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Un nuovo libro sull’epoca di Peppone e Don Camillo a Biancavilla e ad Adrano

La democrazia riconquistata: fatti, personaggi e testimonianze raccontati da Carmelo Bonanno

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Sono gli anni immediatamente successivi alla caduta del fascismo, alla liberazione e alla fine della guerra. Anni carichi di speranza, durante i quali si ricostruiscono i partiti e si procede alle prime elezioni, mentre le macerie dei bombardamenti sono sulle strade. Sono gli anni in cui, dopo il Ventennio di una dittatura asfissiante, si affermano nuovi protagonisti politici.

È la storia della democrazia riconquistata, così come vissuta a Biancavilla e ad Adrano, in un periodo segnato da movimenti politici, mobilitazioni popolari, lotte di emancipazione e per i diritti.

A raccontarla, nel volume “Biancavilla e Adrano agli albori della democrazia”, è Carmelo Bonanno per “Nero su Bianco Edizioni”. Un libro ricco di dettagli e testimonianze di coloro che hanno vissuto quello straordinario biennio 1946-1948.

Un periodo di forti contrapposizioni sociali e politiche, tra occupazioni delle terre e “scioperi a rovescio”, e battaglie all’ultimo voto. Il fronte democristiano e quello comunista, l’attivismo della Chiesa e della Camera del lavoro, delle cooperative agricole e dei latifondisti, la militanza e la propaganda di tante donne: le “bizzoche” cattoliche fedeli allo Scudocrociato e le mogli dei capipopolo con bandiere rosse e Falce e martello.

Un fervore che determina la ricostituzione dei partiti, l’organizzazione di nuove e libere elezioni a suffragio universale, il reinsediamento di sindaci e consiglieri comunali.

Fatti e personaggi di Biancavilla e Adrano rivivono in queste pagine, attraverso il racconto appassionato di Carmelo Bonanno, avvalendosi di preziose testimonianze: Ciccino Cuscunà, Giuseppina Finocchiaro, Placido La Spina, Andrea Laudani, Middio Garufi, Alfio Grasso, Franca Portale, Lello Rapisarda, Salvatore Schillaci, Lina Scuderi e Giosuè Zappalà.

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Il “viaggio” per Sant’Alfio e l’ex-voto di un biancavillese “miracolato” nel 1943

Il tradizionale pellegrinaggio a Trecastagni: una devozione popolare espressa anche con tavole dipinte

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Il nove e il dieci maggio, mentre ai piedi della Montagna incalza la primavera, un lungo, spontaneo corteo ogni anno si snoda nella strada che congiunge i paesi etnei. Viva sant’Affiu! si sente di tanto in tanto echeggiare in una invocazione intima che diventa esplosione di forza, di patos e di fede.

Centinaia di pellegrini da Adrano, Biancavilla, Santa Maria di Licodia, Ragalna, Paternò si uniscono a quelli di Belpasso, Nicolosi e Pedara. Una fila sempre più numerosa e fitta man mano che ci si avvicina a Trecastagni. Qui sorge il Santuario dedicato ai santi Alfio, Filadelfio e Cirino. Ed è qui che si svolge una tra le più importanti, colorate e caratteristiche feste della Sicilia.

Totale fiducia nel Divino

L’esistenza dei nostri avi è stata sempre caratterizzata da un’incondizionata fiducia nel Divino. Di frequente essi si rivolgevano a Dio, alla Madonna e ai santi per ricevere quello che la realtà della vita negava o minacciava seriamente. Una malattia, un disastro economico, oppure un pericolo improvviso, spingevano a rivolgersi a Coloro che tutto potevano. La richiesta di una grazia particolare, urgente ed estremamente necessaria, induceva a legarsi a un santo mediante un voto, ovvero la promessa di un dono o di un gesto che avrebbe comportato un sacrificio da parte di chi lo emetteva e l’affidamento totale al protettore.

Una devozione antica

Nella Sicilia Orientale, il culto verso questi martiri si diffonde soprattutto dopo il 1516, in seguito al ritrovamento dei loro corpi presso il monastero di San Filippo di Fragalà.

A Biancavilla la devozione verso i tre fratelli – molto viva e sentita anche oggi – presumibilmente è stata portata alla fine del Seicento quando, a seguito dell’eruzione del 1669 e del terremoto del 1693, nel nostro territorio si stabilirono diversi abitanti di Trecastagni, Nicolosi e Pedara che già li veneravano. L’espressione di culto più diffusa tra i biancavillesi è “u viaggiu” dalla propria casa fino al santuario (a circa 25 chilometri). Il viaggio a piedi (spesse volte scalzi) oppure di corsa, nudi (con pantaloni corti bianchi e una fascia rossa sul torace), con candele e grossi ceri di svariate decine di chili, viene compiuto per portare a compimento a prummisioni, la promessa.

Un secolo fa, la stessa strada era percorsa da decine e decine di carrozze che accompagnavano i pellegrini a Trecastagni per poi tornare a prenderli all’ora stabilita. Ogni carrozza nell’arco delle ventiquattro ore faceva anche otto o nove viaggi. Altri si organizzavano come potevano: con muli, cavalli o a piedi per l’andata e il ritorno.

Fino agli anni ’50, era possibile vedere qualche devoto all’ingresso della chiesa sciogliere il suo voto mettendosi “cc’a lingua a trascinuni” sul pavimento, per arrivare così fino al presbiterio. Tale pratica eccessivamente cruenta è stata abolita. Oggi, giunti nel santuario, l’invocazione si manifesta col grido «È vostri peri semu, sant’Affiu» oppure «Ccu tuttu u cori, sant’Affiu», prima di inginocchiarsi e pregare silenziosamente.

Cercando tra gli ex-voto

Il pellegrinaggio generalmente continua con la visita alle sale del Santuario. Qui sono presenti migliaia gli ex-voto, prodotti a partire dall’Ottocento, in quello che è stato definito il museo del dolore e della fede.

Quadretti raffiguranti il miracolo ricevuto e manufatti in cera con sembianze anatomiche. Manufatti raffiguranti cuori, gambe, reni, mani, mammelle che testimoniano guarigioni di altrettanti parti del corpo affette da malattie. Bavaglini o indumenti richiamano l’evento di una nascita desiderata e ottenuta dopo tante preghiere. E ancora: stampelle, protesi e tanti altri oggetti indicano la fede semplice e forte di chi li ha donate.

Cercando tra le immagini naif addossate alle pareti, troviamo un “miracolo” (così vengono chiamate comunemente le tavolette dipinte) che rappresenta l’evento riguardante proprio un biancavillese. L’episodio raccontato reca in basso la scritta:

MIRACOLO CONCESSO A LA DELFA PLACIDO DI PASQUALE DA BIANCAVILLA IL GIORNO 11 AGOSTO 1943 MENTRE PERCORREVA COL CARRO LO STRADALE NEI PRESSI DI SFERRO UNA MINA RESIDUO DI GUERRA ESPLODEVA LASCIANDOLO MIRACOLOSAMENTE SALVO.

E così uno scampato pericolo, un fatto ritenuto soprannaturale, assieme alle altre testimonianze, ancora oggi riesce a raccontare la religiosità e le credenze. Ma anche i costumi, le pratiche e i modi di vivere della nostra gente e della nostra terra nei tempi passati. La nascita di un figlio, il completamento di una casa, l’avvenuto matrimonio erano occasioni irrinunciabili per “andare a sant’Alfio”. Un dovere religioso dal quale nessuno si poteva astenere.

Di ritorno, spendendo pochi spiccioli, era obbligo poi portare a casa, oltre all’immancabile immagine dei tre martiri, un mazzo d’aglio novello, un berretto col pompon (‘a coppila cc’u giummu), un tamburello o un fischietto. Era uso appenderli dietro la porta, allo scopo di augurare felicità e serenità a tutta la famiglia e auspicare che quel giorno di primavera potesse prolungarsi per l’intero anno.

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