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Detto tra blog

Vi spiego com’è essere donna e fare l’ingegnere nei cantieri di Biancavilla

Un ambiente maschile e maschilista ma io «cammino con scarpe antinfortunistiche al di sopra di loro»

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Capita spesso che mi chiedano la mia professione e, alla risposta “ingegnere”, in automatico controbattono “E allora insegna?”. Non so se riesco a rendere l’idea dell’immensa tristezza che suscita in me questa reazione, ovvero che una donna ingegnere non esiste perché è un mestiere prevalentemente esercitato da uomini.

Credo che questa frase mi abbia fatto capire come relegare la donna in comparti stagni sia sempre stata non solo prerogativa maschile, ma a volte femminile. Non a caso mi è stato detto che per me sarà impossibile conciliare i figli alla mia professione, dunque devo necessariamente scegliere tra famiglia e carriera.

Ma voglio dire di più: far capire cosa significhi lavorare in un settore – quello edile – completamente al maschile, e maschilista, in un paese come Biancavilla (ma non solo).

In uno dei miei primi cantieri mi è stato detto che «le donne devono rimanere a casa». Molto spesso, sempre in cantiere, anziché Ingegnere o Architetto mi chiamano “signora” oppure “signorina”. Per continuare la sfilza di frasi sessiste, una volta mi è stato detto: «Non dite nulla all’architetto ché avrà il ciclo». Potrei continuare all’infinito. Mi viene chiesto molto spesso: «Ingegnere, come mai lei è in cantiere alle 14, non cucina per suo marito?».

Mi dà fastidio? Un po’, ma non esageratamente, perché poi alla fine valuto che entro in cantiere e sono l’ingegnere/architetto, non sto lì a pensare se farmi chiamare architetta, ingegnera, signora o signorina… Io sono lì e do direttive, spiego cose, cerco di far da paciere a cantieri dove le maestranze litigano per chi ha torto o ragione.

E se non sanno dove appigliarsi danno la colpa a me, la donna – non l’ingegnere – perché così viene più semplice. E io? Niente: cammino, con scarpe antinfortunistiche, al di sopra di loro e faccio il mio lavoro con dedizione e amore. Il resto lo lascio all’ignoranza. Non festeggio la “festa” della donna… festeggio di essere donna.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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Detto tra blog

L’aggressione in ospedale e i commenti “violenti” sui social contro i medici

Frustrazione, rabbia, intolleranza: fenomeni in aumento che analizziamo con l’aiuto dello psicologo

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© Foto Biancavilla Oggi

L’aggressione subita dal personale dell’ospedale di Biancavilla (con conseguente arresto dei carabinieri della donna che se ne è resa responsabile) ha innescato sui social pure un affollamento di commenti “violenti”. Quasi tutti rivolti a medici, infermieri e operatori sanitari. Data la maggiore frequenza degli episodi, gli ospedali vengono visti come luoghi “a rischio” per chi vi lavora. Un fenomeno che crea non solo un problema di sicurezza pubblica, ma riflette una complessa interazione di fattori psicologici e sociali che meritano un’analisi.

La violenza contro gli operatori sanitari è alimentata da una combinazione di fattori. Tra questi, la percezione del sistema sanitario come “sistema inefficiente”. I biancavillesi lamentano tempi di attesa lunghi e risorse insufficienti. Ciò genera frustrazione sia nei pazienti che nei loro familiari. L’insoddisfazione può sfociare in episodi di aggressività, soprattutto in situazioni di emergenza. La nostra società sembra essere sempre meno tollerante, di fronte ad aspettative irrealistiche sulla rapidità e l’efficienza dei servizi. Intolleranza che può sfociare in comportamenti violenti, quando il servizio sanitario non soddisfa tali aspettative. Poi, la crescente sfiducia nei confronti delle istituzioni, inclusa la sanità, rende il personale medico un facile bersaglio per sfogare rabbia e frustrazione.

I social, con la loro tendenza a polarizzare le opinioni e amplificare le emozioni, contribuiscono a creare un clima di tensione. Ho letto su Facebook, dopo l’articolo di Biancavilla Oggi, frasi di violenza verbale, erroneamente intesa come una “risposta giustificata” all’atto di aggressione, dando per scontato che tale atto sia stato generato da “malasanità”.

Al di là dell’episodio specifico di Biancavilla, chi commette atti di violenza contro il personale sanitario spesso manifesta caratteristiche psicologiche e comportamentali che possono essere ricondotte a patologie o disagi profondi. Molti aggressori hanno difficoltà a gestire emozioni intense: rabbia, frustrazione o paura. Queste persone possono esplodere in reazioni violente di fronte a situazioni percepite come minacciose o ingiuste. Dal punto di vista psicologico, i soggetti con tratti antisociali mostrano mancanza di empatia, impulsività e tendenza alla violazione delle regole sociali. In situazioni di stress, come quelle vissute in un pronto soccorso, queste caratteristiche possono favorire purtroppo dei comportamenti aggressivi.

Alcuni aggressori interpretano erroneamente le azioni del personale sanitario come ostili o malevole, alimentando sentimenti di sfiducia e reazioni “irregolari”.

Di fondo, c’è una bassa tolleranza alla frustrazione, infatti la mancanza di strumenti cognitivi ed emotivi per tollerare la frustrazione è una delle principali cause dell’aggressività. Un quadro particolarmente evidente in contesti sanitari, dove i tempi di attesa o i risultati insoddisfacenti possono essere percepiti come intollerabili.

C’è un altro punto importante da sottolineare. Tutte le aggressioni non si limitano a causare danni fisici al personale sanitario. Le conseguenze psicologiche possono essere profonde e durature. Molti operatori sanitari possono, infatti, sviluppare una “Sindrome da Burnout”. Il ripetersi di episodi di violenza contribuisce all’esaurimento emotivo, riducendo la capacità di affrontare lo stress e di empatizzare con i pazienti. Gli atti di violenza più gravi possono lasciare cicatrici profonde, con sintomi come flashback, ansia e ipervigilanza. Inoltre, lavorare in un ambiente ritenuto “pericoloso” può portare alla riduzione dell’entusiasmo e della passione per la professione.

È necessario, dunque, un approccio multidimensionale, che coinvolga istituzioni, società e individui. Bisogna attuare una “educazione pubblica” per ridurre la stigmatizzazione del personale sanitario e a promuovere una cultura del rispetto. Offrire assistenza psicologica agli operatori sanitari che subiscono aggressioni è fondamentale per prevenire il “Burnout”.

I fatti avvenuti all’ospedale di Biancavilla e le successive reazioni sui social contro il personale sanitario sono un fenomeno complesso, radicato in problemi psicologici individuali e dinamiche sociali disfunzionali. Affrontarli richiede un impegno collettivo per trasformare le strutture sanitarie in luoghi più sicuri, garantire il benessere degli operatori e promuovere una cultura di rispetto reciproco. Solo attraverso un approccio integrato si potrà ridurre questa drammatica tendenza.

*Il dott. Alessio Leotta è uno psicologo, psicoterapeuta e ipnotista della scuola di Milton Erickson. Svolge la libera professione a Biancavilla e ad Adrano.

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