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Impianto biogas a Rinazze, progetto modificato: spostato più a distanza

Il gruppo Asja, che ha acquisito la società Ch4, chiede incontro con Comune e imprese agricole

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«È nella fase finale del suo iter autorizzativo – avviato ormai quattro anni fa – il progetto di realizzazione a Biancavilla di un impianto di produzione di biometano rinnovabile e compost di qualità derivante da digestione anaerobica della Frazione Organica dei Rifiuti Solidi Urbani».

A specificarlo è il Gruppo Asja, che ha acquisito la società Ch4 Energy, promotrice del progetto nella zona di Rinazze, a sud di Biancavilla. Si tratta di uno dei due impianti di cui negli ultimi anni si è ampiamente parlato (l’altro è della società Greenex).

Quello della Ch4 –viene ribadito in una nota della società– «non tratterà in alcun modo rifiuti indifferenziati né rifiuti speciali e non brucerà alcunché».

E ancora: «Un impianto di biometano da rifiuti organici – utile sottolinearlo per i non addetti ai lavori – non è un termovalorizzatore. Questa tipologia di impianti costituisce oggi la più avanzata e sostenibile tecnologia per trattare i rifiuti organici dalla raccolta differenziata. Sempre più spesso le associazioni ambientaliste più attente e sensibili al tema, tra esse in particolare Legambiente, esprimono apprezzamento per impianti del genere e considerano la produzione di biometano e compost una opportunità per l’ecosistema e i territori».

«Nessun vincolo paesaggistico»

Sul progetto Ch4 associazioni ambientaliste e rappresentanti del mondo agricolo avevano espresso apprezzamenti per la tecnologia utilizzata. Ma allo stesso tempo avevano sottolineato le proprie riserve sulle dimensioni dell’impianto e sulla sua ubicazione. Osservazioni critiche condivise anche dal Comune di Biancavilla.

Adesso la società annuncia di avere modificato il progetto. «Al progetto iniziale dell’impianto –si fa sapere in una nota stampa– sono stati apportati alcuni adeguamenti che vanno incontro anche alle osservazioni mosse dal Comune di Biancavilla».

In particolare, viene specificato: «A seguito dei rilievi della Soprintendenza ai Beni Culturali di Catania e del Comune di Biancavilla, in riferimento all’esistenza di un vincolo paesaggistico (in verità sorto soltanto dopo che la società aveva presentato l’istanza), è stato adeguato il progetto originario. Accolte in toto le indicazioni della Soprintendenza: ora l’impianto ricade interamente in un’area non interessata da alcun vincolo. La Soprintendenza, con una nota ufficiale del 20 maggio 2021, rivedendo la propria posizione, ha accertato la totale assenza di vincoli, rimuovendo l’ostacolo alla realizzazione del progetto».

Non solo. C’è anche un altro elemento di novità. «L’adeguamento ha permesso di aumentare ancora di più la distanza dal centro abitato di Biancavilla (distanza già considerata dalle autorità ambientali, adeguata e conforme alle norme)».

L’impianto in un contesto agricolo

La società fa poi riferimento al tessuto agricolo di Piano Rinazze: «Le matrici organiche trattate dall’impianto sono costituite esclusivamente dalla Forsu, cioè il cosiddetto “umido” derivante dalla raccolta differenziata di famiglie, aziende agricole e commerciali, e dagli sfalci di potatura da verde pubblico o da attività agricole. L’impianto non tratterà in alcun modo rifiuti indifferenziati né rifiuti speciali. Il Gruppo Asja, considerata la particolare vocazione agricola del territorio nel quale sorgerà l’impianto, ritiene che ciò possa costituire una importante occasione di integrazione, anche in ragione della compatibilità e complementarità dell’impianto con l’attività agricola circostante».

Il processo di produzione del metano determina anche la produzione di compost biologico, che, come previsto dal progetto originario, servirà all’agricoltura locale.

Ancora l’azienda puntualizza: «Il processo di biodigestione anaerobica e la successiva biostabilizzazione aerobica assicurano la produzione di Compost Biologico di Qualità certificato. Questo potrà avere il suo maggiore (se non addirittura esclusivo) utilizzo proprio a favore dell’agricoltura locale. Il compost presenta elevate proprietà fertilizzanti, conservando il contenuto degli elementi nutrizionali per la crescita delle piante (azoto, fosforo, potassio)».

L’offerta di benefit al Comune

L’impianto previsto a Biancavilla non è l’unico di cui il Gruppo Asja si sta occupando. Altri impianti simili sono collocati o previsti in altre parti della Sicilia e anche in Umbria, Lazio, Lombardia e Piemonte.

«Per meglio comprendere e approfondire la tecnologia e l’effettivo insediamento dell’impianto nel territorio circostante, il Gruppo Asja offre la propria disponibilità a far visitare i propri impianti a chiunque fosse interessato del Comune di Biancavilla o della cittadinanza tutta. A tal proposito, il Gruppo Asja si è già reso disponibile a coinvolgere le aziende agricole di Piano Rinazze e gli altri soggetti interessati, in una costante attività di comunicazione e informazione sulla gestione dell’impianto e sull’andamento complessivo delle relative attività».

I vertici del gruppo aziendale, al riguardo, hanno già chiesto un incontro con l’amministrazione comunale di Biancavilla e le aziende agricole di Piano Rinazze. Già due anni, l’allora vertice della Ch4 era stato a Biancavilla. In particolare, Giovanni Petta aveva spiegato le ragioni della scelta del sito di Rinazze e i benefici che avrebbero offerto al Comune.

«Il Gruppo Asja ha inoltre manifestato la disponibilità a concordare con il Comune di Biancavilla l’applicazione duratura nel tempo, di condizioni economiche di particolare vantaggio per il trattamento della Forsu prodotta nel territorio comunale. Come avviene già in altri Comuni italiani, è anche possibile ipotizzare un ulteriore vantaggio per il Comune di Biancavilla che anche potrebbe percepire un introito economico, attraverso un onere applicato dalla società che gestisce l’impianto ai soggetti che conferiscono la Forsu, da destinare al Comune di Biancavilla quale beneficiario finale».

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Amianto, reportage da Biancavilla tra fatalismo ed enigmi ancora irrisolti

Circa 70 morti per tumore alla pleura, ma è allarme anche per altre patologie: sconosciute le cause

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© Foto Biancavilla Oggi

Il pericolo è nell’aria. Gli avvisi affissi lungo la recinzione metallica sono a caratteri cubitali: “Vietato l’ingresso, attenzione zona a rischio”. Siamo a Biancavilla, 23mila abitanti, ma la cartellonistica è da “Area 51”. E in effetti, l’alieno c’è. È un minerale fibroso altamente cancerogeno – annidato tra i rilievi di rocce vulcaniche qui chiamati di “Monte Calvario” – generato in epoche remotissime dai bollori dell’Etna e dai capricci delle eruzioni laviche. Sconosciuto in natura fino a quando, nel 2001, il prof. Antonio Gianfagna, ricercatore dell’Università “La Sapienza”, ne traccia l’identikit. È una nuova fibra, di colore giallo, simile all’amianto, a cui Gianfagna dà il nome di “fluoro-edenite”, registrandola all’International Mineralogical Association. Per uno scienziato della terra equivale alla scoperta di un pianeta da parte di un astronomo. Lo studioso de La Sapienza, tornato sei anni dopo sul “luogo del delitto”, scopre un secondo minerale ignoto: è la fluoroflogopite.

Eppure, non c’è da gloriarsi se monte Calvario sia diventato un geosito di interesse mondiale e Biancavilla sia finita negli abstract della letteratura scientifica internazionale con la fibrillazione di geologi, epidemiologi ed operatori della sanità pubblica.

Diverse attività di cava presenti nella zona di monte Calvario (un’appendice urbana estesa per 20 ettari), fin dagli anni ’50 hanno frantumato e sbriciolato le rocce laviche. Un ottimo materiale per l’edilizia, ma il risultato è che gran parte degli edifici del paese sia “contaminata” dalla fibra, riconosciuta cancerogena nel 2014 dall’International Agency for Research on Cancer, riunita a Lione con 21 esperti di 10 paesi europei per apporre il timbro dangerous sulla ‘polvere’ di Biancavilla.

«Un’epidemia di tumori pleurici»

«Un caso straordinario di inquinamento naturale dovuto ad un minerale che, disperso nell’aria e inalato, provoca effetti sulla pleura, la membrana di rivestimento dei polmoni», avevano sentenziato già i primi studi alla fine degli anni ‘90. Di morti per mesotelioma pleurico, a Biancavilla, se ne contano ufficialmente 70 negli ultimi 35 anni, ma si stima che i decessi reali siano il doppio.

«Una piccola epidemia di tumori pleurici», l’aveva definita Pietro Comba, quando da dirigente dell’Istituto Superiore di Sanità era stato tra i primi ad interessarsi del caso. Sì, proprio un’epidemia con percentuali anomale. Nel periodo 1980-2010, per esempio, si sono avuti 6 decessi per mesotelioma in persone al di sotto dei 50 anni contro 0,6 attesi: una mortalità 10 volte superiore. Anche in età giovanile, anche tra le casalinghe: a riprova che il rischio sia ambientale.

Qui, fare una banale manutenzione edile, stare fuori in giornate ventose o semplicemente… respirare costituiscono azioni a rischio. La vittima più giovane finora registrata è una ragazza di 27 anni.

«Mio figlio Dino, morto in 5 mesi»

Nell’elenco dei decessi per mesotelioma c’è anche Dino Ingrassia: è morto nel 2011 ad appena 33 anni, lasciando tre bambini. La mamma, Giusi Tomasello, è tra i pochi ad esporsi. La sua testimonianza umana e civile dà un’anima alle fredde statistiche. All’ingresso della sua abitazione, il manifesto mortuario ricorda il figlio con la sottolineatura “vittima dell’amianto”, la stessa riportata sulla tomba.

«Tosse e stanchezza – ricorda – sono stati i primi sintomi accusati da mio figlio. Pensava fossero passeggeri. Andava a lavorare, prendendo uno sciroppo per poi passare agli antibiotici. Ma già dalla prima visita e dalle radiografie, i medici non ci hanno visto bene e la diagnosi di mesotelioma pleurico è arrivata presto. Non sapevo nemmeno l’esistenza di questa malattia».

La signora parla con voce tremante e gli occhi lucidi: «Mio figlio se n’è andato in meno di 5 mesi e gli ultimi 26 giorni – dopo un intervento chirurgico – li ha passati in Rianimazione all’ospedale “Garibaldi” di Catania. Era nel pieno della vita quando ha lasciato i suoi tre bambini, il più piccolo dei quali di 10 mesi. Ora penso agli altri miei tre figli e ai miei nipoti. Mi preoccupo per loro e, se ci sono giornate ventose, l’angoscia è più forte. Vivo nel terrore e nella paura, mi auguro che monte Calvario, da cui tutto ha avuto origine, venga risanato e reso innocuo».

Monte Calvario, in attesa della bonifica

Ecco, appunto: riflettori accesi su monte Calvario. Se nel 1998, le attività di cava erano state interrotte con ordinanza dell’allora sindaco Pietro Manna, la culla della fluoro-edenite è da bonificare per farne un grande parco verde. I lavori – attesi da 25 anni – sono cominciati formalmente lo scorso febbraio.

Un iter lungo e tortuoso, come ricorda il sindaco Antonio Bonanno, mentre si addentra sui dossier ‘amianto’ sparsi sulla sua scrivania: «Nel 2026 dovremmo vedere quell’area – sorgente di morte e dolore – trasformata in un “parco della vita” fruibile dalla nostra città».

Nell’attesa di poterci andare a passeggiare e che la città abbia il suo polmone sano, tutt’intorno la vita quotidiana procede incurante del nemico invisibile. Un bambino scorrazza in bicicletta, sollevando un polverone ogni volta che passa sul terriccio. Poco più in là, in un magazzino, operai sono alle prese con dei bancali. Dal balcone di casa, una donna scuote la tovaglia tolta dalla tavola, a pranzo terminato. «Io vivo qua da quando sono nato, di qualcosa si deve pur morire», dice un anziano, in linea con il fatalismo dei biancavillesi: se il pericolo non è visibile – è l’assurdo ragionamento dominante – perché allarmarsi?

Oltre 4000 immobili da sanare

Sia chiaro: monte Calvario non è l’ultimo step della bonifica. Secondo l’Ufficio Tecnico Comunale, ci sono 4300 case costruite nel periodo 1956-1998 con materiale di cava. Gli intonaci esterni (complessivamente 2 milioni di metri quadri) andrebbero messi in sicurezza con “vernici incapsulanti”, così come già fatto negli edifici pubblici una quindicina di anni fa.

Sarebbe una bonifica ambientale di un intero centro abitato senza precedenti al mondo, con costi stimati in 150 milioni di euro, a cui aggiungerne altri 2,5 per realizzare una discarica di inerti. Un gigantesco intervento che, sommato ad accorgimenti di prevenzione durante i lavori edili, farebbe scendere verso lo zero il rischio dell’inalazione delle fibre aerodisperse. 

Certo, nel fascicolo di indagine sul minerale-killer ci sono ancora tanti punti oscuri, a cominciare dal dettaglio drammatico che nel centro etneo la mortalità e i ricoveri ospedalieri siano in eccesso non solo per neoplasie alla pleura, ma anche per altre patologie.

L’allarme del rapporto “Sentieri”

Sul banco degli imputati, figura ancora la fibra di monte Calvario. A confermarlo è il sesto rapporto Sentieri sul monitoraggio dei siti italiani contaminati, appena pubblicato dal ministero della Salute e dall’Istituto Superiore di Sanità.

«Vanno implementati – riporta il capitolo su Biancavilla – studi specifici sul comportamento della fluoro-edenite, in particolare per l’azione fibrogena sul polmone. Sono ignoti, inoltre, gli eventuali effetti di questa fibra a carico di altri apparati, come quello cardiocircolatorio, le cui patologie in questo sito si confermano costantemente in eccesso».

Tumori polmonari, placche pleuriche e patologie dell’apparato respiratorio hanno un’incidenza fuori norma.

«Vanno proseguiti – raccomanda il rapporto – la sorveglianza sanitaria della popolazione di Biancavilla e il monitoraggio ambientale per identificare le fonti di esposizione potenzialmente ancora presenti, indagando i livelli di esposizione in tutte quelle attività che comportino movimentazione del terreno e rilascio di fibre da intonaci e opere murarie».

Biancavilla, un paese-laboratorio

Una storia che non può ancora essere archiviata, dunque. Biancavilla resta un paese-laboratorio con enigmi irrisolti. Così, un altro triste primato del centro etneo – una settantina di soggetti colpiti da sclerosi multipla, cioè il doppio rispetto a quelli attesi – potrebbe essere spiegato scrutando ulteriormente sulla geologia territoriale.

Trattandosi di malattia neurologica, la fluoro-edenite non dovrebbe avere responsabilità. Ma potrebbero influire altri fattori ambientali o sostanze naturali, come ipotizza un primo studio del Policlinico di Catania. Se il minerale-killer è stato scovato, ora tocca dare la caccia ai suoi complici.

(Tratto da S – il mensile d’inchiesa dei siciliani / Marzo 2023 / di Vittorio Fiorenza)

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