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Editoriali

Ufficio staff con “bando bluff”: quando la selezione sembra ricamata a puntino

Scegliere i propri collaboratori è una prerogativa del sindaco, ma l’avviso pubblico crea inutili illusioni

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© Foto Biancavilla Oggi

EDITORIALE

La “notizia” non è che il sindaco decida di costituire un “ufficio staff”: se è uno strumento che possa servire a velocizzare e organizzare l’attività amministrativa, ben venga. E non è una “notizia” nemmeno che il componente esterno debba essere retribuito: il lavoro si paga (anche profumatamente) e non è da classificare come “sperpero di denaro pubblico”, se serve a catturare opportunità e benefici (in termini economici o di qualità dei servizi) per l’istituzione. Se l’incarico sia utile e funzionale lo si vedrà a consuntivo. Preventivare il fallimento appartiene alla categoria del “partito preso”, di cui non facciamo parte.

Non avremmo motivo, dunque, di occuparci del bando per la ricerca di un collaboratore del sindaco (scadenza ore 12 del 4 febbraio), se non ci fossero aspetti degni di essere raccontati ai nostri lettori. Lo facciamo, come è nel nostro stile, non con insinuazioni, mezze frasi, strumentalizzazioni o diffusione di fake news (la selezione non è un concorso aperto a tutti i diplomati, ma bisogna vantare pure «esperienze maturate nell’ambito delle attività comunali», supponiamo di assessori, consiglieri o dipendenti).

La “selezione pubblica”, al di là dei requisiti formali, mirerebbe a scegliere, per la durata di 12 mesi e un impiego di 6 ore a settimana, una persona che affianchi il primo cittadino. L’avviso, più precisamente, secondo fonti di Palazzo, sarebbe stato pensato e ricamato appositamente per fare entrare nell’apparato comunale uno degli ex assessori di Antonio Bonanno. Un ripescaggio, insomma. Vedremo se sarà così. Ma se così non fosse, poco conta.

Il punto centrale –secondo Biancavilla Oggi– non è che il capo dell’amministrazione voglia al suo fianco una persona di fiducia: è nelle sue prerogative. Il nodo riguarda, piuttosto, le modalità e gli escamotage per arrivare a questa soluzione. Senza entrare nei meccanismi contorti della burocrazia e delle interpretazioni delle normative, ad occhio e croce riteniamo che il bando serva in genere per ricercare competenze (si pensi, per esempio, ad un concorso di idee o progetti per un restyling di piazza Roma). Ma se l’elemento fiduciario è predominante nei criteri di scelta dei collaboratori, lo strumento dovrebbe essere la determina sindacale per la nomina diretta, peraltro come già accaduto per il portavoce e per i vari esperti (a titolo gratuito o oneroso).

Con queste premesse, invece, si potrebbero creare situazioni paradossali: se a presentare il curriculum, ci fosse anche un eccellentissimo ed ex super funzionario di Palazzo Chigi, Bonanno lo scarterebbe per impossibilità di rapporto fiduciario ed opterebbe per una conoscenza “biancavillota” dal curriculum di mezza paginetta? Suvvia, siamo seri. L’immagine che passa della politica e della macchina comunale è devastante: siamo di fronte al solito calpestio delle competenze e della meritocrazia, a vantaggio della “casta” e della cerchia ristretta. La solita storia dei finti esperti e degli autentici (e)“sperti”.

Non basta fare l’assessore per una manciata di mesi per “laurearsi” automaticamente scienziato politico. Angelo Di Fazio, ex funzionario comunale, pignolissimo conoscitore di varie generazioni di amministratori, sosteneva che un neo assessore per comprendere il proprio ruolo appieno ha bisogno di 2-3 anni e che, in cinque anni, forse, se è sveglio, può cominciare a vantare un minimo di competenza. Ecco perché di assessori degni di questo nome possiamo contarne 4-5 nell’ultimo quarto di secolo, non di più.

Sono meccanismi come questi che innescano quella repulsione, ormai consueta, dei cittadini nei confronti della politica tutta (senza distinzione di schieramenti e colori) e delle istituzioni. Bonanno, invece, dovrebbe fare tesoro delle esperienze degradanti di cui sono stati capaci i suoi predecessori ed evitare gli stessi percorsi.

Certo, gli indignati di oggi erano muti e “giurbi” ieri: è il gioco ipocrita delle parti e delle convenienze di fazione di coloro che stavano zitti e non fiatavano nemmeno quando al fianco degli amministratori venivano chiamati trombati della politica, scartati dagli elettori, senza titoli né competenze, per improvvisarsi “esperti” del nulla.

Noi di Biancavilla Oggi, invece, siamo noiosamente monotoni nelle nostre critiche, ieri come oggi. Lo ribadiamo chiaramente: tocca ad Antonio Bonanno evitare scivoloni di questo tipo, a salvaguardia dell’immagine dell’istituzione comunale (ancora segnata e martoriata dai colpi bassi subiti in passato). Ripetere gli stessi errori dei suoi predecessori, lo renderebbe peggiore di loro: è la più grave delle contestazioni che gli possiamo avanzare.

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Editoriali

I meme “contro” Antonio Bonanno che oscurano dai radar… Andrea Ingiulla

Analisi della comunicazione elettorale, tra demonizzazione dell’avversario e strategia del vittimismo

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Per chi come noi ama e auspica le campagne elettorali con spargimento di sangue, produrre meme “contro” Antonio Bonanno è il minimo sindacale. Tutto fa brodo. Anzi, era assai prevedibile trasformare lo slogan scelto dall’esponente di Fratelli d’Italia, declinandolo in mille varianti: Bonanno c’è Guevara, Bonanno c’è la fa, C’è Gigi?, Sindaco c’è voto per te… Ed ecco pure la trovata del segretario del Pd, Giuseppe Pappalardo, che alimenta i social, pubblicando un fotomontaggio di un manifesto che ricalca quello del sindaco, ma con la scritta C’è… munnizza peri peri. Ci sta.

Così come ci sta la reazione dello stesso Bonanno («Una scelta che offende me e soprattutto la città…»), il quale, fingendo una lesa maestà, non fa altro che dare ancora più eco ad una “sparata” che costringe tutti a parlare di lui.

«La migliore pubblicità è quella che ti fanno e innescano gli avversari», recita in fondo una regola elementare della propaganda politica. Il punto è proprio questo: i manifesti del sindaco, copiati e storpiati dal segretario del Partito Democratico, a chi giovano? Quale effetto provocano?

Non c’è bisogno di consultare i manuali di comunicazione politica e di psicologia della comunicazione per comprendere che l’azione – puerile e goliardica, su cui si può e si deve sorridere – mette al centro dell’attenzione Bonanno: lui e solo lui.

L’intervento finto-indignato del primo cittadino suscita automatica empatia e solletica la liturgia della solidarietà: anche questi sono meccanismi sentimentali di basilare psicologia delle masse. E chiunque condivida e ingigantisca il messaggio distorto da Pappalardo non fa altro che alimentare la popolarità del primo cittadino. Un effetto contrario all’intento, quello del mancato candidato barbagalliano. Ecco perché lo stesso sindaco scrive un post che, di fatto, approfitta di quell’azione, piegandola e girandola a suo favore.

È singolare analizzare come in questa vicenda di inizio campagna elettorale, l’esponente Pd e il sindaco utilizzino due strategie prese rispettivamente a prestito dalle culture politiche a loro opposte. Pappalardo agisce con la demonizzazione e lo sfottò dell’avversario nelle tipiche modalità della cultura berlusconiana. Bonanno risponde con il vittimismo, che è un antico tic caratteriale di una certa sinistra.

Ma non addentriamoci con troppa serietà ad una questione che è certamente banale. In questa giornata del manifesto-bluff, l’unico che è scomparso dai radar della politica e delle pagine social è Andrea Ingiulla. E con lui le sue proposte politiche alternative, che invece meriterebbero diffusione e valorizzazione da parte del Pd. È questo il risultato di una propaganda senza regia, basata sull’assenza di un piano di comunicazione politica. La comunicazione è una materia seria: andrebbe affidata ad esperti e non lasciata all’improvvisazione controproducente con lo stile dei bimbi-minkia del photoshop.

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