Cultura
Quando i “muttuzzi” portavano dolci, “carrioli” di legno e bambole di pezza
Per la commemorazione dei defunti, tradizioni e ritualità che a Biancavilla erano riservate ai bambini


Arriva novembre. Anche a Biancavilla le piogge e il freddo si fanno più insistenti, le giornate sono sempre più uggiose e i maglioni di lana prendono il posto delle magliette e delle camicie estive. L’inverno è ormai alle porte: lo rivelano gli alberi spogli di via Vittorio Emanuele.
Eppure questo periodo da sempre porta con sé una “magia” particolare. Magia che niente ha a che vedere con streghe e zucche (anche se negli ultimi decenni tali “importazioni” hanno raggiunto anche noi). È bensì sinonimo di incanto, capace di rapire la fantasia dei più piccoli e catturarli con doni e racconti che hanno l’obiettivo (esplicativo ed educativo) di far sentire presente chi ormai non è più tra noi: i defunti.
Quella tra l’1 e il 2 novembre è una di quelle notti cariche di significato e di fascino. Proprio in queste ore i morti “vengono a trovare” le case e le famiglie per lasciare a ciascun bambino un piccolo regalo. Segno, secondo la fede cristiana, della loro presenza perpetuata nella vita dei vivi, sebbene in un’altra dimensione.
Felici con giochi artigianali e dolci casalinghi
Anticamente dei fichidindia, dei dolcetti casalinghi, oppure dei giocattoli semplici e artigianali erano i doni più attesi. Il gesto voleva esprimere la comunione tra i vivi e i defunti e la riconoscenza di questi ultimi per le preghiere di suffragio che i primi rivolgevano al buon Dio.
Il dialogo che si udiva la mattina seguente era pressappoco questo: Cci a’ dicisti ‘a priera ppi’ nanni assira? E se la risposta era affermativa (e non poteva non esserlo!) la mamma o il papà continuava:Allura vidi cchi ti fici ‘ttruvari! E il bambino cominciava la frenetica ricerca sotto i letti o dietro l’armadio, dentro gli sportelli più nascosti, arrivando fin nella stalla o altrove.
I frutti della ricerca erano un po’ di mostarda o dei profumatissimi mastazzola preparati dalla mamma in gran segreto nei giorni precedenti, succosi fichidindia o mennuli cunfetti comprati na’putìa. I papà, invece si erano dilettati nella costruzione di carrettini in fil di ferro, o di un carriolu di legno con le ruote vere.
Le nonne e le zie avevano realizzato bambole di stoffa con vestiti veri arricchiti di merletti e bottoni veri. Opere artigianali alle quali gli adulti si dedicavano con creatività e passione e delle quali i bambini, nelle ore seguenti, con orgoglio facevano bella mostra con i compagnetti di gioco sulla strada, davanti alla porta di casa dando vita a giochi immaginosi e molteplici storie fantastiche. Le conche cominciavano a scaldare le case. Si respirava aria diversa.
La tradizionale visita al cimitero
Durante il giorno, poi, mentre i bimbi “gustavano” i doni ricevuti, gli adulti dovevano compiere l’immancabile visita al cimitero e portare qualche fiore alle tombe dei defunti.
Una volta il cimitero di Biancavilla si riempiva di migliaia di lumini di cera e di lampadine elettriche che, oltre a rappresentare una trovata di dubbio gusto estetico, divenivano in certi casi dei veri attentati alla sicurezza pubblica.
Questa usanza ormai da qualche anno è stata abbandonata. Permane, invece, quella del giro tra i loculi con annessi commenti sullo stato di mantenimento delle tombe con sussurrate critiche a chi doveva deporre un fiore e non lo ha fatto o a chi ne ha deposti più del dovuto trasformando la tomba in una selva.
Una ritualità ricca di significato
Il sacro si mischia spesso col profano in gesti rituali che ancora oggi, sebbene trasformati e riadattati ai tempi moderni, continuano a perpetrarsi palesando il fitto legame verso i defunti (avvertito presso i popoli di ogni epoca e di ogni parte del mondo). E manifestato in pratiche e rituali che hanno l’indiscutibile funzione di esorcizzare l’ancestrale paura della morte.
La natura, in questo periodo, canta la caducità e la speranza di una rinascita, mentre copre di pioggia il seme deposto a terra. Ma promettendo la certezza che esso in primavera si trasformerà in una nuova pianta e darà ancora nuovi frutti.
Intanto, però, ci si prepara al lungo inverno perché, per dirla con i nostri anziani Quannu ‘rrivinu i morti, a nivi è arreri i porti!
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Cultura
Il biancavillese Alfio Lanaia racconta a Rai Radio 1 “La Sicilia dei cento dialetti”
Lo studioso di linguistica ospite di “MediterRadio”, una coproduzione tra Sicilia, Sardegna e Corsica


Prosegue il successo de “La Sicilia dei cento dialetti”, volume dello studioso biancavillese Alfio Lanaia, pubblicato dalla nostra casa editrice, “Nero su Bianco”.
Lanaia, che per questo libro ha vinto il premio “Tullio de Mauro”, nell’ambito del concorso “Salva la tua lingua locale” dell’Unpli, è stato ospite di “MediterRadio”.
Si tratta di un programma radiofonico settimanale, in onda su Rai Radio 1, prodotto dalla sede Rai della Sardegna e della Sicilia e da Radio Corse Frequenza Mora con sede in Corsica.
Intervistato da Adelaide Costa, Lanaia ha sottolineato l’importanza dell’uso del dialetto siciliano. Una lingua viva, che si evolve e cambia. Un patrimonio immateriale della nostra storia e della nostra cultura.
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