Cultura
Si può essere o “allunati” o “nzalinuti”: quando la colpa… è della Luna
Due parole usate a volte come forme di insulto nei confronti di chi è confuso o duro di comprendonio


Nelle credenze popolari il “male di luna” corrisponde alla licantropia, una rara forma di grave psicopatologia che conduce al delirio di trasformazione somatica ovvero alla folle credenza dei pazienti di potersi trasformare in animale. Nella novella pirandelliana Il male di luna, il protagonista Batà racconta come abbia preso questo male e dice
che la madre da giovane, andata a spighe, dormendo su un’aja al sereno, lo aveva tenuto bambino tutta la notte esposto alla luna; e tutta quella notte, lui povero innocente, con la pancina all’aria, mentre gli occhi gli vagellavano, ci aveva giocato, con la bella luna, dimenando le gambette, i braccini. E la luna lo aveva «incantato». L’incanto però gli aveva dormito dentro per anni e anni, e solo da poco tempo gli s’era risvegliato. Ogni volta che la luna era in quintadecima, il male lo riprendeva. Ma era un male soltanto per lui; bastava che gli altri se ne guardassero: e se ne potevano guardar bene, perché era a periodo fisso ed egli se lo sentiva venire e lo preavvisava; durava una notte sola, e poi basta.
Gli influssi negativi della luna sulle persone (parliamo sempre di credenze popolari, ovviamente), tuttavia, non sono sempre così devastanti come la licantropia che si è manifestata nel personaggio pirandelliano o in tanti altri personaggi, letterari e non, che un tempo popolavano il mondo di bambini e adulti di incubi. Altri influssi della luna, si diceva, sono meno pericolosi ma probabilmente molto più diffusi di quanto si possa credere. Si tratta di un ‘male della luna’, dunque, di minore entità, tanto da non lasciare tracce consistenti nelle credenze popolari o nella letteratura.
Ci sono due parole, due aggettivi, a volte usati a Biancavilla, ma non solo, come forme di insulto, se vogliamo, che vengono pronunciati all’indirizzo di chi è confuso, di chi non ci sta con la testa, di chi è stordito, intontito, duro di comprendonio o momentaneamente fuori di sé.
Il primo, presente a Biancavilla, è llunatu (altrove allunatu) che non significa “allunato”, nel senso di sbarcato sulla luna, ma in quello di “stordito”, “confuso”, “che non ci sta con la testa” ecc. in quanto colpito dall’influenza negativa della luna. Anche in italiano, pur con significato leggermente diverso, abbiamo lunatico. Linguisticamente llunatu deriva dal part. di llunari (allunari) “rimanere fisicamente stordito, ad es. per un frastuono o confusione, o anche stando, a lungo, sotto la sferza del sole”. Una fonte lessicografica dell’Ottocento ci conserva l’interessante significato di “subire l’influsso malefico della luna”, mentre da altre fonti lessicografiche dei sec. XVII-XVIII apprendiamo che allunari significava “cominciare a diventare stantio, o addirittura a putrefarsi, di carne e soprattutto di pesce”. Potenza della luna!
Ancora più interessante è l’altro aggettivo, nzalinutu (anche nzalanutu e nzalunutu), anche questo usato a Biancavilla. È derivato dal participio di nzaliniri (nzalaniri, nzaluniri) “rimanere confuso e stordito”, “perdere la testa, confondersi per il frastuono di molte voci”. Altrove, in Sicilia, può significare “rabbrividire, trasalire”, “imbizzarrirsi, di animali in foia”, “intestardirsi, incaponirsi”, “stizzirsi”, “ubriacarsi” ecc.
Etimologia e letteratura
Sul piano etimologico, llunatu è una parola trasparente, in quanto il parlante comune può rendersi conto che si tratta di un derivato di luna (come llupatu da lupu, nnurvatu da orvu ecc.). Diverso è il caso di nzaliniri e nzalinutu, parola opaca in cui il parlante non sa riconoscere delle parole a lui note al suo interno. Si tratta, infatti, di un prestito dal greco σεληνιάζω [selēniázō] “subire l’influsso della malvagia influenza della luna”. E poi adattato nelle forme latinizzate siciliane e calabresi (nzaliniri, nzalaniri, cal. nseleniri ecc.), derivato a sua volta da σελήνη [selēnē] “luna” (Rohlfs). Ricordiamo, inoltre, che il verbo greco, nella forma media σεληνιάζομαι [selēniázomai], significa “essere epilettico, soffrire di epilessia”.
Notevole, infine, il recupero sul piano letterario del verbo nzaliniri, variamente adattato e declinato da alcuni/e scrittori e scrittrici. Eccone un breve assaggio.
Per cominciare partiamo con Andrea Camilleri (La gita a Tindari):
L’ultima stazione della via crucis era costituita dall’interno 19 del quarto piano. Avvocato Leone Guarnotta. Da sotto la porta filtrava un sciàuro di ragù che Montalbano si sentì insallanire.
Continuiamo con Silvana Grasso (L’albero di Giuda e Disìo):
…se lo sarebbe tenuto quel zzzzuuuuuuuzzzz che lo ‘nzalanìva, lo stordiva già alle sette di mattina, quando metteva i piedi a terra e scalzo per prima cosa andava al cesso.
E più e più cresceva in disìo e orgasmo, più e più insalaniva incantesimata e stupita di cotanta rinascenza. Ogni parte del suo corpo si svacantava e a un tempo s’allinchìva per minima pausa, un maremoto tra onde chete solo per tirannia…
E concludiamo col grande scrittore Calabrese, Giuseppe Occhiato (Oga Magoga):
I canti trapassavano le tavole della pinnata, irrompevano fuori, sui campi, dilagando nella notte, lambivano i dorsi rasati delle colline, scivolavano nei valloncelli; lasciarono sgomenti gli spiriti erranti, insalanirono i grilli nelle frasche e nei cespugli, fermarono il tempo e il cammino della luna.
PER SAPERNE DI PIU’
“La Sicilia dei cento dialetti” di Alfio Lanaia
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Cultura
Intellettuale e uomo di cultura: ricordo nostalgico del preside Vincenzo Pistorio
Una sua lezione apriva un mondo affascinante, fu lui a riunirci dopo quanto accaduto ad Aldo Moro

«Al Preside Prof. Vincenzo Pistorio per avere diretto con dedizione e passione in questa sede storico il Liceo “G. Verga” per 21 anni dal 1963 al 1984». Con queste parole, sovrascritte in una targa, si è voluto ricordare e omaggiare un biancavillese che ha dedicato la propria vita alla scuola. Una cerimonia semplice, ad Adrano, cui hanno preso parte il figlio Alberto con l’assessore del Comune di Adrano, Salvo Italia, e alcuni ex alunni: Massimo Cultraro, Eugenio Calì, Loredana Lorena, Sandra Galizia. Pubblichiamo qui di seguito un ricordo personale del nosro collaboratore, Alfio Lanaia, anche lui parte di quella generazione di studenti formatasi nel liceo guidato dal prof. Pistorio.
Con la targa dedicata quest’oggi al Preside Vincenzo Pistorio si sana un debito di riconoscenza verso un uomo che per quasi quattro decenni ha rappresentato una parte significativa della cultura di Adrano e Biancavilla. È stato, infatti, prima insegnante e poi preside di quel Liceo classico da sempre fucina di classi dirigenti e intellettuali, non solo locali. Chi è stato insegnante nel «suo» liceo ha conosciuto le sue doti di dirigente, di organizzatore scolastico, di studioso del mondo classico. Lo ha visto presiedere consigli di classe e collegi dei docenti, ha letto i suoi lavori, dedicati a Euripide, a Virgilio, alla didattica del latino. Chi è stato studente del Classico lo ricorda sotto un’altra veste, più umana, più vicina.
Appartenendo a quest’ultima categoria, sollecitato da Biancavilla Oggi, traggo dalla memoria qualche ricordo, qualche aneddoto che ne metta in luce le qualità professionali e umane. I miei ricordi appartengono alla seconda metà degli anni Settanta del secolo scorso. Anni cruciali che hanno visto la riforma degli organi collegiali, con i decreti delegati del 1974, e dunque la partecipazione dei rappresentanti dei genitori e degli studenti alla vita della scuola.
Anni che hanno visto anche, per certi aspetti, la fine di tante illusioni, con il rapimento e l’assassinio di Aldo Moro, nel 1978. Lo scrivo perché in quella triste occasione fu il preside, insieme ai professori, a convocare l’assemblea degli studenti, a informarci e a farci discutere e prendere coscienza di quello che era accaduto.
Quando i presidi non erano dirigenti
I presidi non erano ancora dirigenti scolastici, e questo significava più attenzione alla didattica, alla formazione, alle conoscenze degli studenti. In altre parole, il preside era ancora un organizzatore di cultura, in quanto lui stesso intellettuale, e non solo un esperto di diritto amministrativo.
Non posso dimenticare quelle volte in cui, quando mancava l’insegnante curriculare, entrava in classe il preside Pistorio a fare la supplenza. Dopo qualche comprensibile apprensione da parte nostra, subito riconoscevi lo studioso che traduceva in versi le Bucoliche di Virgilio, che ti sorprendeva parlando mezz’ora su una sola parola e ti apriva un mondo, che ti affascinava con una lezione sulla Divina Commedia.
Scampagnate, gite e pranzi luculliani
Ovviamente, c’era anche l’aspetto umano, quotidiano, quello che lo rendeva più vicino ai ragazzi. In questo campo gli aneddoti sono infiniti. Le scampagnate, i gemellaggi e i pranzi luculliani vedevano la partecipazione della mia classe cui non mancavano mai il preside e i professori.
Già, perché il preside Pistorio era un buongustaio, un fine intenditore de re coquinaria, amante della buona tavola e delle conversazioni. E noi, che sapevano di questa sua «debolezza», facevamo il mestiere di studenti. Ne approfittavamo, organizzando spesso di questi incontri conviviali. Lo facevamo sotto lo sguardo bonario del Preside Pistorio. Per lui, le scampagnate o le gite scolastiche, che si alternavano tra Chianciano e Rimini, erano momenti di crescita umana oltre che culturale.
In questa occasione, scoperta la targa che lo commemora, non posso allora non pensare con nostalgia al Preside Pistorio e a quello che ha rappresentato per la mia generazione. Penso all’uomo di scuola e di cultura che ha incarnato, insieme al corpo docente di quel periodo (Saro Franco, Pietro Biondi, don Leone Calambrogio, Concetta Distefano Gulino, Carmelo Fichera, Placido e Vincenzo Portale ecc.), un modello di scuola seria, a volte difficile, ma sempre a misura d’uomo.

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