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Rimanere “n càlia” e “n cammisa”… come le donne delle colonie albanesi

Il significato è “ridursi sul lastrico” e rimanda alla reticella di seta con cui si adornava la testa

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Un’espressione che forse non si conosce e non si usa più a Biancavilla è rristari o rridducìrisi n càlia e n cammisa col significato di “ridursi sul lastrico”, in riferimento a una persona a cui sono andati male gli affari e ha perso tutto. Per restare nell’ambito dei capi di vestiario, come ci suggerisce la cammisa “camicia”, un’equivalente espressione dell’italiano è rimanere in mutande oppure, nell’Italia settentrionale, rimanere in braghe di tela. En passant, anche mio padre chiamava le mutande càuz’i tila.

Tornando ora alla nostra espressione, bisogna ammettere che è veramente difficile per chi voglia spiegare rridducìrisi n càlia e n cammisa non associare la parola càlia del modo di dire alla càlia, noto arabismo, con cui in tutta la Sicilia si chiamano collettivamente i “ceci tostati”. Questa facile associazione è tuttavia fallace e non può che condurci in un vicolo cieco.

La strada da seguire è invece quella della comparazione e chiederci se in altre parti della Sicilia si usa o si usava qualche espressione simile alla nostra. Le aspettative non rimangono deluse, poiché una ricerca nella lessicografia siciliana, attraverso il Vocabolario Siciliano (fondato da G. Piccitto, a cura di G. Tropea e S. C. Trovato, 5 voll., 1977-2002), ci fa scoprire una variante molto interessante, rristari n càiula e cammisa “ridursi sul lastrico”. In questa variante, al posto del nostro càlia troviamo càiula, un nome dai molti significati, di cui uno fa proprio al caso nostro. I vocabolari siciliani, a partire dal Settecento registrano, infatti, càiula (cajula) col significato di “reticella di seta o di filo usata dalle donne delle colonie greco-albanesi per adornarsi il capo”.

Restare… quasi nudi

A questo punto la nostra espressione risulta chiarita e ben motivata nelle sue componenti lessicali e semantiche, e si potrebbe rendere alla lettera con “restare o ridursi con reticella (sulla testa) e in camicia (da notte)”, cioè quasi nudi. La parola indicava anche altri indumenti, come, ad esempio, la “sottocuffia per neonati”, mentre a Licata è noto il proverbio bbirritta canusci càiula cioè “un diavolo conosce l’altro”.

Dalla Raccolta di proverbj siciliani ridutti in canzuni (1842) dell’abate catanese Santo Rapisarda trascriviamo la seguente ottava (LII):

Si voi ca la furtuna non t’annasa,

Cu jocu e donni non pigghiari ’mprisa,

Misura cu lu tumminu a la rasa

Chiddu chi tu non curi, e pigghi a risa.

Non teniri fistini a la to casa,

La manu larga tenila riprisa,

Ca si ti metti a fari larga spasa,

Tu ti riduci ’ncajula e ’ncammisa.

Ora, se è ben chiaro che càlia “reticella”, variante che deriva da una metatesi interna di càiula, è altra cosa rispetto a càlia “ceci tostati”, e che dunque siamo in presenza di un caso di omonimia, tant’è che i vocabolari dialettali registrano càlia “ceci…” e càlia “omento del maiale”, rimane da spiegare, se possibile, l’origine di càiula.

Il termine dialettale, registrato in molti inventari dotali (vedi ad esempio Une maison de mots di G. Bresc Bautier e H. Bresc, 2014), è attestato in tutta l’Italia meridionale sin dall’XI secolo e deriva, secondo Franco Fanciullo, dal diminutivo del latino cavea (cavĕa > caja > càjula) o da plaga(claja > caja > càjula), in entrambi i casi nel senso di reticella. Quest’ultimo è dunque il significato fondamentale che spiega anche quelli di a) “bava con cui il baco da seta costruisce il bozzolo” e b) “omento, membrana a forma di reticella che avvolge gli intestini degli animali”.

PER SAPERNE DI PIU’

“La Sicilia dei cento dialetti” di Alfio Lanaia

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Cultura

Zora, Scenzio, Ponzio, Lionella…: i nomi diffusi a Biancavilla ad inizio del 1600

Ricerca onomastica sugli antichi registri dei matrimoni, con una sorpresa: non ci sono “Elemosina”

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Come ci informa Enzo Caffarelli, uno dei maggiori esperti italiani di onomastica, «negli anni Ottanta del secolo scorso due francesi, Philippe Besnard e Guy Desplanques, hanno inventato un dizionario onomastico molto particolare, che documentava la posizione di un nome in una parabola ideale» in cui  «ogni nome, quale più e quale meno, attraversa nella sua “carriera sociale” una fase ascendente cui fa seguito, dopo aver raggiunto il vertice, una fase discendente fino all’obsolescenza pressoché totale, per poi ricominciare, a distanza di 100-130 anni il medesimo percorso».

Se questo è vero, potendosi documentare per alcuni nomi propri che attraversano questa parabola ideale (per esempio Emma, Costanza, Matilde ecc.), è altrettanto dimostrabile che certi nomi propri, adottati sulla base delle mode onomastiche presenti in ogni tempo, hanno una loro vita e un loro prestigio che dura un tempo più o meno lungo, ma, come accade anche al lessico comune, diventano prima obsoleti, poi scompaiono per sempre, in quanto cambiano le mode, le ideologie, i rapporti sociali all’interno dei quali si impongono i nomi propri.

I file del Comune e le carte della Chiesa Madre

In un articolo su Biancavilla Oggi (4 ottobre 2020), l’autore, attraverso la consultazione dei file dell’anagrafe del Comune di Biancavilla, constata che nessuno, a partire dal 1994, chiama la propria figlia Elemosina e quindi tale nome devozionale è destinato all’estinzione. Elemosina rappresenta forse per Biancavilla il caso più emblematico, «a dispetto della devozione che manifesta la comunità cattolica locale verso quell’immagine sacra di Madre dal volto tenero ed affettuoso, con in braccio il Bambino». Esistono tuttavia diversi casi di nomi un tempo usati a Biancavilla e oggi dimenticati, se non proprio ignorati.

Pur non disponendo di una vera e propria banca-dati dei nomi di persona usati in passato a Biancavilla, può risultare utile la consultazione dei registri dei matrimoni della Chiesa Madre, in particolare quello più antico che registra i matrimoni celebrati a Biancavilla dal 1599 al 1637.

L’assenza del nome “Elemosina”

Va osservato preliminarmente che, se risulta normale l’assenza del nome Placido, in quanto il culto per il santo martire è iniziato a Biancavilla nei primi del Settecento, meno ovvia è l’assenza del nome Elemosina, dal momento che il culto della Madonna dell’Elemosina affonderebbe «le sue radici nella fondazione stessa della città».

In realtà, dal registro dei matrimoni sembrerebbe che tale culto sia stato incrementato e favorito dopo il 1630. Solo a partire dal 1631, infatti, i cappellani che registrano i matrimoni, aggiungono che la Chiesa Madre (Matricis ecclesia) è «sub titulo Divae Mariae Elemosinae».

La diffusione di nomi balcanici

Nei primi anni del ’600 erano ancora vivi alcuni nomi di origine balcanica, portati dai fondatori albanesi. Si tratta spesso di nomi che, pur presenti ancora oggi, tradiscono nella loro forma un’origine straniera. È il caso, per esempio, di Alessi, usato attualmente come cognome e presente come nome proprio nella forma Alessio.

Un altro nome di origine balcanica era Dimitri, che troviamo associato a un cognome, Burreci, di sicura origine albanese. La forma moderna di questo nome è ovviamente Demetrio che, tuttavia, non ha un rapporto diretto col precedente. Troviamo ancora un Todaro (Burreci), che a distanza di secoli riappare come cognome, Todaro, come soprannome, Tòtaru, ma come nome proprio Teodoro.

Se, come ci informa l’articolo di Biancavilla Oggi, «gli elenchi dell’anagrafe di Biancavilla riportano solo un cittadino col nome del “protopatrono”», cioè Zenone, il registro dei matrimoni testimonia un Zenonio.

Anche il nome femminile Catrini, insieme al suffissato, Catrinella, tradisce la propria origine greco-albanese, rispetto a quello usato attualmente, Caterina. Il nome Agata, di tradizione latina, aveva già soppiantato, agli inizi del Seicento l’unica variante di tradizione bizantina che ci conserva il registro dei matrimoni, Agathi, cristallizzatasi nei cognomi D’Agati e Santagati. Senza potere escludere che altri nomi siano stati latinizzati, l’ultimo nome di sicura origine balcanica è Zora, ancora usato in area slava, ma del tutto assente ora a Biancavilla.

Quei nomi allora “di moda” ormai estinti

Oltre a questi nomi legati in qualche modo ai fondatori albanesi di Biancavilla, il registro testimonia la presenza di altri nomi che adesso sembrerebbero estinti o con una bassissima frequenza. Lasciando volentieri il compito a chi vorrà consultare gli elenchi anagrafici del comune, vorrei sottoporre all’attenzione dei lettori alcuni nomi propri usati a Biancavilla nei primi decenni del Seicento e ora molto probabilmente abbandonati del tutto.

Fra i nomi maschili saltano all’occhio: Manfrè, modernamente Manfredi, conservatosi come cognome; Gilormo, modernamente Girolamo, assieme al più diffuso, Geronimo; Cusimano e/o Cuximano, forse per devozione a San Cusimano, presente ora in Sicilia come cognome, Cusimano, Cusumano; di Cruciano sono adesso registrati meno di 5 casi in Italia, secondo l’ISTAT, mentre nessun bambino è registrato adesso coi nomi di Scenzio, Ponzio, presenti invece nel nostro registro assieme a Ortensio, di uso rarissimo in Italia.

Fra i nomi femminili piace ricordare, oltre a Cruciana, Ponzia e Scienzia, alcuni che erano alla moda in quel periodo, anche se di tipo non devozionale, come Angirella (usato nelle famiglie Patania, Fallica e Florenza), Lionella, Paurella, Supranella,Volanti (Violante?), Gratiusa (Graziusa). Il fascino che ha sempre suscitato la città di Venezia ha travalicato i confini al punto da essere usato come nome proprio per le donne: il registro ci conserva Venezia e la var. grafica Venecia. Ma anche il nome della nostra regione era considerato così prestigioso da indurre la famiglia Petrana a chiamare Sicilia la propria figlia.

Il caso di “Bitturda”

Se questi nomi propri si sono obliterati in quanto soppiantati dalle nuove mode, qualche altro non è attecchito perché, già allora, ritenuto poco prestigioso. Il registro ci conserva, per esempio, una Bitturda (= Bertolda) trasferitasi a Biancavilla da Tripi, nel Messinese.

Certo, non possiamo prevedere il quando, ma come si ricava dalla storia dei lunghi periodi, un nome considerato “brutto” e abbandonato, perché associato a certi ambienti socio-culturali, può essere rivalutato in un altro periodo in cui, secondo la moda del momento, sembrerà essere dotato di prestigio, perché, per esempio, la bisavola, donna bella e affascinante, portava quel nome, o magari perché il personaggio di un romanzo o di un film lo ha reso celebre.

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