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Cultura

Un “quaderno” di vecchie storie: così c’è chi cerca “i caterni di sa nannu”

Per indagare sull’origine dell’espresione partiamo dal termine latino medievale “quaternum”

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Non sono molti, ne siamo certi, i biancavillesi che usano e conoscono il significato di questa espressione: i caterni di sa nannu. Essa si usa(va) come complemento oggetto di verbi come circari, scamminari in frasi del tipo a cchi-cci va circannu i caterni di sa nannu! per invitare sarcasticamente qualcuno a non cercare di portare alla luce o di indagare “vecchie storie e faccende intricate e spiacevoli, che è preferibile non rivangare”.

Troviamo un significato simile di caterni, plurale di caternu, in un bozzetto drammatico di Domenico Tempio, Li Pauni e li Nuzzi. Ecco una scena di dialogo tra Giovi e Giununi:

Giun. Dunca stu ciarlatanu

Ti sedussi a stu signu, chi mi dai

Sti tossici e malanni

A cui? A una mugghieri di tant’anni?

Giov. Sì, quann’iu nun sapissi?

Quantu si trapulera. Ti scurdasti

Di li tempi d’Enea?

Giun. Vai arriscidennu

Chisti caterni vecchi, e dì chiuttostu

Ca si chinu a li naschi, e vai circannu

Pretesti…

Altri significati di caterni, registrati nel Vocabolario Siciliano e localizzati per lo più nella Sicilia orientale, sono a) “cartacce o altra roba in utile”, b) “confusione di oggetti di varia forma”, c) “imbrogli, impicci”, d) “pretesti, sotterfugi per non fare qualcosa”, e) “capricci, pretese futili” e, infine, f) fari caterni “fare pettegolezzi”.

A Biancavilla rivangare è… “scatirnari”

Per renderci conto dell’origine della parola, basta partire dal singolare caternu che significa “quaderno” o “quinterno”, dal latino medievale quaternum. Si tratta di un termine storico, di ambito letterario e giuridico, come il Caternu di Senisio, una raccolta di documenti amministrativi, scritti in siciliano e in latino. Ma aveva anche il valore di “elenco”, “lista”, come si evince dal seguente proverbio: marìtati c’abbenti, ti menti a lu caternu di li vai.

Da caternu deriva scatirnari che dal significato di “squadernare, sfogliare le pagine di un quaderno o di un libro, scartabellare” ha assunto quello registrato a Biancavilla di “rovistare, frugare” e soprattutto “rivangare cose vecchie e dimenticate”, come nella frase vadda cchi-gghjìu a scatirnari! “guarda che cosa è andato a rivangare!” o, ancora meglio, in questi versi di Alfio Pelleriti dedicati al poeta Antonio Bruno:

Nto paisi c’è n’usanza nova:

sburricari n’omu ca si fici onuri

e scatirnari d’iddu i malanova.

Ora ci ncasciau cu Brunu, lu scritturi.

Di scatirnari esiste in Sicilia un omonimo che ha tutt’altro significato (“dissodare un terreno”) e tutt’altra origine.

PER SAPERNE DI PIU’

“La Sicilia dei cento dialetti” di Alfio Lanaia

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© RIPRODUZIONE RISERVATA

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Chiesa

Nella chiesa dell’Annunziata restauri in corso sui preziosi affreschi del ‘700

Interventi sulle opere di Giuseppe Tamo, il parroco Giosuè Messina: «Ripristiniamo l’originaria bellezza»

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All’interno della chiesa dell’Annunziata di Biancavilla sono in corso i lavori di restauro del ciclo di affreschi della navata centrale, della cornice e dei pilastri. Ciclo pittorico di Giuseppe Tamo da Brescia, morto il 27 dicembre 1731 e sepolto proprio nell’edificio sacro.

Gli interventi, cominciati a febbraio, dovrebbero concludersi a giugno, ad opera dei maestri Calvagna di San Gregorio di Catania, che ben conoscono hanno operato all’Annunziata per diversi restauri negli ultimi 30 anni.

Il direttore dei lavori è l’arch. Antonio Caruso, il coordinatore per la sicurezza l’ing. Carmelo Caruso. Si procede sotto l’alta sorveglianza della Soprintendenza ai Beni culturali e ambientali di Agrigento.

«Quest’anno la Pasqua è accompagnata da un elemento che è il ponteggio all’interno della chiesa. Il ponteggio – dice il parroco Giosuè Messina – permette il restauro della navata centrale e delle pareti, per consolidare l’aspetto strutturale della volta e ripristinare la bellezza originaria  dell’apparato decorativo. Chiaramente questo ha comportato una rivisitazione del luogo, soprattutto con l’adeguamento dello spazio per permettere ai fedeli la partecipazione alla santa messa».

«In questa rivisitazione dei luoghi liturgici, l’Addolorata – prosegue padre Messina – quest’anno non ha fatto ingresso all’interno della chiesa a seguito degli spazi limitati, ma abbiamo preparato l’accoglienza in piazza Annunziata, esponendo anche esternamente la statua dell’Ecce Homo. La comunità, insieme ai piccoli, ha preparato un canto e poi il mio messaggio alla piazza. Un messaggio di speranza: le lacrime di Maria sono lacrime di speranza».

I parrocchiani dell’Annunziata stanno sostenendo le spese del restauro, attraverso piccoli lasciti e piccole offerte, per ridare bellezza a questo luogo di culto, tra i più antichi di Biancavilla.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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Cultura

Il Venerdì santo del ’68: l’Addolorata in processione nel mondo in rivolta

Uno scatto inedito ritrae i fedeli in via San Placido: la devozione popolare in quell’anno turbolento

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© Foto Biancavilla Oggi

L’immagine in bianco e nero, qui sopra a destra, che per la prima volta viene staccata da un album di famiglia e trova collocazione su Biancavilla Oggi, ci restituisce il frammento di una processione della Madonna Addolorata. Il corteo avanza compatto in via San Placido, a pochi passi dall’ingresso del “Cenacolo Cristo Re”. Sullo sfondo, il monastero “Santa Chiara”, dalla cui chiesa il simulacro è appena uscito. Donne eleganti nei loro tailleur, borsette al braccio, volti composti, sorrisi accennati. Uomini in abito scuro, qualcuno in cravatta, qualche altro con la coppola.

Non è un anno qualsiasi: è il Sessantotto. È il 12 aprile 1968: quella mattina del Venerdì Santo, a Biancavilla la storia aveva un sottofondo diverso. Lo scatto fotografico dell’affollata processione, che qui pubblichiamo, coglie un istante di vita di provincia, mentre il mondo era in rivolta.

Otto giorni prima, a Memphis, Martin Luther King veniva assassinato. Negli Stati Uniti, le fiamme delle proteste bruciavano il sogno della nonviolenza. In Italia, gli studenti occupavano le università, lanciando un’ondata di contestazione che avrebbe investito scuole, fabbriche e palazzi del potere. La primavera di Praga era nell’aria, prima che le speranze di libertà finissero sotto i carri armati sovietici. A Parigi, il Maggio francese era pronto a farsi sentire in tutto il suo fragore. E in Vietnam, la guerra e il napalm trucidavano vite e coscienze.

Ma a Biancavilla, in quel venerdì di aprile, la processione dell’Addolorata si muoveva lenta e composta, come ogni anno da secoli. La scena è cristallizzata. Nessuna spettacolarizzazione, nessuna teatralità: soltanto un popolo di fedeli che cammina, che prega, che resta unito nel dolore di Maria. Come se quel dolore universale della Madre che ha perso il Figlio, bastasse a rappresentare anche le inquietudini del presente. Come se, nella liturgia popolare, ci fosse spazio per elaborare anche i drammi collettivi del mondo.

È una Biancavilla ancora intima e raccolta. Ma non per questo isolata del tutto. È semmai una Biancavilla che custodisce le sue radici quando tutto corre verso il cambiamento, necessario e inevitabile. In quella processione religiosa, c’è forse un senso di continuità che si oppone all’instabilità: un tentativo di conservare la tradizione nell’impellenza della modernità.

Riguardare oggi questa fotografia, dunque, non è affatto un esercizio di nostalgia. È un atto di lettura storica e culturale, in un accostamento tra quotidianità locale (racchiusa in quell’istantanea di via San Placido) e narrazione globale (come nell’iconica ragazza col pugno chiuso tra le vie parigine). È vedere come una comunità, anche in quell’anno turbolento, sceglieva di riconoscersi nei propri riti. Non per chiudersi al mondo, ma per affrontarlo con una dichiarazione silenziosa di identità: «Noi siamo ancora qui. Insieme. Anche se il mondo cambia. Anche se tutto sembra franare».

Non è distacco o indifferenza. Il vento del Sessantotto, con la sua carica rivoluzionaria e il sovvertimento di canoni sociali e tabù familiari, in qualche modo, arriverà poi (finalmente) pure a Biancavilla, minando le fondamenta del patriarcato, della sudditanza femminile, della cappa clericale e di tutte le altre incrostazioni e arretratezze. Una battaglia di civiltà e progresso ancora aperta, da rendere viva e riadattare anche oggi, in questo Venerdì santo 2025, nel quale movenze e itinerari dell’Addolorata si riproporranno intatti e immutati.

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