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Cultura

Salmo di una Pasqua in meno nell’anno che rimarrà nella memoria dei biancavillesi

Effetto “coronavirus”: religione e società – per la prima volta – non avranno il pilastro genetico della comunità

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Il 2020, nella memoria collettiva, rimarrà l’anno senza Pasqua. È la sola, triste, certezza di questo lungo inverno. Per la prima volta, il calendario biancavillese non si presenterà nella sua perfetta ripartizione bisemestrale di San Placido e di Pasqua: le feste della gioia in cui lo spirito comune mette in ombra i particolarismi (ravvisabili anche nell’origine dei Tri misteri).

Mancherà una rappresentazione simbolica univoca, ciò che di fatto resta nella mutazione storica e antropologica e che spesso associamo al termine “tradizione”. Concetto tanto vasto, nelle due ricorrenze, da assorbire quanti si riconoscano all’interno: non c’è lo straniero nelle feste, a Biancavilla. È un assunto.

Religione e società – per la prima volta – non avranno il pilastro genetico della comunità, che è anche l’ossatura dell’intreccio folklorico. Ma questa pandemia – che avevamo creduto fosse solo prerogativa dei libri di storia o di letteratura – ci riporta al grado zero dell’esistere soggettivo. Infatti, la situazione che viviamo non è soltanto inedita nelle sue forme globali: è radicalmente innaturale. Siamo fatti di contatto, ab origine. Ne siamo addirittura generati. E questa fisicità permane come sostentamento materiale e spirituale nel discorrersi della vita. La linfa mater. Imponendoci il (seppur necessario) distanziamento non soltanto neghiamo la nostra socialità, mettiamo in discussione la nostra stessa natura.

Travolti dagli eventi, ci troviamo a vivere l’asimmetria col ciclo stagionale del risveglio. Noi che, ora silenziosamente, ci chiudiamo nel limbo dell’incertezza, del sospetto e dell’impotenza, in un malessere che segna le coscienze.

Sarebbe stato bello, indossando l’abito nuovo per andare a vedere ‘a Paci, raccontarci di quella Pasqua preunitaria quando i “berretti” all’alba del Venerdì santo, per l’uscita dell’Addolorata, si videro fallire uno dei più importanti eccidi che la storia isolana ricordi. Oppure delle calate da tila di circa un secolo dopo, la cui visione veniva interdetta ai farmacisti Filippo e Francesco Ingiulla, i leggendari fratelli Cucchi. O ancora: i luculliani pasti seguiti alla spartizione del bottino da ‘ntinna presa da Placido Monaco Topolino. Un filo che avrebbe continuato a tramare la nostra vita sociale e il nostro incantato e incorruttibile immaginario. Amaramente ci mancherà una Pasqua.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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Cultura

Il maestro di fotografia Giuseppe Leone e il prezioso “lascito” per Biancavilla

La scomparsa all’età di 88 anni, il ricordo dell’ex assessore alla Cultura nella Giunta Manna

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È scomparso a Ragusa, all’età di 88 anni Giuseppe Leone, uno degli ultimi grandi interpreti della fotografia in Sicilia. Una figura originale di fotoreporter che ha raccontato l’Isola, il suo paesaggio, il mondo contadino, la condizione della donna ma anche la cultura: era amico di Leonardo Sciascia, Vincenzo Consolo, Gesualdo Bufalino. Nel 1997 dedicò diversi scatti anche a Biancavilla, su invito dell’allora assessore alla Cultura per la realizzazione del calendario del Comune. Oggi quella pubblicazione cartacea ha valore di opera d’arte. Di seguito, per Biancavilla Oggi, il ricordo di Nino Longo.

Al tempo in cui ero assessore alla Cultura della prima sindacatura di Pietro Manna, seguivo con una certa passione delle riviste di fotografia come “Reflex Progresso fotografico” e “Zoom “. In esse avevo letto un servizio su Giuseppe Leone e di una sua pubblicazione sull’architettura barocca nella Sicilia sudorientale. Avendo progettato di realizzare un Calendario sui Beni Culturali nel nostro Comune, mi venne l’idea di contattare il nostro famoso fotografo per proporgli il lavoro.

L’Ufficio riuscì a contattarlo e gli demmo un appuntamento. Lui venne e si mise a disposizione, mettendo alcune condizioni. Non ricordo la sua richiesta   in ordine al suo onorario, ma esso non fu particolarmente oneroso. Le condizioni da lui poste furono che le foto fossero in bianco e nero e che la scelta dei soggetti fotografici fosse solo sua e non sulla base delle richieste dell’Amministrazione. Lui poi venne a Biancavilla e andò in giro da solo, anche di notte.

La sua attenzione fu posta su diversi angoli del paese e soprattutto sulla “materia” della pietra lavica, su scorci architettonici e su semplici personaggi che si trovavano a passare casualmente o sostavano in certi angoli. Oltre alla “materia” il suo “occhio fotografico” si soffermava sugli effetti del chiaro/scuro e sulla “semplicità” dei soggetti umani.

Così noi scoprimmo il particolare effetto di certe immagini che avevamo sotto gli occhi ma che non avevamo “veramente visto”. Ed ecco il signor Torrisi sotto l’arco di San Giusippuzzu, le devote davanti “u Tareddu” di via Mongibello, il monello davanti all’arco di via Brescia, i confrati all’accompagnamento funebre, il suonatore di ciaramella. Ma anche in lontananza la chiesetta dell’eremo di Badalato, con l’enorme mole dell’Etna, i vecchi mulini ad acqua di Rollo, il basolato di via Innessa, di via Tutte Grazie, via preside Caruso, il portale della chiesa di Sant’Orsola.

Ne è venuta fuori una città antica ma vissuta, i cui personaggi si inserivano nell’insieme dei paesaggi, con i manufatti in evidenza. La vita vera, non retorica, non celebrativa. I nostri “monumenti” importanti messi da parte.

Il calendario è piaciuto a tutti; è andato anche all’estero. Qualche foto è stata esposta anche a New York, mi dicono. Molti cittadini, nel tempo, hanno riproposto alcune immagini, senza neanche sapere che erano parte di un calendario del comune di Biancavilla del 1997.

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