Cronaca
Blitz “Ultimo atto”, la Procura chiede 125 anni di carcere per 13 imputati
Rito abbreviato per Pippo Mancari “u pipi” e i suoi picciotti, accusati di mafia, droga ed estorsioni

Sfilza di richieste di condanna da parte della Procura di Catania nel procedimento scaturito dal blitz antimafia “Ultimo atto”, eseguito dai carabinieri nel settembre 2023, a Biancavilla. Sono oltre 125 gli anni complessivi di carcere che la pubblica accusa ha avanzato nei confronti dei 13 imputati, che hanno scelto il rito abbreviato, ritenuti appartenenti o attigui al clan locale. Un clan che, secondo le indagini, era stato riorganizzato con a capo Pippo Mancari u pipi, figura carismatica della vecchia guardia.
La pena avanzata per il reggente è di 12 anni di reclusione. Assieme a lui, figurano Giovanni Gioco (pena richiesta di 10 anni di carcere), Salvatore Manuel Amato (10 anni e 4 mesi), Placido Galvagno (20 anni), Piero Licciardello (13 anni) e Mario Venia (14 anni e 8 mesi). E ancora: Fabrizio Distefano (chiesti 10 anni di reclusione), Nunzio Margaglio (8 anni e 4 mesi), Alfio Muscia (8 anni), Carmelo Vercoco (8 anni), Cristian Lo Cicero (4 anni e 4mila euro di multa) e Marco Toscano (3 anni e 4 mesi e una multa di 4mila euro).
A vario titolo, rispondono dei reati di associazione mafiosa, associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, spaccio di droga ed estorsioni. Le pene avanzate sono scontate di un terzo di reclusione, come previsto dal rito speciale.
Tra gli imputati in questo procedimento in abbreviato c’è pure Vincenzo Pelleriti, collaboratore di giustizia che ha dato un apporto notevole all’inchiesta. La Procura chiede per lui 4 anni di carcere, in quanto parte nella gestione dello spaccio. Ma la richiesta tiene conto delle attenuanti generiche e, soprattutto, del «rilevante e completo contributo, fornito con le sue dichiarazioni, attendibili e riscontrate». A quelle di pelleriti («Collaboro con la giustizia per dare un futuro ai miei figli…»), nell’inchiesta si sono affiancate anche le dichiarazioni di Giovanni La Rosa, Graziano Pellegriti e Salvatore Giarrizzo.
Oltre alle richieste della Procura, hanno concluso pure le parti civili, rappresentate dal Comune di Biancavilla e dall’associazione antiracket ed antiusura “Libera Impresa”. Nessun imprenditore o commerciante vittima di “pizzo”, invece, si è costituito nel procedimento. Adesso la parola passa alle difese con un calendario che si protrarrà fino all’anno prossimo. La sentenza si attende in primavera.
Un altro troncone del procedimento si svolgerà con rito ordinario. Sei sul banco degli imputati: Carmelo Militello, Nicola Minissale, Ferdinando Palermo, Alfredo Cavallaro, Maurizio Mancari e Francesco Restivo. La prima udienza dibattimentale, davanti alla prima sezione collegiale, è fissata per il 1 ottobre.
Trasporti, droga e pizzo: gli affari del clan
L’inchiesta “Ultimo atto” ha consentito di scoperchiare l’organizzazione mafiosa di Biancavilla e le relative attività illecite. Attività diversificate ed articolate, sempre redditizie. Tra queste, la gestione di una “agenzia” per il trasporto merci su camion e l’imposizione alle imprese, soprattutto del settore agrumicolo, all’utilizzo monopolistico dei servizi gestiti dall’organizzazione.
La gestione dello spaccio di sostanze stupefacenti, poi, avveniva in maniera capilarre. Collegamenti sono stati accertati con gruppi di Adrano (coinvolti i “caminanti”) e di Catania (clan Laudani e clan Cappello).
La richiesta di pizzo era un’attività tradizionale e collaudata. Sei gli episodi estorsivi documentati a danno di attività commerciali ed imprenditoriali, costretti a pagare mazzette periodiche per Pasqua, San Placido e Natale. Le imposizioni avvenivano, in occasione delle festività patronali di ottobre, pure a carico dei venditori con bancarella e dei gestori delle giostre. Questi ultimi costretti a cedere centinaia di biglietti omaggio per un giro al luna park.
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Cronaca
Stranieri sfruttati sul lavoro: nei guai biancavillese a capo di una cooperativa
L’uomo, presidente del Consiglio di amministrazione, denunciato assieme ad altre due persone

Un 32enne di Biancavilla, con precedenti penali, è fra i tre denunciati dal Nucleo Ispettorato del Lavoro di Catania nell’ambito di controlli contro lavoro irregolare e caporalato. L’uomo, presidente del consiglio di amministrazione di una cooperativa agricola, è ritenuto responsabile di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro.
I controlli hanno portato alla luce un sistema illecito di reclutamento e impiego della manodopera. Le vittime sono due lavoratori stranieri in condizioni di forte vulnerabilità.
Oltre al biancavillese, sono sotto indagine un 38enne marocchino residente ad Adrano, incensurato, che agiva come caporale e intermediario per conto della stessa cooperativa, e un altro 38enne di Scordia, con precedenti, che di fatto collaborava con l’azienda.
Secondo quanto emerso dagli accertamenti, i lavoratori extracomunitari venivano impiegati in condizioni lavorative ritenute altamente degradanti. Evidenziati retribuzioni ben al di sotto di quanto previsto dal contratto collettivo nazionale, turni di lavoro eccessivi e ambienti privi delle minime misure di sicurezza.
L’indagato di origini marocchine è inoltre accusato di estorsione. Avrebbe minacciato uno dei due lavoratori di licenziamento se non gli avesse restituito parte della già esigua paga percepita.
A conclusione delle attività, i due lavoratori sono stati affidati a una struttura protetta, gestita da un’organizzazione internazionale per le migrazioni. Adesso potranno ricevere assistenza e protezione.
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Cronaca
Evade dai domiciliari per le sigarette alla moglie: «È un inferno se non fuma»
Singolare “giustificazione” di un 52enne residente a Biancavilla in giro con la bicicletta a Catania

I carabinieri della stazione di Catania Playa hanno arrestato un pregiudicato 52enne, residente a Biancavilla ma domiciliato a Catania, nella zona di Ippocampo di Mare. L’uomo doveva trovarsi ai domiciliari per reati contro il patrimonio. Però, i militari lo hanno sorpreso mentre, in bici, percorreva via San Francesco La Rena. Ha tentato di passare inosservato con il volto coperto da cappuccio e sciarpa, ma è stato fermato e identificato.
Di fronte alla constatazione della violazione, il 52enne ha cercato di giustificare la sua presenza fuori casa con una spiegazione singolare. Ha sostenuto di essere uscito per acquistare le sigarette alla moglie, una “accanita fumatrice” che, in mancanza di nicotina, si sarebbe irritata al punto da trasformare la giornata in un “inferno domestico”.
Una giustificazione che non ha però evitato l’arresto, eseguito sulla base degli elementi raccolti e ora al vaglio dell’Autorità Giudiziaria, che ha convalidato il provvedimento e disposto il ripristino della misura degli arresti domiciliari.
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