Chiesa
Un secolo fa la Chiesa Madre di Biancavilla proclamata parrocchia
Storico anniversario: era il 20 agosto 1920, padre Vito Piccione scelto come primo parroco
In questo insolito anno 2020 si colloca, proprio il 20 agosto, il centenario della istituzione a sede parrocchiale della Chiesa Madre di Biancavilla. Il maggiore tempio della cittadina etnea, nato nei primi anni di vita della comunità, ha sempre rappresentato l’identità stessa di tutti gli abitanti. All’ombra del suo campanile sono cresciuti e hanno giocato tutti i bambini del paese, gli stessi che nelle feste hanno, col naso all’insù, ammirato i fuochi d’artificio di San Placido. Nella sua grande piazza tutt’oggi si conversa dei fatti più disparati, si parla di politica e di società, si contrattano lavori e si assiste agli eventi religiosi e mondani (l’esibizione del cantante famoso o la banda comunale…).
Ma all’interno della Chiesa Madre, sono tante le attività, che vanno da quelle prettamente religiose a quelle più spiccatamente sociali, caritative, formative. Tutto questo perché è parrocchia, ovvero “una comunità di fedeli che viene costituita stabilmente nell’ambito di una Chiesa particolare, e la cui cura pastorale è affidata, sotto l’autorità del Vescovo, ad un parroco”.
Era il 20 agosto del 1920, quando il cardinale Francica Nava, compiva i piani già da tempo programmati (a volere le parrocchie era stato il Concilio di Trento, ma l’attuazione fu molto lenta e disuguale nelle varie aree geografiche) e proclamava la Matrice di Biancavilla “Parrocchia sotto il titolo della Beata Vergine Maria dell’Elemosina”.
Le ferite del Novecento, le cure della Chiesa
In quegli anni anche i biancavillesi avevano vissuto la carneficina della Grande Guerra, che aveva mietuto diverse centinaia di vittime e portato fame e miseria nelle case.
L’emigrazione, fin dai primi anni del secolo, aveva smembrato le famiglie. Aspirando a un futuro migliore, tantissimi biancavillesi si erano spinti nei paesi più ricchi del continente e oltre.
A complicare la situazione, nel 1918, la “Spagnola”, definita “Pulmunia sicca”, probabilmente portata dai reduci di guerra nelle famiglie di origine: seminò la morte in tutti i ceti della popolazione.
La Chiesa, doveva dare il suo contributo forte, dinamico, nell’aiutare i fedeli che stavano attraversando un periodo storico drammatico.
Il cardinale Nava orienta il proprio clero e imposta la sua pastorale su nuove forme di presenza nel territorio della diocesi, a cominciare dalla istituzione delle parrocchie e dalla formazione dei parroci che necessitavano di preparazione culturale e capacità di azione. Anche tenendo conto delle nuove problematiche dovute all’affermazione di uno Stato borghese, a nuove ideologie anticlericali e alle nuove povertà che esigevano validi ed efficaci interventi.
Don Vito Piccione, primo parroco di Biancavilla
Già erano state erette parrocchie le matrici di Paternò e Adrano, e così nell’agosto del 1920, l’arcivescovo eleggeva il prevosto della Collegiata biancavillese, don Vito Piccione, primo parroco della nuova parrocchia, che comprendeva tutto il paese, affidando a lui la responsabilità della cura delle anime.
Nel primo periodo subentrò una certa confusione di ruoli con i canonici della Collegiata che aveva la stessa sede. Ma l’arcivescovo, negli anni a seguire, con abilità e fermezza, ristabilì i compiti senza intaccare né l’una istituzione (la plurisecolare Collegiata) né l’altra (la neo parrocchia).
Dall’Armistizio ad Antonio Bonanno
Sempre, la Chiesa Madre di Biancavilla, ha rappresentato la casa dei biancavillesi. Alla firma dell’armistizio di Cassibile che avviava alla conclusione la Seconda Guerra Mondiale, i biancavillesi vollero aperta la chiesa, per cantare il loro Te deum.
Volle entrare in essa l’appena eletto sindaco Salvatore Uccellatore, il 17 aprile del 1946, per ringraziare la Madonna dell’Elemosina e San Placido della sua elezione.
E anche l’attuale sindaco, Antonio Bonanno, nel pomeriggio dell’11 giugno 2018, ha voluto cominciare il proprio mandato dopo una preghiera silenziosa e personale tra le navate della Chiesa Madre.
Tanti altri sono i momenti storici che Essa ha accolto al suo interno, come considerevoli iniziative sono state da sempre portate avanti (valga per tutte il gemellaggio, nel 1979, con il villaggio di Muamba Mbuyi, nello Zaire, dove sono state costruite scuole, ambulatori e una casa di riposo).
…fino all’impegno nel nome di don Pino Puglisi
Numerose i compiti e le attività di questo organismo utile e complesso, cellula fondante del corpo che è la Chiesa, ma anche valida agenzia educativa e formativa (per dirlo laicamente!), con compiti utili a livello collettivo e di assistenza sociale (molte famiglie indigenti bussano periodicamente alla porta della chiesa, ricevendone aiuto).
Dalla catechesi ai fanciulli in preparazione ai sacramenti, alla pastorale degli adolescenti e dei giovani (ne è valido esempio la Corale e l’Oratorio don Pino Puglisi con le molteplici iniziative che coinvolgono centinaia di adolescenti). Poi la pastorale delle famiglie (nei centri di quartiere) e la pastorale della carità (attivissimo il gruppo Caritas) e dei malati. La parrocchia espleta un servizio fondamentale nel tessuto comunitario, ponendo sempre attenzione ai tempi, ai contesti, alle nuove problematiche, mettendo al centro della propria vita la celebrazione eucaristica – principio e culmine per ogni fedele – e l’annuncio della Parola.
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Chiesa
San Placido: la nostra identità cittadina tra fede, tradizioni e memorie secolari
La festa in onore del Patrono è esplosione di piacere collettivo, al quale tutti debbono partecipare
Un episodio della vita di san Placido, risalente ai primi anni della permanenza in monastero con san Benedetto ci tramanda che i monaci di alcuni monasteri avevano enormi difficoltà a reperire l’acqua, sicuramente per la lontananza con le fonti o per una persistente siccità. Allora angustiati chiesero all’abate di risolvere il problema. Il superiore non trovò altro rimedio se non la preghiera. Una notte, affinché la supplica fosse più efficace, svegliò il piccolo Placido, beatamente addormentato. Insieme si inoltrarono tra i monti e in un luogo remoto pregarono lungamente tutta la notte. Alla fine, poste tre pietre ad indicare il sito, se ne tornarono in monastero. Quando, su indicazione dell’abate, gli altri monaci andarono nel posto indicato tra quelle rocce videro uscire l’acqua tanto desiderata, prodigioso dono ancora oggi tangibile.
I santi commuovono il cuore di Dio. Lo dovremmo pensare quando tra le strade di basolato lavico della città passa solenne la statua del nostro san Placido. Quando le bombe assordanti, le strisce colorate, gli applausi dai balconi, le festose marce della banda accompagnano l’immagine di questo monaco andato in cielo – più di millecinquecento anni fa – a poco meno di trent’anni. I santi chiedono a Dio le grazie di cui noi abbiamo bisogno e ci indicano la giusta strada, già da loro percorsa.
Il segno dell’identità cittadina
In un mondo che sta cambiando troppo in fretta, in una società che ha modificato valori e ideali, portare tra le strade le statue dei nostri patroni assume un senso nuovo rispetto ai tempi andati.
San Placido rappresenta l’identità cittadina, con tradizioni e memorie derivanti dallo stratificarsi del passato e dalle contaminazioni culturali che l’hanno arricchita e la rendono unica. La festa a sua volta è esplosione di piacere collettivo, al quale tutti debbono partecipare. Essa spezza la monotonia della quotidianità e attraverso la manifestazione esterna di sentimenti ed emozioni offre l’occasione di riscoprire le origini della comunità, recuperandone la storia, rifondandola periodicamente e trovando nella ritualità dei gesti compiuti all’unisono da tutti la propria ragione di essere.
Per i cristiani, la festa è anche culto, è manifestazione della gioia che deriva da Dio e a lui fa ritorno. Esattamente come il nostro “giru de’ santi”, che dalla Chiesa Madre prende inizio e lì ritorna, esorcizzando la concezione della vita. Una vita intesa non come fluire lineare, con un inizio e una fine, ma come un divenire ciclico di nascita, morte e rigenerazione. Esattamente come le stagioni.
Festa, fede e simbolismo
La festa è pure preghiera ed è riflessione sul destino dell’uomo. Placido è stato un uomo. Ha gioito e ha patito come ogni altro essere umano. Ha dato però degli obiettivi e delle priorità alla sua esistenza. Ha saputo fare dono di sé agli altri. Questo ci viene rivelato dalla statua, opera del biancavillese Placido Portal, scolpita agli inizi del Settecento. Essa, riproponendo la Santità del martire secondo i modelli classici del barocco siciliano, mostra un uomo imberbe, ancora molto giovane, con un’ampia cocolla nera, con la mano destra alzata per benedire chi gli si rivolge.
Il simbolismo aiuta a capire il messaggio solo se il fedele osserva l’opera con occhio attento. L’aureola d’argento, è uno degli attributi più antichi, indica quello come uomo di Dio, ammantato dall’aura splendente della luce divina. Il pastorale rappresenta la dignità di abate, padre e pastore della comunità monastica a lui affidata. Il libro della Regola afferma che il santo appartenne all’ordine Benedettino, i cui monaci dopo il crollo dell’Impero Romano compirono l’imponente opera di ristabilire l’equilibrio in una Europa sconquassata dalle invasioni barbariche. La palma è simbolo del martirio subito per testimoniare gli ideali cristiani. Le chiavi della città – consegnate ogni anno dal sindaco – indicano l’affidamento di Biancavilla al suo Patrono. Infine la croce pettorale, in argento e pietre preziose, è segno della fede in Cristo, stabile fino alla fine nel cuore di Placido.
Ai piedi del fercolo, dentro un’antichissima urna, sono conservate le reliquie, il braccio destro del santo che tante volte benedisse i fratelli e oggi continua a benedire i suoi devoti.
Il senso della festa oggi
Ecco cosa rappresenta quella effigie tirata dai fedeli, portata festosamente tra la gente, abbracciata da migliaia di biancavillesi. Ancora oggi, quel monaco di cui parlò Gregorio Magno, avvicinato dalla tradizione alla nostra Sicilia come martire, ci vuole parlare di pace in un mondo che, preso da interessi di parte sta conoscendo una triste era di conflitti; ci parla di ponti per unire individui appartenenti all’unica famiglia umana; ci parla di accoglienza e di interculturalità in una società chiamata a ricevere nuovi flussi migratori da terre povere e devastate concretizzati ogni giorno in nuovi vicini di casa, compagni di scuola, colleghi di lavoro; ci parla di lotta audace alle nuove mafie che attanagliano come tumori la nostra terra, la oltraggiano e la umiliano.
Una forte dose di coraggio, di presa di coscienza intelligente per far uscire la nostra società civile dall’individualismo imperante e dalla ricerca di profitti e interessi privati a scapito di quelli comuni. Una buona quantità di impegno e di forza di volontà per tirar fuori le nostre comunità ecclesiali – spesso annebbiate dai troppi fumi d’incenso – dai raccolti edifici sacri al mondo chiassoso e agitato. Accogliere le nuove sfide del nostro tempo e piantare semi di nuova speranza per tramutare il caos in cosmos: è questo che ci dice e ci chiede il nostro Santo Patrono in questo 2024? Forse, e non solo.
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