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Cultura

Alle origini dei “Tri Misteri”: il ruolo delle confraternite, le prime processioni

Le congregazioni scomparse di Sant’Orsola e San Rocco e quelle del Rosario, del Sacramento, dell’Annunziata

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Con l’avvicinarsi delle festività pasquali, e con l’intento di proporre un rinnovato contributo di carattere storico sulle rappresentazioni della Settimana Santa a Biancavilla, ho ritenuto opportuno rielaborare un intervento da me tenuto nel gennaio 2018, nell’ambito di una tavola rotonda promossa dalla confraternita di Santa Maria Annunziata presso l’omonima chiesa.

Il tema affrontato in quella occasione riguardava, in particolare, le origini e gli sviluppi delle più antiche istituzioni confraternali della comunità etnea, tra le quali si annoverava anche quella scomparsa di Sant’Orsola. Le altre che riuscirono a sopravvivere, a partire dalla prima metà del Seicento, furono sempre più strettamente legate alle espressioni devozionali della Passione di Cristo nella tradizione locale. Il contributo che si presenta qui, su Biancavilla Oggi, si basa sull’analisi di un complesso apparato documentale, rintracciato soprattutto presso l’Archivio di Stato di Catania e l’Archivio Storico Diocesano del capoluogo etneo.

Radici che affondano alla fine del 1500

Le testimonianze documentali più antiche attestanti l’esistenza delle confraternite a Biancavilla risalgono alla fine del Cinquecento, come emerge inequivocabilmente dai volumi dei Registra litterarum conservati presso l’Archivio Storico Diocesano di Catania. All’interno di questo corpus documentale si evidenzia, in maniera particolare, la presenza di una confraternita scomparsa, quella, già menzionata, di Santa Orsola, la cui memoria – sebbene oggi completamente svanita – fu un elemento fondamentale della vita sociale della cittadina nel secondo decennio del Seicento.

L’istituzione era stata concepita per garantire, in modo gratuito, la sepoltura cristiana dei corpi dei meno abbienti e degli esclusi. È probabile, inoltre, che i suoi capitoli statutari fossero stati redatti seguendo l’esempio dell’omonima compagnia attiva a Roma, modello che fu successivamente adottato a Catania nel 1572. In questo contesto, l’imitazione del modello romano si accompagnò a una significativa spinta promozionale esercitata dai padri gesuiti e, in seguito, dai frati minori cappuccini. L’intervento di questi ultimi in Sicilia determinò, infatti, l’istituzione della confraternita anche in altri centri urbani, come anzitutto a Palermo, dove il sistema delle indulgenze pontificie contribuì in maniera decisiva alla sua diffusione.

La confraternita di Sant’Orsola, non solo funerali

Nel contesto biancavillese, la funzione della confraternita di Sant’Orsola andava ben oltre l’esecuzione del rito funerario: essa rappresentava anche un importante strumento di aggregazione volto alla formazione di una coscienza civica, specialmente in un periodo in cui il substrato demico, in via di ricostituzione a partire dall’ultimo ventennio del Cinquecento, vedeva l’insediamento di nuovi nuclei familiari, incentivato dall’azione politica e amministrativa dei Moncada.

Sono le analisi, condotte da Paolo Militello sui riveli del 1593 e poi da me sui riveli del Seicento nonché sul Libro antico dei matrimoni,a evidenziare con forza questo dato, rivelando come parecchie furono le famiglie oriunde non solo dall’area etnea, ma anche da quella nebroidea a giungere a Biancavilla negli anni a cavallo tra Cinquecento e Seicento. In questo senso, emblematico appare il caso di Dimitri Lu Jocu, il fondatore e protettore della chiesa di Santa Maria Annunziata, il quale si stanziò nella cittadina etnea nell’ultimo decennio del XVI secolo, dando un contributo assai importante alla ridefinizione della identità sociale e religiosa biancavillese.

Sant’Orsola, i cappuccini e l’oratorio

Si inserisce, così, in questo quadro la fondazione della confraternita di Sant’Orsola, che si proponeva come una risposta strategica alla necessità di provvedere al seppellimento dei defunti: una funzione che, in tale contesto, assumeva una valenza simbolica pari a quella della costituzione di una rete di solidarietà e di coesione sociale. Si potrebbe ipotizzare, in tal senso, che determinante fosse stato l’intervento dei frati minori cappuccini presenti ad Adernò, il cui insediamento era stato fortemente voluto dal conte Antonio Moncada tra la fine del XVI secolo e gli inizi del XVII. D’altro canto, il loro convento era stato eretto con le elemosine dei fedeli nella zona occidentale della città, sede della contea, e più precisamente a ridosso della strada che conduceva alli greci.

L’anno 1618 rappresenta una pietra miliare per la confraternita di Sant’Orsola: in tale data, i confrati procedettero alla costruzione di un oratorio situato al di fuori del centro abitato, lungo l’antica via che, per l’appunto, connette Biancavilla ad Adrano, dedicando l’edificio alla propria protettrice. Il documento che sancisce tale intervento, sottoscritto alla presenza di don Filippo Raccuja e di don Leonardo Mannella, e debitamente attestato con il patto stipulato dal procuratore Nicola Antonio Rapisarda con mastro Antonio Carchiolo di Regalbuto, prevedeva la realizzazione nella chiesa del dammusu dilla sepoltura, del portale di ingresso e del campanile. Sebbene l’edificio risulti attualmente inagibile, esso rappresenta una testimonianza fondamentale dell’attività congregazionale, avendo ospitato, alla fine del Seicento, per ben otto anni, i frati minori riformati di San Francesco, in attesa del completamento del loro convento (1686).

La confraternita di San Rocco e il Cristo alla colonna

Per quanto concerne la confraternita di San Rocco, le testimonianze documentarie risultano estremamente lacunose. Nei Registra litterarum, datati al 1623, si apprende che i confrati appartenenti a tale istituto ottennero, in quell’anno, il permesso di introdurre in chiesa la statua del Cristo alla Colonna (flagellato), scolpita ad Adrano. Questa informazione permette di ipotizzare che la chiesa di San Rocco, alla pari di quella di Sant’Orsola, abbia avuto origine come oratorio privato della confraternita nei decenni finali del Cinquecento e che i confrati, pionieri nella conduzione processionale del simulacro del Cristo, abbiano dato avvio ai riti pasquali biancavillesi dei cosiddetti Tri Misteri, sebbene ancora in una forma embrionale.

L’analisi comparativa dei documenti relativi ad Adrano suggerirebbe, altresì, che lo scultore della statua del Cristo alla Colonna sarebbe da rintracciare nel magister lignaminum Rocco Terranova, attivo in quella città nei primi decenni del Seicento. Egli, d’altro canto, come ho potuto appurare, fu il fautore della statua di santa Chiara (1608) di Adrano nonché di quella di San Rocco per l’abitato di Caprileone (1618). A detta dello storico adranita Simone Ronsisvalle, sarebbe stato anche il Terranova a realizzare il simulacro del Cristozzo negli anni Trenta del Seicento.

La confraternita del Rosario

Nel 1682, il Maestro Generale dell’Ordine dei Predicatori (Domenicani), Antonio de Monroy, acconsentì all’istituzione della confraternita del SS. Rosario a Biancavilla, solo, però, a condizione che la chiesa originariamente intitolata a San Rocco fosse ribattezzata in favore del nuovo istituto. A seguito di tale riorganizzazione, i membri della confraternita si adoperarono, nell’ambito della liturgia pasquale, per la processione del simulacro del Cristo alla Colonna, assumendo contestualmente la legittimità amministrativa della sacrestia e di alcuni fabbricati annessi.

Di ulteriore rilievo è il fatto che le proprietà appartenenti al SS. Rosario vennero integrate al patrimonio con i proventi derivanti dall’intervento testamentario dell’abate don Antonino Piccione tra la fine del Seicento e gli inizi del Settecento. L’abate espresse, infatti, il desiderio di fondare un monastero sotto il titolo di Santa Chiara. L’intenzione non venne, tuttavia, realizzata nei secoli successivi, così, diversi ambienti adiacenti alla chiesa furono demoliti tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento.

La confraternita del Sacramento

Tra le confraternite sopravvissute nel corso dei secoli, un’attenzione particolare merita quella del SS. Sacramento, la cui istituzione risale verosimilmente alla fine del Cinquecento, in analogia con evidenze reperibili in altri centri etnei, quali Paternò (1563) e Adrano (1570), nonché nei casali etnei della provincia di Catania. Sebbene i documenti attestanti l’origine dell’istituto siano scarsi, è accertato che nel 1618 la confraternita fosse già operativa, come comprovato dalla destinazione a essa di una clausura arborata e di un palacium, consistente in due corpi abitativi ubicati nel quartiere dilla fontana e confinanti con le dimore limitrofe alla Matrice. Nello stesso anno, si registra un lascito a opera di Paolo Marchese per la somma di onze 14.

Nel 1620, i confratelli ottennero dal vescovo di Catania il permesso di portare in processione il quadro di San Giuseppe, che era stato dipinto a Paternò presso la chiesa di Santa Maria delle Grazie Inferiore, sede dei padri agostiniani della riforma centuripina. Ancora vent’anni dopo, nel 1640, la licenza concessa ai confratelli per celebrare la messa all’interno della cappella di San Placido conferma non solo l’esistenza dell’ambiente consacrato al patrono del centro abitato etneo, ma anche la fondatezza di certi legami tra la confraternita e il martire messinese.

La confrtaernita dell’Annunziata

In tal modo, già a metà del Seicento, le confraternite di Biancavilla – in particolare quelle del SS. Sacramento e dell’istituto, originariamente noto come San Rocco e poi ribattezzato del SS. Rosario – animavano in maniera strutturale le processioni della Settimana Santa. A queste due, nel 1656, si aggiunse la confraternita della SS. Annunziata. Tali istituzioni, seppur caratterizzate da differenti datazioni cronologiche, rappresentano le più antiche realtà aggregative sopravvissute sino ai giorni odierni, testimoniando la volontà dei predecessori di unirsi sotto l’egida della Santa Eucaristia e della Madre di Dio, al fine di commemorare le festività sacre, instaurare una preghiera collettiva e adempiere ritualmente al dovere funerario per i propri confratelli.

Le analisi che ho condotto, infine, sulla documentazione della chiesa di Santa Maria Annunziata mi ha permesso di identificare già nel 2015-2016 un accordo contrattuale stipulato tra la confraternita del SS. Sacramento e quella della SS. Annunziata. Alla presenza dei rispettivi direttivi, i confratelli definirono le modalità di intervento durante la processione pasquale – nota come a Paci – stabilendo che i membri della SS. Annunziata si collocassero a sinistra rispetto a quelli della SS. Sacramento, configurando una preminenza processionale che sembra ricondursi a motivazioni cronologiche legate all’ordine di fondazione. In tal modo, le due confraternite assunsero la funzione complementare di condurre il Cristo Risorto e la Madonna, coadiuvata dall’Arcangelo Gabriele, rito che, a distanza di quasi trecento anni, rimane un pilastro dell’identità devozionale locale.

Le confraternite e l’identità locale

In conclusione, questa breve disamina intende rivelare come le confraternite di Biancavilla a partire dal Seicento abbiano rappresentato non solo strumenti di cura spirituale, ma anche fondamentali dispositivi aggregativi, capaci di forgiare e consolidare una coscienza civica nell’ambito di un tessuto sociale in evoluzione. Queste istituzioni, pur nelle loro trasformazioni, continuano, infatti, a essere testimonianza della volontà dei predecessori di celebrare e perpetuare il proprio patrimonio devozionale, costituendo un pilastro vivo dell’identità locale.

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Cultura

Il dialetto, patrimonio da tutelare: salotto letterario a Villa delle Favare

Incontro con “Nero su Bianco Edizioni” e SiciliAntica: il nostro impegno sul fronte della ricerca

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© Foto Biancavilla Oggi

Il dialetto siciliano: un patrimonio non soltanto linguistico, ma anche storico, culturale e identitario. Un patrimonio da tutelare, ma da considerare non un monolite. Bisogna essere quindi aperti ai cambiamenti ed accogliere gli influssi che provengono da altre lingue o attraverso usi linguistici e modalità di comunicazione nuove, come quelle dei social. Ne è convinto il prof. Alfio Lanaia, dottore di ricerca in Filologia moderna e studioso di dialettologia siciliana.

Lanaia ne ha parlato in un incontro a Villa delle Favare, promosso da “Nero su Bianco Edizioni” con l’associazione SiciliAntica. Autore de “La Sicilia dei cento dialetti”, volume pubblicato dalla casa editrice biancavillese, Lanaia si è soffermato sulla varietà delle parlate siciliane, che costituiscono la bellezza di un apparato linguistico, frutto di secolari incroci culturali, invasioni o immigrazioni.

«Il dialetto non è una brutta parola, non bisogna vergognarsene», ha sottolineato lo studioso davanti ad un pubblico attento e curioso (molti i soci dell’Accademia Universitaria Biancavillese). A fianco a Lanaia, il presidente della sezione biancavillese di “SiciliAntica”, Enzo Meccia, e il direttore di “Nero su Bianco Edizioni”, Vittorio Fiorenza. Un incontro culturale (patrocinato dalla Regione Sicilia e dal Comune di Biancavilla) che, nell’elegante salone di rappresentanza di Villa delle Favare, si è rivelato un vero e proprio salone letterario.

Un’occasione per la casa editrice di Biancavilla di evidenziare l’impegno culturale nello studio del dialetto. Sono sei i volumi che, su questo fronte, “Nero su Bianco” ha pubblicato. Di Lanaia, oltre a “La Sicilia dei cento dialetti”, c’è “Di cu ti dìciunu? Dizionario dei soprannomi a Biancavilla”. Di Alfio Grasso (anche lui presente all’incontro), vantiamo altri due volumi di valore: “Antichi versi contadini. L’agricoltura nella poesia dialettale di Placido Cavallaro” e “Detti e proverbi siciliani”, preziosissima raccolta arricchita da spiegazioni e commenti ragionati. Altre pubblicazioni con protagonista il nostro dialetto sono “Piccola storia di un’anima” di Luciani Vinci e “Biancavilla in palcoscenico”, che raccoglie le commedie dialettali di Giuseppe Tomasello, un vero scrigno di cultura popolare locale.

Volumi che, oltre al consenso del pubblico, hanno avuto una significativa attenzione mediatica e di riviste specialistiche. E alcuni come quelli di Alfio Lanaia hanno avuto riconoscimenti nazionali al concorso “Salva la tua lingua locale”, indetto dall’Unpli (Unione Nazionale Pro Loco d’Italia). Vittorio Fiorenza ha confermato l’impegno a proseguire gli studi e le pubblicazioni sul nostro dialetto, sulla scia del successo delle precedenti iniziative editoriali.

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Cultura

Gli scatti di Biancavilla (con la sua umanità) nella “Sicilia” di Rotoletti

Nuovo volume del noto fotografo: «Impagabile il colpo d’occhio su via Vittorio Emanuele»

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Ci sono sei immagini di Biancavilla nel volume fotografico di Armando Rotoletti, “Sicilia”, appena edito da Silvana Editoriale. Scatti che ritraggono l’umanità locale seduta nei circoli ricreativi con tutto il sotteso di umori, gesti, mezzeparole. L’opera, che reca la nota critica di Tomaso Montanari e i testi per le immagini di Placido Antonio Sangiorgio, restituisce una visione dell’Isola-mondo nei suoi fasti e nelle sue tragedie, nelle speranze e nel sudore, nell’esplosione della giovinezza e nel resiliente gattopardismo. Ci sono, tra gli altri, i ritratti (categoria per la quale Rotoletti è maestro) di Bufalino e Consolo, e quelli di tanti volti anonimi nelle cui rughe e nei ghigni si disegna l’amara allegoria di una terra che trascina il suo giogo.

Ma quello di Armando Rotoletti con Biancavilla è un legame ormai consolidato. Amico di Salvatore Benina a Londra, fin dagli anni ’80, quando ha iniziato la sua attività di fotogiornalista, è da una suggestione di Coco che ha tratto l’ispirazione per un progetto sui Circoli di conversazione a Biancavilla, da cui l’omonimo volume del 2012.

«È impagabile il colpo d’occhio sull’intera via Vittorio Emanuele – afferma l’artista – dove centinaia di sedie allineate sul marciapiede ospitano decine e decine di anziani e non, intenti alla chiacchiera, all’osservazione e al… commento: piccolo risarcimento dei decenni passati chini sui campi con le vanghe in mano». E prosegue: «L’immagine di questo versante si riflette nei volti dei contadini che affollano i Circoli, con la loro pelle estremamente secca, nei nodi e nelle deformazioni delle loro mani, e nei loro sguardi, per lo più spenti e impauriti».

Un sentimento di passione

Chiediamo inoltre a Rotoletti di dirci qualcosa sui destinatari di tali opere: «Esistono diversi tipi di pubblico che acquista libri fotografici. Per quanto riguarda il mio, si tratta di un pubblico molto attento e culturalmente preparato, che apprezza il grande lavoro di ricerca, durato trent’anni. Ma sono consapevole del fatto che, essendo le fotografie legate a momenti specifici e irripetibili nel tempo, può talvolta risultare “fuori dal tempo”».

«Il mio augurio, per usare le parole di Roland Barthes, è che – prosegue Rotoletti – ogni fruitore possa trovare il proprio ‘punctum’, cioè quel volto, quell’albero, quel paesaggio, o altro elemento che evocherà in lui un sentimento di passione. Non a caso il rapporto tra immagine e testo è assolutamente complesso, tanto che per i testi che accompagnano le immagini di questo libro ho deciso di affidarmi a Placido Antonio Sangiorgio, che è riuscito non solo a descrivere perfettamente le fotografie, ma anche a conferire loro una speciale forza poetica, arricchita da numerosi rimandi letterari».

Le opere fotografiche presenti nel volume saranno esposte dal 7 maggio prossimo presso il Duomo antico – cittadella fortificata di Milazzo. All’inaugurazione interverrà Claudio Fava.

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