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Imprigionato il minerale-killer ma restiamo “sorvegliati speciali”

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© Foto Biancavilla Oggi

Il minerale-killer è stato imprigionato, la sua pericolosità è stata ridimensionata. Ma resta sempre in agguato, può riapparire a specifiche condizioni: il rischio non può essere affatto ritenuto pari a zero. Per questo non bisogna allentare la morsa: la partita non è ancora vinta. Biancavilla resta, dunque, città a sorveglianza speciale. Lo è stata per quasi otto anni, nel tentativo di comprendere meglio la concentrazione delle fibre di fluoroedenite. Ad annotare i dati del monitoraggio di diffusione del minerale simile all’amianto sono stati gli esperti dell’Agenzia Regionale di Protezione Ambientale di Catania.

Dal momento che, nel 2001, il centro etneo era stato dichiarato “Sito di Interesse Nazionale” per la bonifica (attuati finora l’asfaltatura delle strade sterrate e il rifacimento delle facciate di alcuni edifici pubblici), l’Arpa etnea si è dotata di un laboratorio (finanziato da fondi europei) per misurare le particelle nocive diffuse nell’aria di Biancavilla.

Così si è proceduto dal luglio del 2009 fino al mese scorso con il prelievo e l’analisi di 882 campioni di particolato atmosferico. Lo studio, condotto dai dott. Roberto Grimaldi e Maria Rita Pinizzotto, si è avvalso di periodici rilevamenti in diversi punti del territorio comunale, a cominciare dalla zona di monte Calvario (fonte originaria del minerale nocivo, causa di una sessantina di decessi accertati per tumore alla pleura).

«Complessivamente –viene evidenziato nel rapporto che Biancavilla Oggi ha letto– il superamento del valore di 1 fibra/litro (soglia d’allarme stabilita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, ndr) è stato registrato in 33 degli 882 campioni prelevati». Tanti? Pochi? Al di là del dato assoluto, le volte che il limite massimo è stato oltrepassato dimostrano che il pericolo non è stato neutralizzato in senso assoluto.

Ma la spia d’allarme, nell’ultimo periodo, si è accesa sempre meno: negli ultimi tre anni, gli strumenti dell’Arpa hanno segnalato una concentrazione di fluoroedenite, oltre il limite consentito, una sola volta. «Ad ogni modo, questo superamento dimostra –conclude il dossier– quanto sia di estrema importanza esercitare un controllo particolarmente attento ed efficiente su tutte le attività che richiedono movimentazione di materiali e terre all’interno del Sito di Interesse Nazionale e quanto possa risultare efficace la sinergia fattiva e collaborativa fra enti ed istituzioni».

Fino a meno di vent’anni fa, le maggiori fonti di esposizione erano le cave di monte Calvario, in cui si producevano materiali edili, e le tante strade in terra battuta che sollevavano polveroni con possibile presenza del pericoloso minerale. Oggi, queste fonti risultano pressoché soffocate e i dati Arpa lo dimostrano. Restano attive, tuttavia, le “fonti potenziali”. Si pensi ai lavori di manutenzione o ristrutturazione di immobili privati: non va dimenticato che buona parte delle costruzioni civili è stata realizzata con materiale di monte Calvario, la cui attività estrattiva ha avuto inizio negli anni ’50 con un picco negli anni ’70-’80. Anche i lavori pubblici non vanno sottovalutati.

I rilevamenti dell’Arpa hanno riguardato, non a caso, i recenti scavi in paese per l’apposizione della fibra ottica nell’ambito del cantiere “Banda ultralarga e sviluppo digitale in Sicilia”. Su 53 campionamenti, nessun campanello d’allarme è suonato. È andata bene. Ma il minerale-killer c’è sempre. Tra le mura delle case così come nel ventre di Biancavilla. E non va dimenticato.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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1 Commento

1 Commento

  1. Alberto

    14 Gennaio 2018 at 14:50

    Vorrei sottolineare che ad oggi, attorno l’area di cava ci sono terreni della stessa natura che non sono oggetti di bonifica. Vicino a questi terreni si affacciano molte case, e i bambini ci giocano.

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Amianto, reportage da Biancavilla tra fatalismo ed enigmi ancora irrisolti

Circa 70 morti per tumore alla pleura, ma è allarme anche per altre patologie: sconosciute le cause

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© Foto Biancavilla Oggi

Il pericolo è nell’aria. Gli avvisi affissi lungo la recinzione metallica sono a caratteri cubitali: “Vietato l’ingresso, attenzione zona a rischio”. Siamo a Biancavilla, 23mila abitanti, ma la cartellonistica è da “Area 51”. E in effetti, l’alieno c’è. È un minerale fibroso altamente cancerogeno – annidato tra i rilievi di rocce vulcaniche qui chiamati di “Monte Calvario” – generato in epoche remotissime dai bollori dell’Etna e dai capricci delle eruzioni laviche. Sconosciuto in natura fino a quando, nel 2001, il prof. Antonio Gianfagna, ricercatore dell’Università “La Sapienza”, ne traccia l’identikit. È una nuova fibra, di colore giallo, simile all’amianto, a cui Gianfagna dà il nome di “fluoro-edenite”, registrandola all’International Mineralogical Association. Per uno scienziato della terra equivale alla scoperta di un pianeta da parte di un astronomo. Lo studioso de La Sapienza, tornato sei anni dopo sul “luogo del delitto”, scopre un secondo minerale ignoto: è la fluoroflogopite.

Eppure, non c’è da gloriarsi se monte Calvario sia diventato un geosito di interesse mondiale e Biancavilla sia finita negli abstract della letteratura scientifica internazionale con la fibrillazione di geologi, epidemiologi ed operatori della sanità pubblica.

Diverse attività di cava presenti nella zona di monte Calvario (un’appendice urbana estesa per 20 ettari), fin dagli anni ’50 hanno frantumato e sbriciolato le rocce laviche. Un ottimo materiale per l’edilizia, ma il risultato è che gran parte degli edifici del paese sia “contaminata” dalla fibra, riconosciuta cancerogena nel 2014 dall’International Agency for Research on Cancer, riunita a Lione con 21 esperti di 10 paesi europei per apporre il timbro dangerous sulla ‘polvere’ di Biancavilla.

«Un’epidemia di tumori pleurici»

«Un caso straordinario di inquinamento naturale dovuto ad un minerale che, disperso nell’aria e inalato, provoca effetti sulla pleura, la membrana di rivestimento dei polmoni», avevano sentenziato già i primi studi alla fine degli anni ‘90. Di morti per mesotelioma pleurico, a Biancavilla, se ne contano ufficialmente 70 negli ultimi 35 anni, ma si stima che i decessi reali siano il doppio.

«Una piccola epidemia di tumori pleurici», l’aveva definita Pietro Comba, quando da dirigente dell’Istituto Superiore di Sanità era stato tra i primi ad interessarsi del caso. Sì, proprio un’epidemia con percentuali anomale. Nel periodo 1980-2010, per esempio, si sono avuti 6 decessi per mesotelioma in persone al di sotto dei 50 anni contro 0,6 attesi: una mortalità 10 volte superiore. Anche in età giovanile, anche tra le casalinghe: a riprova che il rischio sia ambientale.

Qui, fare una banale manutenzione edile, stare fuori in giornate ventose o semplicemente… respirare costituiscono azioni a rischio. La vittima più giovane finora registrata è una ragazza di 27 anni.

«Mio figlio Dino, morto in 5 mesi»

Nell’elenco dei decessi per mesotelioma c’è anche Dino Ingrassia: è morto nel 2011 ad appena 33 anni, lasciando tre bambini. La mamma, Giusi Tomasello, è tra i pochi ad esporsi. La sua testimonianza umana e civile dà un’anima alle fredde statistiche. All’ingresso della sua abitazione, il manifesto mortuario ricorda il figlio con la sottolineatura “vittima dell’amianto”, la stessa riportata sulla tomba.

«Tosse e stanchezza – ricorda – sono stati i primi sintomi accusati da mio figlio. Pensava fossero passeggeri. Andava a lavorare, prendendo uno sciroppo per poi passare agli antibiotici. Ma già dalla prima visita e dalle radiografie, i medici non ci hanno visto bene e la diagnosi di mesotelioma pleurico è arrivata presto. Non sapevo nemmeno l’esistenza di questa malattia».

La signora parla con voce tremante e gli occhi lucidi: «Mio figlio se n’è andato in meno di 5 mesi e gli ultimi 26 giorni – dopo un intervento chirurgico – li ha passati in Rianimazione all’ospedale “Garibaldi” di Catania. Era nel pieno della vita quando ha lasciato i suoi tre bambini, il più piccolo dei quali di 10 mesi. Ora penso agli altri miei tre figli e ai miei nipoti. Mi preoccupo per loro e, se ci sono giornate ventose, l’angoscia è più forte. Vivo nel terrore e nella paura, mi auguro che monte Calvario, da cui tutto ha avuto origine, venga risanato e reso innocuo».

Monte Calvario, in attesa della bonifica

Ecco, appunto: riflettori accesi su monte Calvario. Se nel 1998, le attività di cava erano state interrotte con ordinanza dell’allora sindaco Pietro Manna, la culla della fluoro-edenite è da bonificare per farne un grande parco verde. I lavori – attesi da 25 anni – sono cominciati formalmente lo scorso febbraio.

Un iter lungo e tortuoso, come ricorda il sindaco Antonio Bonanno, mentre si addentra sui dossier ‘amianto’ sparsi sulla sua scrivania: «Nel 2026 dovremmo vedere quell’area – sorgente di morte e dolore – trasformata in un “parco della vita” fruibile dalla nostra città».

Nell’attesa di poterci andare a passeggiare e che la città abbia il suo polmone sano, tutt’intorno la vita quotidiana procede incurante del nemico invisibile. Un bambino scorrazza in bicicletta, sollevando un polverone ogni volta che passa sul terriccio. Poco più in là, in un magazzino, operai sono alle prese con dei bancali. Dal balcone di casa, una donna scuote la tovaglia tolta dalla tavola, a pranzo terminato. «Io vivo qua da quando sono nato, di qualcosa si deve pur morire», dice un anziano, in linea con il fatalismo dei biancavillesi: se il pericolo non è visibile – è l’assurdo ragionamento dominante – perché allarmarsi?

Oltre 4000 immobili da sanare

Sia chiaro: monte Calvario non è l’ultimo step della bonifica. Secondo l’Ufficio Tecnico Comunale, ci sono 4300 case costruite nel periodo 1956-1998 con materiale di cava. Gli intonaci esterni (complessivamente 2 milioni di metri quadri) andrebbero messi in sicurezza con “vernici incapsulanti”, così come già fatto negli edifici pubblici una quindicina di anni fa.

Sarebbe una bonifica ambientale di un intero centro abitato senza precedenti al mondo, con costi stimati in 150 milioni di euro, a cui aggiungerne altri 2,5 per realizzare una discarica di inerti. Un gigantesco intervento che, sommato ad accorgimenti di prevenzione durante i lavori edili, farebbe scendere verso lo zero il rischio dell’inalazione delle fibre aerodisperse. 

Certo, nel fascicolo di indagine sul minerale-killer ci sono ancora tanti punti oscuri, a cominciare dal dettaglio drammatico che nel centro etneo la mortalità e i ricoveri ospedalieri siano in eccesso non solo per neoplasie alla pleura, ma anche per altre patologie.

L’allarme del rapporto “Sentieri”

Sul banco degli imputati, figura ancora la fibra di monte Calvario. A confermarlo è il sesto rapporto Sentieri sul monitoraggio dei siti italiani contaminati, appena pubblicato dal ministero della Salute e dall’Istituto Superiore di Sanità.

«Vanno implementati – riporta il capitolo su Biancavilla – studi specifici sul comportamento della fluoro-edenite, in particolare per l’azione fibrogena sul polmone. Sono ignoti, inoltre, gli eventuali effetti di questa fibra a carico di altri apparati, come quello cardiocircolatorio, le cui patologie in questo sito si confermano costantemente in eccesso».

Tumori polmonari, placche pleuriche e patologie dell’apparato respiratorio hanno un’incidenza fuori norma.

«Vanno proseguiti – raccomanda il rapporto – la sorveglianza sanitaria della popolazione di Biancavilla e il monitoraggio ambientale per identificare le fonti di esposizione potenzialmente ancora presenti, indagando i livelli di esposizione in tutte quelle attività che comportino movimentazione del terreno e rilascio di fibre da intonaci e opere murarie».

Biancavilla, un paese-laboratorio

Una storia che non può ancora essere archiviata, dunque. Biancavilla resta un paese-laboratorio con enigmi irrisolti. Così, un altro triste primato del centro etneo – una settantina di soggetti colpiti da sclerosi multipla, cioè il doppio rispetto a quelli attesi – potrebbe essere spiegato scrutando ulteriormente sulla geologia territoriale.

Trattandosi di malattia neurologica, la fluoro-edenite non dovrebbe avere responsabilità. Ma potrebbero influire altri fattori ambientali o sostanze naturali, come ipotizza un primo studio del Policlinico di Catania. Se il minerale-killer è stato scovato, ora tocca dare la caccia ai suoi complici.

(Tratto da S – il mensile d’inchiesa dei siciliani / Marzo 2023 / di Vittorio Fiorenza)

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