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L'Intervista

L’affronto al sindaco comunista, il nipote: «Sfregio a Peppino Pace»

Un atto di intitolazione mai pubblicizzato, una cerimonia mai avvenuta: «Insensibilità»

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di Vittorio Fiorenza

Già, è una storia triste. Tristissima. Peppino Pace è stato sindaco comunista di Biancavilla dal 1956 al 1960 e poi dal 1973 al 1975: il più amato e stimato, dopo Alfio Bruno, che la sinistra locale abbia mai avuto. Giusto per farlo capire: lo si può mettere tra gli umili “compagni” tratteggiati in quel meraviglioso affresco che è “Baarìa” di Peppuccio Tornatore.

Pace è morto nel 1995, esattamente 23 anni fa. Mai ricordato, mai omaggiato. Diversi anni fa l’amministrazione Glorioso decide di dedicare spazi e luoghi pubblici a personalità locali. Tra tutte quelle di “provenienza democristiana”, inserisce –quasi forzatamente– la figura comunista di Peppino Pace. Un atto che, però, non ha alcun seguito: né una targa né una cerimonia, come invece accaduto con altri illustri biancavillesi. E persino i familiari non vengono informati. Una decisione presa così e buttata lì.

Due giorni prima che scadesse il decennio di Glorioso, in fretta e furia e in modo errato (il piazzale diventa… via!), l’apposizione di una targa. Nessuno lo sa, ma lo spazio della stazione Fce di zona Casina è “Piazzale Giuseppe Pace”. Adesso interviene Placido Tirenni, nipote del primo cittadino comunista, che a Biancavilla Oggi parla apertamente di “sfregio” attuato nei confronti della memoria dello zio (fratello della madre). Ultimo capitolo di un decennio amministrativo da cui da tempo ha preso le distanze.

Tirenni, ci ha contattati arrabbiatissimo qualche giorno prima delle Amministrative. L’abbiamo convinto a fare passare qualche mese. Eccoci qui: cosa ha da dire?
La cosa che più mi ha indignato è che né io né nessun altro componente della mia famiglia e dei miei parenti siamo stati informati ufficialmente. Ho saputo dell’apposizione di quella targa (peraltro errata, a dimostrazione del modo raffazzonato) il 10 giugno, cioè in coincidenza delle elezioni Amministrative e della fine del decennio di Glorioso. Un amico mi ha mandato un messaggio, facendomi sapere di questa segnaletica nel piazzale della stazione di zona Casina. In realtà –mi dicono– da anni un atto amministrativo aveva deciso l’intitolazione.

Ma possibile che la sua famiglia non ha mai avuto alcuna comunicazione?
Sì, vero. La mia famiglia non è stata mai interpellata. Né in maniera formale né con una semplice telefonata dall’amministrazione comunale. L’atto di intitolazione sembra fatto non per convinzione o per il rispetto alla memoria di Peppino Pace, ma forse tanto perché figuri nel curriculum politico di Glorioso. Giusto per potersi beare e basta, insomma.

In effetti l’atto di intitolazione c’è, ma non è stato mai pubblicizzato né comunicato dall’addetto stampa di Glorioso. Di contro, ad analoghe intitolazioni di altre personalità sono seguite cerimonie e manifestazioni con Glorioso in fascia tricolore.
Sì, esatto. Personalità che meritavano questo onore. Ma lo stesso onore non è stato tributato a Peppino Pace con altrettante manifestazioni pubbliche. La cosa certa è che Glorioso è stato a capo dell’amministrazione per dieci anni e l’apposizione (errata) della targa viene fatta in fretta e furia e in maniera nascosta (quasi per mettersi la coscienza a posto) due giorni prima della conclusione di quel decennio. Non ci sono interpretazioni da fare. È tutto chiaro. Resta lo sdegno per questo atteggiamento, superficiale e puerile, che denota scarsa sensibilità da parte di un amministratore e un politico che si professa e si crede infondatamente “di sinistra”.

E adesso? Come si può riparare a questo torto imbarazzante?
Intanto chiedo al nuovo sindaco che provveda alla correzione di quella targa: non “Via Giuseppe Pace” ma “Piazzale Giuseppe Pace”. Se il Comune non può sostenere la spesa, sono pronto a spese mie ad apportare la rettifica. E poi, se il sindaco Antonio Bonanno lo ritiene opportuno, promuova una cerimonia. Un dovuto ricordo, così come è successo con altre personalità del passato politico. Altrimenti non capisco i due pesi e le due misure.

Il paradosso è che debba essere un sindaco “di destra” a rendere omaggio al “compagno Peppino Pace”, dopo che il predecessore ha avuto 10 anni di tempo per poterlo fare e non l’ha fatto.
Beh, mi consenta l’ironia: meglio che lo faccia un sindaco “di destra”, che un sindaco di “finta sinistra”.

Peppino Pace, nell’immaginario e nel ricordo dei biancavillesi, è il sindaco comunista, onesto, che di mattina andava al lavoro e il pomeriggio, con gli indumenti sporchi della sua attività di imbianchino, se ne andava al Comune. Un abisso rispetto all’oggi.
Senza dubbio. È l’abisso esistente tra i sindaci del “fare” e quelli dell’”apparire”. Ricordo, per esempio, un aneddoto che viene spesso attribuito al carattere di Peppino Pace e che mi raccontava mia mamma. Quando c’erano problemi di nettezza urbana in paese, Peppino Pace mobilitava l’intera Giunta e, assieme al personale comunale, andava a togliere la spazzatura di persona. Tutto questo succedeva quando non c’erano telecamere o social network. Oggi per analoghi problemi, gli amministratori prima chiamano le emittenti televisive e poi si mettono in posa per qualche minuto. Una differenza di stile abissale.

Tra l’altro –va anche detto– la sinistra partitica e culturale di Biancavilla non si è mai degnata di ricordare Peppino Pace. Alla sua morte, esattamente 23 anni fa, soltanto Vincenzo Cantarella andò a Video Star per tracciare un profilo e rendere omaggio a quella figura.
Sì, lo ricordo benissimo. Vincenzo Cantarella andò in tv a ricordare Peppino Pace. Solo lui. Poi, il nulla.

Insomma, questa “sbadataggine” su suo zio non la perdona.
Non può essere considerata una sbadataggine, avendo avuto un decennio a disposizione. Rimane la delusione per avere creduto ad una persona, Glorioso, che apparentemente sembrava attaccata al proprio paese e ai valori di sinistra, quando poi si è rivelato una persona votata soltanto all’apparenza.

Chi leggerà questa intervista con superficialità, osserverà polemicamente: «Ma Placido Tirenni è stato con Glorioso, lo ha sostenuto ed è stato un consigliere comunale del Pd».
Questo non comporta tapparsi la bocca. Certo, sono stato con Glorioso, l’ho appoggiato. Ma visto il modo in cui ha fatto politica e il modo in cui ha amministrato, ho preferito allontanarmi, smettendo di fare politica in prima persona e soprattutto con lui.

Questo torto a Peppino Pace cosa lascia, dunque?
La mia famiglia ha vissuto questo gesto come un vero e proprio sfregio nei confronti della memoria del sindaco Peppino Pace, che ha lasciato un ricordo positivo, a differenza di altri primi cittadini che non hanno lasciato nulla, se non divisioni e lacerazioni. Glorioso ha fatto scomparire la sinistra a Biancavilla, l’ha distrutta. In Consiglio Comunale non c’è nessun rappresentante proveniente da quell’area. Questa è l’eredità che ci ha lasciato il decennio di Glorioso. E lo sfregio a Peppino Pace è stato il “timbro” apposto nell’ultima pagina di questa storia triste.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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1 Commento

1 Commento

  1. Massimo Mastrocola

    10 Agosto 2018 at 20:04

    Ho conosciuto Peppino Pace quando ero bambino, come vicino di casa. Abitava in un appartamentino di 3 stanze con la moglie, sopra casa mia in via Filippo turati ( alle ‘case popolari’). Era un appassionato di monete antiche e ogni tanto faceva vedere a noi bambini la sua collezione, spiegandoci la provenienza delle monete piu’ rare ed anche come riconoscere quelle false. E quando andavamo al suo negozio in via Inessa a comprare tubetti di colori e pennelli per la scuola ci mostrava qualcuno dei quadri che stava dipingendo. Era anche un formidabile giocatore di schedine del totocalcio, detentore di segretissimi sistemi ‘ridotti’ che sviluppava con alcuni amici, ricopiando lunghissime sequenze di colonne piene di 1X2. Noi ragazzini non ci capivamo quasi nulla ma la leggenda diceva che fosse anche riuscito a vincere fantastici montepremi. Delle sue qualita’ politiche non so praticamente nulla. Ma mi e’ rimasto il ricordo di una gran brava persona.

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Cultura

Carmelo Bonanno: «Biancavilla e quel 2 giugno 1946, il ritorno alla democrazia»

L’autore di Nero su Bianco Edizioni:: «I valori dell’antifascismo e della libertà vanno difesi ogni giorno»

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La caduta del fascismo, la fine della guerra, le macerie materiali e morali. Un paese da ricostruire. Biancavilla vive gli eventi con una partecipazione corale per ricostituire i partiti e svolgere le prime consultazioni elettorali, dopo la dittatura ventennale di Benito Mussolini. Carmelo Bonanno racconta gli eventi dell’immediato dopoguerra nel volume “Biancavilla e Adrano agli albori della democrazia”, pubblicato da Nero su Bianco Edizioni. Una ricerca ricca di testimonianze, che in quel 2 giugno 1946 vede la data cruciale per costruire un futuro carico di speranza, nel segno della libertà e del progresso.

Bonanno, quello è un giorno che ci restituisce la democrazia. Biancavilla come arrivò alle prime elezioni e al referendum del ‘46?

Biancavilla, a differenza dei comuni limitrofi, non conobbe la devastazione del suo territorio perché non subì i pesanti bombardamenti alleati di fine seconda guerra mondiale. Secondo i democristiani dell’epoca il merito fu di padre Antonino Arcidiacono e di altri due suoi amici carissimi che andarono a Piano Rinazze, dove erano stanziati gli Alleati, e mediarono con loro affinché Biancavilla fosse risparmiata. Secondo i comunisti del tempo, invece, furono i tedeschi che, notata la forte opposizione di Biancavilla, preferirono abbandonarla per evitare di rallentare la fuga dalle truppe alleate. Non sappiamo quale delle due versioni corrisponda a verità, magari in entrambe c’è del vero. Resta il fatto che Biancavilla arriva all’appuntamento elettorale in un quadro di maggiore “stabilità”.

Oggi ricorre anche l’anniversario del referendum istituzionale nel quale gli italiani si espressero a favore della Repubblica come forma di governo, anche se a Biancavilla – come in tutto il Mezzogiorno – la maggioranza scelse la Monarchia…

Sì, ma è anche vero che il risultato repubblicano a Biancavilla fu notevole perché la media siciliana di voti per la Repubblica era del 35% mentre a Biancavilla ottenne quasi il 49%.

Alle Amministrative dell’aprile 1946, a Biancavilla, la Democrazia Cristiana dominò conquistando 24 seggi su 30 in Consiglio Comunale ed eleggendo il farmacista Salvatore Uccellatore come sindaco, confermando poi il netto vantaggio sugli altri partiti anche alle elezioni dell’Assemblea Costituente del 2 giugno successivo. Biancavilla era (ed è) democristiana?

Sì, certo, Eccezion fatta per la parentesi comunista di Peppino Pace, la Dc seppe sempre rigenerarsi e governare, di fatto fino alla fine della cosiddetta Prima Repubblica.

Oltre a padre Arcidiacono e a Salvatore Uccellatore quali furono le altre personalità di spicco della Dc locale in quegli anni iniziali dell’Italia repubblicana?

Ebbero un ruolo importante Filippo Leocata, medico, e Alfio Minissale, ingegnere, impegnato nella formazione della classe dirigente giovanile dello Scudocrociato. 

Che ruolo ebbero il clero e la Chiesa nel successo democristiano?

Un ruolo fondamentale. Esercitato anche attraverso la costituzione di iniziative associative quali quelle dell’Azione Cattolica, degli Uomini Cattolici e delle Donne Cattoliche. E di un comitato in cui ebbero un ruolo di prim’ordine padre Giosuè Calaciura e Salvatore Uccellatore, prodigatisi per venire incontro ai bisogni dei biancavillesi.

E le donne, appunto, che per la prima volta ebbero diritto di voto?

Le donne giocarono un ruolo importante già durante il periodo della guerra: diedero sostegno economico e sociale, anche tramite la Chiesa, ai bisognosi e alle vedove di guerra. La loro azione politica fu funzionale alle loro opere di carità e assistenza, poi ricambiate in voti per la Democrazia Cristiana. Fornirono spesso un contributo decisivo, convincendo le donne a votare Dc in contrapposizione al Pci.

La sinistra biancavillese, “minoritaria” ma comunque con un consenso significativo, percorse una strada ben più accidentata. Perché?

Perché, tra le altre cose, ci fu una “scissione” tra la corrente dibenedettiana e il resto del partito. E i comunisti, scomunicati, subirono una notevole pressione “interna” ed “esterna”. Lo stesso Di Benedetto, di professione riparatore e noleggiatore di biciclette e allora segretario della Camera del lavoro locale, fu accusato – secondo le testimonianze dell’epoca – di aver rubato parte degli pneumatici inviati dal sindacato provinciale. Pneumatici all’epoca utilizzati non solo per le bici ma anche e soprattutto per creare le suole delle scarpe. Da lì capì che era stato preso di mira e che fosse un capro espiatorio e si allontanò dal partito, che di fatto si “riunificò”.

La lotta di classe nel nostro territorio portò anche all’occupazione delle terre. Che risultati ottenne?

Contraddittori. Perché, a seguito dell’assegnazione seguita alla riforma agraria, alcuni ricevettero terre proficue e redditizie. Altri, terre aride e cretose.

Una Biancavilla a maggioranza democristiana ma geograficamente divisa tra il centro “biancofiore” e la periferia comunista. Guidata da personalità carismatiche. Persino con un primato: prima città italiana a rivoltarsi contro i fascisti nella sommossa del 23 dicembre 1923. Una memoria sconosciuta ai più, che oggi ignorano le radici storiche della ricostruzione democratica locale. Che lezione dovremmo trarne a quasi un secolo di distanza?

Non dobbiamo dimenticare da dove proveniamo. Dobbiamo conoscere il nostro passato. Siamo figli della nostra storia. E la storia ci insegna che ci sono dei valori condivisi – l’antifascismo, la libertà, la democrazia – che noi oggi diamo per scontati ma che non lo sono affatto. E la storia serve a ricordarci che queste conquiste vanno difese ogni giorno.

© RIPRODUZIONE RISERVATA  

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