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Cultura

Quando Biancavilla si affidò a San Rocco per allontanare il “flagello” della peste

La nostra comunità aveva meno di un secolo di vita ed appena 750 abitanti ai tempi della “morte nera”

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© Foto Giorgia Reitano

Quando le forze umane non riescono ad affrontare le difficoltà della vita, si alza lo sguardo al cielo. E’ una storia antica, è la storia stessa dell’uomo. L’immagine di papa Francesco, solo, in un pomeriggio piovoso, che si rivolge al Crocifisso per invocarlo di liberare il mondo dal flagello del Coronavirus, rimarrà scolpita nella storia e nei cuori di tutti.

Il 9 giugno del 1575, a Palermo furono trovati morti una donna e un mercante di tappeti, provenienti dalla Barbaria, che avevano avuto rapporti sessuali. Entrambi con chiari segni di peste. Il contagio si diffuse nel giro di poco, mietendo vittime e creando panico e disperazione, tra chi affermava essere opera del demonio e chi invece di cospirazione politica.

La peste è malattia conosciuta fin dall’antichità. Uccideva così tante persone da assumere l’appellativo di “Morte nera”. Si diffondeva dove si rivelavano condizioni di scarsa igiene e le città erano infestate da topi e pulci. Il tasso di morte raggiungeva il 50 per cento.

Giovanni Filippo Ingrassia di Regalbuto, fu chiamato come protomedico generale del Regno a organizzare i cordoni sanitari e ad apprestare un piano per contrastare il dilagare dell’epidemia.

Mesi duri, di malattia, di fame e di stenti. E se l’epidemia si quietò nelle grandi città, perdurò invece a lungo nell’entroterra isolano fino alla carestia del 1591.

Biancavilla non aveva nemmeno un secolo di vita, poche case e circa 750 abitanti, un mulino e una chiesa in cui veniva praticato il rito greco portato dagli albanesi fondatori.

Quando l’epidemia arrivò ai piedi dell’Etna, quegli abitanti si rivolsero al santo degli appestati, quello che dai nostri nonni veniva chiamato “Santu Roccu ccu’ cani”.

San Rocco era vissuto nel Trecento, soccorrendo nella sua vita centinaia di appestati tra la Francia e l’Italia. Raggiunto dalla malattia anche lui, fu nutrito da un cane che giornalmente gli portava del pane. Nel suo giaciglio, alla sua morte, fu trovata una scritta che diceva: “Chiunque mi chiamerà contro la peste sarà liberato da questo flagello”.

Per tale motivo, alle spalle dell’allora chiesa della Madonna dell’Elemosina, a pochi passi di distanza, fu edificata, con pietre e materiali poveri, una chiesetta dedicata al santo degli appestati. E Biancavilla, secondo i fedeli, fu preservata dal flagello.

Nel corso del Seicento, la chiesa mutò nome e divenne Chiesa del Rosario, così come oggi la conosciamo tutti. Nei quattordici mesi in cui è stata chiusa la Matrice per il terremoto dell’ottobre 2018, dovendo celebrare proprio in questa chiesa, abbiamo visto la statua di un pellegrino che mostra la ferita della pestilenza, mentre un cane ai suoi piedi gli porge del pane.

Nella vicenda della antica Chiesa di san Rocco, oggi vediamo tanta devozione, ma leggiamo pure tra le vicende, un tentativo da parte della curia locale di latinizzare quelle genti che celebravano in un rito diverso e con una lingua incomprensibile. Tentativo che fu compiuto e portato a termine un secolo e mezzo dopo, quando fu dichiarato patrono di questa terra il “glorioso” san Placido, per proteggerla da qualunque flagello si sarebbe presentato in futuro.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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Cultura

Le linee del sacro: Giuseppe Gugliuzzo ci fa “scoprire” la chiesa dell’Annunziata

Senso e significato degli adeguamenti liturgici: nuovo volume pubblicato da “Nero su Bianco Edizioni”

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Oltre quattro secoli di storia che hanno inciso nel tessuto sociale e nello sviluppo di un intero quartiere. La chiesa dell’Annunziata di Biancavilla non è soltanto un luogo di culto. È uno scrigno in cui viene custodita una delle parti più preziose del patrimonio artistico ed architettonico della città etnea.

Una nuova pubblicazione, edita da Nero su Bianco, punta ora l’attenzione sugli interventi che nella chiesa sono stati effettuati, finalizzati all’adeguamento liturgico alle norme del Concilio Vaticano II. Si intitola “Le linee del sacro nella chiesa dell’Annunziata di Biancavilla”, il libro scritto da Giuseppe Gugliuzzo.

Ogni figura e forma, ogni segno e colore hanno una loro collocazione specifica e un profondissimo significato teologico. L’autore documenta le scelte, spiegandone il senso, operate fin dai primi anni Duemila per l’adeguamento liturgico e volute dall’allora parroco, don Giovambattista Zappalà. Lo studio, attraverso una lettura specialistica, si concentra, in maniera particolare, sulla serie di interventi nell’area presbiteriale e nel tabernacolo.

Un ulteriore tassello volto a ricostruire e a fare conoscere la storia della chiesa dell’Annunziata. Il volume è arricchito dalla prefazione di padre Giovambattista Zappalà e di Antonio Mursia.

Legatissimo alla parrocchia dell’Annunziata, Gugliuzzo, per Nero su Bianco Edizioni, ha già pubblicato, assieme a Giuseppe Ciadamidaro, “Santu, riccu e furtunatu. Padre Placido Brancato, album di una vita dedicata ai giovani”. Un volume fotografico con testimonianze sul sacerdote rimasto alla guida dell’Annunziata per quasi mezzo secolo, lasciando un segno in diverse generazioni che si sono susseguite nella frequenza della parrocchia e dell’oratorio “Don Bosco”.

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