e la retorica del male
di Yves Bonnefoy
La memoria è un dovere per tutti quelli che si dicono democratici, essendo essa il solo sito dell’intimo che si può ritrovare e comprendere, fino a far diventare esempio da seguire ciò che è stato vissuto in circostanze eccezionali per il bene della società.
È evidente che tra gli eventi e i personaggi che necessitano di essere costantemente memorati ci sono in primo luogo coloro che nei nostri paesi occidentali hanno lottato contro l’ideologia fascista; e, fra questi prodi combattenti, anche Gerardo Sangiorgio, l’uomo che oggi commemoriamo, cui tengo a rendere qui omaggio.

Gerardo Sangiorgio (foto Video Star)
Sebbene la mia attività si sia ridotta, lungo il corso della mia esistenza, al solo scrivere in versi – cosa che non è, direttamente, una lotta contro l’oscurantismo e il dispotismo della società – essa si sforza, tuttavia, di proporsi come un rifiuto del narcisismo, dei sogni che oscurano ogni relazione della persona in sé.
In verità, questa ricerca racchiude, nei suoi usi lessicali, delle parole che possono sembrare perfino ermetiche o comunque lontane dalle sollecitazioni politiche di questo nostro momento storico; eppure, il poeta non dimentica mai che il difensore delle civiche libertà lavora per lui, si sacrifica per lui, e perciò non può provarne che grande riconoscenza. La poesia aderisce, fondamentalmente, al partito della libertà e della verità, e perciò non la tradisce, per non tradire anzitutto se stessa.
In quanto a me, voglio sì esserle fedele e rendere testimonianza alle sue più strette aspirazioni, rivolgendo il mio più che rispettoso omaggio a Gerardo Sangiorgio, uno di quei Giusti che ancor offrono alle generazioni future una ragione per vivere.
Lui volle farsi avanti. Nel momento in cui la retorica del male riusciva, col suo proferire menzogne, col suo manipolare le informazioni, a disorientare gli spiriti meno lucidi, Egli capì dove stesse la verità e decise di adeguare il suo agire conformemente alle sue certezze, anche a rischio della propria vita.
Si dice che l’Araba Fenice rinascesse dalle proprie ceneri. Questo mito si riveste d’interesse solo perché metaforizza tal genere di contributi alla verità, che spesso sono votati all’insuccesso per la morte di coloro che se ne rendono artefici, sebbene ne lascino l’orma nella memoria: segno questo, della chiara, grande fiammata che si è resa adusta in breve volgere di tempo. E, quindi, ci saranno sempre dei giovani che ne faranno protrarre il ricordo e si mobiliteranno a loro volta in favore di quella bella causa che aveva entusiasmato i migliori tra i loro antecessori.
(traduzione di Francesco Piccione)

Cultura
Luglio a Biancavilla tra cielo e terra: devozione e antichi simboli di fertilità
All’Annunziata, all’Idria e nella zona della “Casina” è il mese della Madonna del Carmine

“Giugnettu, sdirrubiti do’ lettu!”. Così dicevano gli anziani, invitando a non perdere tempo nelle ore preziose del mattino. Luglio, infatti, è da sempre un mese di grande attività nei campi: la raccolta del grano, la cura delle viti, l’orto che richiede attenzioni quotidiane. La terra, in questo periodo, è generosa ma anche esigente, e impone ritmi intensi, da affrontare con energia e dedizione.
Ma luglio non è solo lavoro. È anche tempo di festa e di spiritualità, un momento in cui si rinnova quel legame profondo che unisce la comunità alla propria fede e alle sue espressioni più autentiche. Tra queste, spicca la devozione per la Madonna del Carmelo, che proprio a luglio conosce il suo vertice con celebrazioni che affondano le radici nella nostra storia.
La “sedicina” alla Madonna del Carmine
A Biancavilla, questa devozione prende forma concreta nella “sedicina”, una pratica antica che prevede sedici giorni consecutivi di preghiera, in preparazione alla festa del 16 luglio.
Presso la chiesa dell’Annunziata, questo rito si svolge in un’atmosfera suggestiva e raccolta: qui, il culto alla Madonna del Carmine è documentato fin dai primi anni del XVIII secolo. Lo testimoniano una statua in legno policromo e diversi affreschi e dipinti che ornano la chiesa.
Anche nella chiesa dell’Idria, la “sedicina” riunisce i fedeli davanti alla statua della Vergine (di recente restaurata), in un momento comunitario che, pur nella semplicità del rito, conserva un’intensità profonda.
E poi c’è il quartiere “Casina”, dove la festa della Madonna del Carmelo viene celebrata la domenica successiva al 16 luglio. Qui la statua, donata nel 1960 da Franco Rapisarda, viene portata in processione tra le vie del quartiere, accompagnata dalla banda musicale e da fuochi d’artificio. È una festa molto sentita, organizzata da un comitato presieduto dal parroco e sostenuta direttamente dai residenti, che contribuiscono con offerte e lavoro volontario.
Un culto che parla anche alla natura
Il legame tra questa festa e la natura è tutt’altro che casuale. La Madonna del Carmelo prende il nome dal Monte Carmelo, in Palestina, luogo dell’apparizione a san Simone Stock nel 1251. Ma il nome stesso, Carmel, in ebraico significa “giardino”: un richiamo potente alla bellezza rigogliosa della terra nel pieno dell’estate.
Non è un caso che il culto della Madonna del Carmine si celebri proprio in questo periodo dell’anno, quando la natura è nel suo apice vitale. Molte feste religiose che si svolgono oggi sono, in realtà, l’evoluzione di antichi riti agricoli. Presso le civiltà del passato, il solstizio d’estate era visto come il momento dell’unione tra cielo e terra, simboleggiato dalle nozze tra il sole e la luna.
In quelle stesse epoche, si onorava la Grande Madre, divinità femminile legata alla fertilità e alla ciclicità della vita: Cerere per i Romani, Cibele per i Frigi, Iside per gli Egizi. Figure che evocano l’abbondanza dei raccolti, la protezione della maternità, il mistero della nascita e del ritorno alla terra. In un certo senso, la Madonna del Carmelo eredita questo ruolo: signora del Giardino, che intercede, protegge e nutre spiritualmente, ma anche simbolicamente legata alla fecondità del creato.
Un mese tra cielo e terra
Nella fatica dei campi, nella preghiera quotidiana, nella festa che riunisce il quartiere, nei fuochi d’artificio che illuminano il cielo, trascorre il mese di luglio manifestando chiaramente l’essenza autentica della nostra gente. E mentre si intrecciano i fili della fede e della tradizione, emerge una consapevolezza antica e attualissima: che il sacro non è lontano, ma abita le nostre strade, i nostri riti e i nostri frutti.
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Cultura
La “volta” ritrovata: l’arcivescovo “svela” gli affreschi settecenteschi restaurati
Prezioso patrimonio di Biancavilla: nella chiesa dell’Annunziata risplendono le opere di Giuseppe Tamo

Un’opera restituita alla luce, memoria risvegliata, un segno di bellezza che attraversa il tempo: così Biancavilla ha accolto la presentazione ufficiale del restauro degli affreschi della Chiesa dell’Annunziata.
La cerimonia si è aperta con la celebrazione eucaristica presieduta da Mons. Luigi Renna, arcivescovo di Catania, seguita dalla conferenza di presentazione dei lavori della volta: un’opera ora visibilmente più luminosa, liberata dalla patina del tempo, da ritocchi dissonanti e dai cedimenti che avevano compromesso la sua integrità visiva e strutturale.
Un gioiello dentro uno scrigno
A introdurre e presentare l’incontro Dino Laudani, presidente della Confederazione diocesana delle confraternite, che ha ricordato come la Chiesa dell’Annunziata – autentico monumento cittadino – sia stata oggetto, negli ultimi decenni, di molteplici interventi conservativi. «Un gioiello dentro uno scrigno di fede e di arte», ha detto Laudani, sottolineando la continuità di un impegno collettivo nel custodire la bellezza.
Il parroco, don Giosuè Messina, ha ricostruito le origini dell’attuale restauro: «Tutto è iniziato nell’ottobre 2021. Dopo una pioggia battente, della polvere iniziò a cadere da una fessura, aperta dal terremoto del 2018. Fu un segnale. Da lì, con prudenza e speranza, partì il lungo iter verso il restauro». Un cammino reso possibile dal lascito testamentario della signora Maria Zammataro (39mila euro), dai 10mila euro di residui del fondo messo a disposizione della parrocchia da padre Placido Brancato (per quasi cinquant’anni parroco) e dalla generosità dei fedeli (poco più di 4mila euro). Il preventivo iniziale di 73.800 euro è salito a 82mila, coperto in gran parte da questi fondi.
Il sindaco Antonio Bonanno, presente all’incontro, ha annunciato lo stanziamento di 20.000 euro da parte del Comune per contribuire al saldo delle spese residue per un’opera che valorizza e impreziosisce la nostra città.

Una storia mai del tutto scritta
Il professor Antonio Mursia ha arricchito la conferenza con un’ampia contestualizzazione storica. Un documento del 1872 del Prefetto di Catania chiedeva una copia dell’atto di fondazione della chiesa: ma nemmeno allora, il prevosto fu in grado di fornirne una. Solo agli inizi del Novecento, lo storico Placido Bucolo riesce a ricostruire la storia della chiesa. A volerne la costruzione fu alla fine del Cinquecento Dimitri Lu Iocu, giurato della Terra di Biancavilla: un’iniziativa non solo religiosa, ma anche civile e politica. Nel 1714, grazie a un lascito di Maria Carace, si avviò l’ampliamento della chiesa, su progetto del magister Longobardus, figura di spicco nella progettazione ecclesiastica della diocesi.
Il restauratore: «Sobrietà e impatto visivo»
Il momento più tecnico dell’incontro è stato l’intervento del restauratore Giuseppe Calvagna. Gli affreschi della volta, realizzati nel Settecento da Giuseppe Tamo, erano stati eseguiti con la tecnica della pittura a secco, scelta versatile ma fragile nel tempo. Le infiltrazioni d’acqua, i terremoti e restauri maldestri effettuati tra Ottocento e Novecento – alcuni con latte di calce – avevano offuscato l’opera originale, coprendone i tratti e minacciandone la stabilità.
Il lavoro di restauro ha richiesto interventi strutturali complessi: consolidamento dell’intonaco con resine, fissaggio del colore per fermarne il distacco, rimozione di croste dure e sedimentazioni. Si è poi proceduto alla ricostruzione morfologica delle lacune e infine alla reintegrazione pittorica con colori ad acquerello, rispettando le tecniche conservative. «In alcune parti non abbiamo trovato tracce originarie – ha spiegato Calvagna – ma l’obiettivo è stato restituire leggibilità e armonia. Il risultato è un’opera sobria, equilibrata e di forte impatto visivo».
L’architetto Antonio Caruso, che ha diretto e mediato tra i diversi professionisti coinvolti, ha posto l’accento sull’importanza della manutenzione ordinaria. «Le opere architettoniche e decorative non sono eterne: richiedono attenzione costante, altrimenti rischiano danni irreversibili».
Il vescovo: «Immagini che toccano il cuore»
A chiudere, l’intervento dell’Arcivescovo Renna, che ha dato al restauro un significato teologico profondo: «Queste immagini non sono semplici rappresentazioni. Esse raccontano la fede: dalle antiche profezie che parlano di Maria, fino agli Evangelisti, immagini mariane e cristologiche che ci introducono al mistero della salvezza e che parlano fino ai nostri giorni restituendoci significati profondi. Come la simbologia dei fiori e della natura che fiorisce, segno più bello della redenzione dell’uomo. Nel ciclo possiamo trovare patristica, teologia, dogmatica, in un racconto che tocca ancora oggi il cuore dei fedeli.
Oggi, tra le volte luminose dell’Annunziata, quegli affreschi sembrano custodire una memoria silenziosa. Non parlano solo del passato, ma anche del presente e del futuro. Restano lì, tra luce e ombra, a ricordarci che ogni bellezza custodita è anche una forma di resistenza – contro l’oblio, contro il tempo, contro l’indifferenza.
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