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Cultura

Attenzione a “cafuddari”, ma non è solo questione di schiaffi, calci e pugni

Il termine, di origine latina, esprime “assestare con violenza” ma assume pure altri significati

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Come faccio spesso in questa rubrica, per essere sicuro che la voce di cui vi voglio parlare sia conosciuta a Biancavilla, consulto il Vocabolario (Tremila parole Nostrane) di Ventura – Bisicchia – Distefano, che molti lettori conoscono. Questa volta l’occhio è caduto su cafuḍḍari, verbo che i nostri autori chiosano con «aggredire con pugni e manrovesci». Tale verbo, qui usato assolutamente, può avere anche la funzione transitiva di “assestare con violenza”, per esempio, cci cafuḍḍàu du pugna (oppure du iangati, quaṭṭṛu sfacciḍḍati, du pirati ecc.) e u stinnicchjàu n terra “gli ha assestato due pugni … e lo ha steso a terra”.

Il verbo, tuttavia, ha anche altri significati. Per restare a Biancavilla, ricordo quelli di “ficcare, schiaffare”, “spingere, premere” e, soprattutto, “ingollare, mangiare voracemente, avidamente”, “rimpinzare”. Altri significati registrati dal I vol. del Vocabolario Siciliano sono “stivare, cacciar dentro alla rifusa, persone o cose”, “essere manesco”. 

La forma pronominale cafuḍḍàrisi vale “spingersi, lanciarsi”, “scatenarsi, ad esempio della bufera”, “introdursi, ficcarsi dentro”. E infine “rimpinzarsi”, ad esempio si cafuḍḍàu du chila di carni!

Varianti della nostra voce sono cafuḍḍṛari e cafullari. Fra i derivati il nostroVocabolario Siciliano ci ricorda a) cafuḍḍata “grande quantità, ad esempio di calci, pugni ecc.”; b) cafuḍḍaturi “bastone usato per cacciare terra nella fossa dove è stato piantato il magliolo”, “stecca per imbottire di borra i basti” ecc.

Quando si “cafudda” in letteratura

Tralasciando le citazioni letterarie di cafuḍḍari nella poesia dialettale, credo sia più interessante documentarne l’uso nell’italiano regionale. Un uso come testimonianza del recupero del dialetto, operato dai nostri scrittori e dalle nostre scrittrici. E finalizzato a conferire espressività e/o aderenza alla realtà negli usi letterari.

Fra i moltissimi esempi, sicuro di tralasciarne molti, prendo in considerazione i seguenti. Avverto, tuttavia, che fra i tanti significati, a essere privilegiati sono quelli legati alla violenza che esprime il verbo:

Puka […] lascia la porta del cesso aperta, l’assassino arriva e gli cafuddra una gran botta con un pezzo di tubo di ferro sulla testa (Andrea Camilleri, La paura di Montalbano);

La malinconia il commissario aviva due sistemi comprovati per combatterla: il primo consisteva nel cafuddrarsi a lettoincuponandosi fin supra la testa (Andrea Camilleri, Il giro di boa);

Anzi più cafuddi e meglio ti capiscono (Piergiorgio Di Cara, Isola nera);

Sembro un gigante onesto, c’ho lo sguardo giudicante che cafudda sentenze sopra a questa marmaglia di cose inutili con le mani dentro alle Puff. (Carlo Loforti, Appalermo,appalermo!)

La uso per girarmi di lato, gli cafuddo un calcio sul collo con il tallone  (Carlo Loforti, Malùra)

Come se non bastasse quando uscivamo mia sorella Calogera, se la colpa del litigio secondo lei era stata mia, mi cafuddava un bellu muzzicune (Mariastella Ruvolo, Cartoline di una Gorgone);

Entra, la spaventa, lei fa per scappare, gli volta le spalle e lui, con il coltellone da Shining che trova in cucina, le cafudda un paio di coltellate. (Salvo Toscano, Ultimo appello);

La vita la devi prendere così, altrimenti è lei che ti prende e ti cafudda giù dove io sono stato già troppo tempo e dove non ha più voglia di stare. (Enzo Abbate, Claudio Fava, Centoventisei);

I due figli li sgridava per qualsiasi scemenza, e certe volte cafuddava all’urbina. Il maschio si assoggettò, accettando ogni prepotenza; idda no, non sopportava di sottostare alla famigghia. (Giuseppina Torregrossa, Il sanguinaccio dell’Immacolata);

“Lo vedi che mi cafudda?” “Ave Maria…” continuò lui e le diede un buffetto sulla guancia. Era un uomo gentile, ma le sue sorelle lo mettevano in croce. (Giuseppina Torregrossa, Al contrario)

[…] se l’ha messa dentro casa… la chiama la mia signora… e l’ammazza a lignati… ogni tanto ripensa ca faceva ’a buttana, ci viene la gelosia e ci cafudda tante di quelle legnate che una vorta mi chiamò e l’ho dovuta portare ’o spitali […]  (Maria Tronca, Rosanero).

Antonio, che non era marxista né antimarxista, aveva cafuddato (così Ismaele ha tradotto in siciliano il suo comportamento), aveva ricevuto anche fraccate di legnate (sempre nella traduzione di Ismaele) e alla fine aveva vinto (Francesco Enia, Atlante delle inquietudini).

Venendo adesso all’origine dicafuḍḍari, presente anche in Calabria, secondo il DEI (Dizionario etimologico italiano), la parola deriva da un latino parlato *co(n)fullare. Drivato da *fullare “lavare calcando, calpestare”, da cui anche l’italiano follare, a sua volta da fullo, -onis “fullone, lavapanni”. Già il Traina, tuttavia, aveva visto nella nostra voce un derivato di fuḍḍari “stipare, calcare, comprimere” (< *fullare) con il prefisso rafforzativo di origine greca cata-(< κατά): la trafila dunque sarà stata *catafuḍḍari > cafuḍḍari.

PER SAPERNE DI PIU’

“La Sicilia dei cento dialetti” di Alfio Lanaia

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Cultura

Sangiorgio e i lager, in provincia di Modena la testimonianza del figlio

Incontro a Prignano sulla Secchia sul biancavillese sopravvissuto ai campi di sterminio

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La figura di Gerardo Sangiorgio, il biancavillese cattolico antifascista, sopravvissuto ai lager nazisti, ancora una volta celebrata anche fuori dalla Sicilia. A Sangiorgio dedicato un incontro nella sala conferenze del Comune di Prignano sulla Secchia (in provincia di Modena). La testimonianza su Sangiorgio, internato militare, data dal figlio Placido Antonio, collaboratore di Biancavilla Oggi.

Ad ascoltarlo, una sala gremita da cittadini ed alunni della scuola secondaria di primo grado “F. Berti”, accompagnati dai docenti, dalla dirigente scolastica Pia Criscuolo e dal suo vicario, Giuseppe Ciadamidaro, anche lui biancavillese.

La dirigente si è detta entusiasta di questo evento arricchente non solo per i cittadini, ma anche per gli alunni, auspicando che ogni anno queste iniziative vengano incentivate e divulgate.

Il prof. Sangiorgio ha parlato della Repubblica di Salò (a cui il padre non giurò fedeltà), al trattamento disumano verso i deportati, alla storia personale di suo padre nei campo di concentramento e poi di ritorno a Biancavilla. È seguito un vivace dialogo con gli alunni, che hanno posto domande su vari aspetti.

Presente all’incontro, il sindaco Mauro Fantini e gli assessori organizzatori dell’evento, Chiara Babeli e Cristian Giberti, che hanno prestato la loro voce leggendo le poesie di Gerardo. Il primo cittadino ha ringraziato Sangiorgio per la sua presenza e la bellissima testimonianza su suo padre, estendendo i ringraziamenti anche al nostro sindaco, Antonio Bonanno, per la cortese lettera inviata e letta all’inizio dell’incontro.

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