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Trauma per un grave lutto, a Biancavilla storie di luce dopo il dolore lacerante

Sofferenza e morte: a Villa delle Favare incontro con gli esperti Marina Intelisano e Gaetano Interlandi

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In un momento di particolare drammaticità per gli eventi che si stanno vivendo a livello globale e di cui la pandemia e la guerra in Ucraina rappresentano forse gli esempi più amari e maggiormente vicini a noi, parlare di dolore e di sofferenza risulta fin troppo scontato e inutile. Ma potrebbe essere una via necessaria per affrontare il problema ed elaborarlo, attraverso la narrazione, anche sotto un punto di vista emotivo e psicologico.

A Villa della Favare, ospiti dell’Accademia Universitaria Biancavillese (guidata da Rosa Lanza), Marina Intelisano – sociologa sanitaria relazionale e psicodrammatista dell’Asp di Catania – e Gaetano Interlandi – psichiatra, attualmente medico responsabile della comunità “Cenacolo Cristo Re” – hanno trattato il tema del dolore e del trauma che si subisce a causa di una perdita.

Eventi traumatici che lacerano il cuore

La scomparsa di una persona cara, particolarmente se è un bambino o un giovane, è un evento considerato tra i più intensi. Evento che lacera il cuore e si accompagna spesso ad una profonda crisi spirituale, ponendo interrogativi sui valori e i significati dell’esistenza, spingendo chi ne è colpito anche a provvedimenti impulsivi e nocivi per sé e gli altri. Tuttavia, un evento del genere può spalancare le coscienze e portare a prestare attenzione non solo a informazioni veicolate dai cinque sensi. Ma anche a ciò che viene percepito con le intuizioni e con quella che può essere definita sensibilità spirituale.

Dunque, a chi e a che cosa serve raccontare il dolore? Perché parlare di malattia e di morte? Perché soffermarsi su argomenti desolanti e cupi?

Il lutto è un evento “normale” nella vita di ciascun essere umano, le reazioni alla perdita sono universali, sebbene la forma e il decorso della sofferenza variano in base a diverse peculiarità, personali e contestuali.

Verso una nuova visione delle cose

Le storie presentate da Intelisano parlano di mamme che hanno perso i loro bambini a causa di una malattia oncologica. Parlano del dispiacere più grande che un essere umano possa provare. Queste storie sono frutto di laboratori di auto-mutuo aiuto che lei stessa ha curato al Centro di Emato-Oncologia Pediatrica di Catania. Attività per dare sostegno ai genitori durante il loro percorso di elaborazione del lutto, lungo il quale, nel tormento interiore, riabbracciano la speranza. Un cammino difficile della durata di diversi mesi o anni, ma che in molti casi riesce a donare un senso a quella perdita.

«Il dolore è come un urlo nella notte, soprattutto per un genitore. Egli non riesce a concepire più alcuna gioia nella sua esistenza», spiega la sociologa, rifacendosi alla sua recente pubblicazione “Lungo il cammino verso Est”, Ed. Segno. «Col tempo –continua– l’accettazione, in certi casi la rassegnazione, si fa cieca, come un soldato che esegue gli ordini di un superiore senza capirne il vero significato…».

Molte mamme e molti papà, all’inizio si chiudono in sé. Non vogliono sapere niente di nessuno. Poi, grazie anche al percorso intrapreso all’interno dei gruppi, scoprono che quel dramma può trasformarsi in solidarietà, in amore da offrire ad altre persone bisognose. In questo modo molti riescono a dare un senso a quello che intellettivamente e razionalmente non si riesce a spiegare. E ad incanalare sentimenti di paura, rabbia e disperazione verso modi di pensare più positivi e atteggiamenti concreti costruttivi e fruttuosi che innescano una spirale sana. «Opere di forza e connessione con la vita e con gli altri che veicolano una conoscenza di sé e delle proprie qualità adattive, sino ad allora sconosciute» utili a far cicatrizzare una ferita che comunque si porterà per il resto della vita.

«Queste donne non hanno negato il dolore, piuttosto lo hanno “attraversato”, hanno ascoltato i loro sentimenti… a volte, i loro sensi di colpa. Come guerriere, hanno negoziato, accettato, capito. E si sono riconciliate con la vita riconquistandola e ri-progettandola, poiché l’immersione nelle acque della sofferenza richiede molto coraggio…».

La psicoterapia e gli affetti più cari

Nella maggior parte dei casi, la sofferenza dovuta alla perdita sembra risolversi in modo naturale, che necessita di tempo. Altre volte, invece, l’afflizione può persistere più a lungo e condizionare in modo significativo la vita della persona, con notevoli effetti sulla salute fisica e mentale. Il dottor Interlandi ci dice, a proposito, che «l’elaborazione della perdita, se non si risolve nei tempi giusti – variabili da individuo a individuo – può trasformarsi in depressione patologica con esiti invalidanti e gravi. Quindi, la strada della terapia di supporto per coloro che hanno vissuto questo tipo di dramma, sebbene all’inizio possa apparire inefficace, con l’andare del tempo si dimostrerà altamente utile, anzi indispensabile».

Dare voce alla sofferenza non costituisce soltanto un antidoto alla disperazione. Costituisce, piuttosto, la possibilità di narrare la propria storia, di rendere testimonianza, certificare e costituire un modello esemplificativo di rinascita. Quello che sembra una sconfitta, pertanto, può essere il preludio di una conquista. Un conflitto diviene anticipatore di una nuova condizione di pace e un periodo buio potrebbe preannunziare la luce. Parlare del dolore, quindi, diviene un modo drammaticamente diretto per celebrare la vita, nell’aspetto che delinea la condizione umana, fatta di fragilità e vulnerabilità, ma anche di risorse imprevedibili.

Nei momenti che seguono un evento traumatico e doloroso, assumono un’importanza notevole anche i familiari, gli affetti più prossimi, le amicizie. Tutti, in maniera discreta, a volte silenziosa, mostrano la loro vera presenza e il loro ruolo nel sostenere emotivamente chi è nella prostrazione per riprendere la quotidianità perduta. A tutto questo, c’è da dire che, sempre più spesso, è utile il supporto di una psicoterapia individuale o di gruppo. Un percorso che riesca a ridare sapore e colore alla vita di chi ha avuto un lutto e fare riscoprire quell’amore che non muore mai, che si trasforma. E alla stessa stregua delle stelle che esplodono, esso continuerà sempre ad emanare luce ed energia.

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Mattarella conferisce medaglia d’onore alla memoria di Gerardo Sangiorgio

Alto riconoscimento per il biancavillese sopravvissuto ai lager: cerimonia per la Festa della Repubblica

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Ancora un alto riconoscimento istituzionale alla memoria di Gerardo Sangiorgio, il biancavillese che rifiutò di giurare fedeltà alla Repubblica di Salò e che, per questo, fu rinchiuso nei lager nazisti. Un uomo giusto che, sopravvissuto a quell’orrore, dedicò la sua vita di insegnante alla promozione dei valori di libertà e fratellanza.

Questa volta – a 30 anni dalla morte di Sangiorgio – è il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, a conferire una medaglia d’onore in suo ricordo. Verrà consegnata ai familiari, il 2 giugno, occasione del 77esimo anniversario della fondazione della Repubblica Italiana, in una cerimonia in piazza Università, a Catania, dalle mani del prefetto. A comunicarlo con una lettera, come apprende Biancavilla Oggi, è stata proprio Maria Carmela Librizzi a Maria Cuscunà, vedova di Gerardo Sangiorgio.

L’alto riconoscimento si lega a quanto previsto dalla Legge 296 del 2006. La medaglia d’onore è dedicata ai cittadini italiani, militari e civili, deportati ed internati nei lager nazisti e destinati al lavoro coatto per l’economia di guerra e ai familiari dei deceduti.

Sangiorgio, un Internato Militare Italiano

Lo status di Sangiorgio è quello dell’Imi (Internato Militare Italiano). Catturato a Parma dopo l’8 settembre 1943, disse “no” al fascismo, rifiutandosi di aderire alla fantomatica Repubblica di Salò. Caricato nei vagoni piombati, venne trasferito in Germania. Arrivò nel campo di sterminio di Neubranderburg bei Neusterlitz. Poi, il trasferimento al lager di Bonn am Rhein e, nell’inverno del 1944, a Düisdorf. Visse in condizioni inumane, che lo provarono per il resto della vita.

Il ritorno a Biancavilla gli consentì di proseguire gli studi. Divenne un apprezzato docente e un fine letterato. Nel 1953 fu insignito della Croce al Merito di Guerra. Ricevette nel 1979 l’autorizzazione dal Ministero della Difesa di adoperare il Distintivo d’onore per i patrioti Volontari della libertà. Nel 1984 ebbe il titolo onorifico di “Combattente per la Libertà d’Italia 1943-1945” da parte del Presidente della Repubblica, Sandro Pertini, e del Ministro della Difesa, Giovanni Spadolini. Adesso si aggiunge questa ulteriore medaglia d’onore su decreto firmato dal capo della Stato, Sergio Mattarella.

Due volumi su Gerardo Sangiorgio

Negli ultimi anni, diversi i contributi e gli studi sulla figura di Sangiorgio. Due i volumi che la nostra casa editrice, Nero su Bianco, gli ha dedicato, promuovendoli in occasione della “Giornata della memoria” con il coinvolgimento delle scuole.

Si tratta di “Internato n. 102883/IIA. La cattedra di dolore di Gerardo Sangiorgio”, scritto da Salvatore Borzì con prefazione di Nicolò Mineo. E poi, a cura di Borzì, “Una vita ancora più bella. La guerra, l’8 Settembre, i lager. Lettere e memorie 1941-1945”, con prefazione di Francesco Benigno.

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