Detto tra blog
Solidarietà zero, comunità a rischio “La peste” di Camus e i “doppi turni”
«Tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri». In questi giorni mi ritorna in mente questo motto caustico, ormai divenuto celebre, tratto da “La fattoria degli animali” di George Orwell. E mi torna in mente anche un sostantivo che da qualche anno, stando alla mia percezione empirica, è in netto declino. La parola in questione è solidarietà. Un concetto tanto profondo, quanto sottovalutato.
L’occasione per ripensare la solidarietà, come forse avrete intuito, ci è fornita dalla piccola cronaca locale biancavillese che, ormai da qualche settimana, sta scrivendo una delle sue pagine più indecorose. Mi riferisco alla dibattuta questione dei “doppi turni”.
Gli etologi oggi ravvedono tendenze alla solidarietà e all’empatia già nei primati, indicando proprio in questa sfera di comportamenti gli stimoli positivi per lo sviluppo della specie umana. Tuttavia, oggi la Solidarietà figura come una cugina minore dei più blasonati “Liberté, Égalité, Fraternité”, aggirandosi incerta, talvolta sventolata come slogan, altre volte scacciata come un cane in chiesa sulla spinta di folle incattivite. In entrambi i casi, penso che la Solidarietà resti un’incompresa, costretta all’esilio da una bandiera all’altra, da un campanile all’altro. Non parlo a caso di campanili, ma ci ritorno fra un attimo.
Oggi quando si parla di solidarietà tornano alle mente gli sbarchi, l’immigrazione, l’accoglienza. Ma il passaggio non è così automatico. La solidarietà è infatti il principio di assistenza e di aiuto verso i propri “compagni”, i propri fratelli, a vantaggio della propria comunità. Compagni, fratelli, comunità: tutte parole a rischio di estinzione. La solidarietà implica l’esistenza di una comunità di appartenenza, non può viaggiare come principio astratto. Chi sostiene la solidarietà verso i migranti, lo fa proprio a nome di una più vasta fratellanza, di un’appartenenza alla comunità umana. Ma questa è un’altra storia.
Le ragioni che hanno spinto un gruppo di genitori alle proteste, tanto da procedere col ricorso al TAR, saranno state, dal loro punto di vista, più che legittime. La natura di queste ragioni però ci interessa poco: saranno state questioni economiche? Pratiche? Logistiche? Poco importa. Il punto che mi sembra interessante notare è come, all’interno di una comunità, colpita da un sisma che la pone in circostanze quantomeno inedite, non si siano innescati quei meccanismi di “allerta” collettiva necessari a ridimensionare il nostro piccolo e privato interesse, per ragionare, almeno nella crisi, come una vera comunità.
Un’opera come La peste di Albert Camus, aperta a molteplici interpretazioni, ci può forse aiutare a mettere a fuoco la circostanza attuale. Siamo ad Orano, Algeria. Un’epidemia serpeggia silenziosa nella città. Gli abitanti, scettici e miopi, non solo non si curano di prendere provvedimenti e rafforzare la cooperazione, ma anzi estremizzano il loro naturale individualismo. Infine, la mancata presa di coscienza dell’eccezionalità (e della gravità) dei fatti, risulterà loro fatale.
Leggendo questo testo mi colpì come un flagello, anziché rafforzare le difese di una comunità, come ci si potrebbe aspettare, avesse portato alla luce tutte le sue debolezze. La peste poteva quindi essere una metafora attraverso cui osservare i nostri limiti e le fratture interne di una società?
Oggi, a quanti si stupiscono per la mancanza di solidarietà pur nell’emergenza, ricorderei quelle pagine. Il sisma, scuotendo gli animi insieme alla terra, ha fatto emergere le interne lacerazioni di questa piccola comunità, afflitta da una tendenza che, per semplificare, definiremo “campanilismo”. Questo, nel migliore dei casi si esercita nelle baruffe di parrocchia o di scuola (come in questo caso), ma si ritrova anche in meccanismi più complessi, ogniqualvolta un piccolo gruppo, per esclusivo vantaggio della sua ristretta cerchia, non si cura dello svantaggio che reca alla comunità intera.
Così frazionata, la nostra comunità riscopre la sua incapacità a fare Rete, tanto è impigliata nella piccola rete di invidie, gelosie e interessi. E purtroppo, per quanto la Chiesa abbia spesso pontificato sul tema della solidarietà, nel complesso non ha certo contribuito a smussare questo carattere, anzi ha talvolta inasprito i contrasti, e di questo abbiamo esempi antichi e nuovi, tanto a livello globale quanto locale. Sarà forse un caso che campanilismo derivi da campanile?
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Detto tra blog
L’aggressione in ospedale e i commenti “violenti” sui social contro i medici
Frustrazione, rabbia, intolleranza: fenomeni in aumento che analizziamo con l’aiuto dello psicologo
L’aggressione subita dal personale dell’ospedale di Biancavilla (con conseguente arresto dei carabinieri della donna che se ne è resa responsabile) ha innescato sui social pure un affollamento di commenti “violenti”. Quasi tutti rivolti a medici, infermieri e operatori sanitari. Data la maggiore frequenza degli episodi, gli ospedali vengono visti come luoghi “a rischio” per chi vi lavora. Un fenomeno che crea non solo un problema di sicurezza pubblica, ma riflette una complessa interazione di fattori psicologici e sociali che meritano un’analisi.
La violenza contro gli operatori sanitari è alimentata da una combinazione di fattori. Tra questi, la percezione del sistema sanitario come “sistema inefficiente”. I biancavillesi lamentano tempi di attesa lunghi e risorse insufficienti. Ciò genera frustrazione sia nei pazienti che nei loro familiari. L’insoddisfazione può sfociare in episodi di aggressività, soprattutto in situazioni di emergenza. La nostra società sembra essere sempre meno tollerante, di fronte ad aspettative irrealistiche sulla rapidità e l’efficienza dei servizi. Intolleranza che può sfociare in comportamenti violenti, quando il servizio sanitario non soddisfa tali aspettative. Poi, la crescente sfiducia nei confronti delle istituzioni, inclusa la sanità, rende il personale medico un facile bersaglio per sfogare rabbia e frustrazione.
I social, con la loro tendenza a polarizzare le opinioni e amplificare le emozioni, contribuiscono a creare un clima di tensione. Ho letto su Facebook, dopo l’articolo di Biancavilla Oggi, frasi di violenza verbale, erroneamente intesa come una “risposta giustificata” all’atto di aggressione, dando per scontato che tale atto sia stato generato da “malasanità”.
Al di là dell’episodio specifico di Biancavilla, chi commette atti di violenza contro il personale sanitario spesso manifesta caratteristiche psicologiche e comportamentali che possono essere ricondotte a patologie o disagi profondi. Molti aggressori hanno difficoltà a gestire emozioni intense: rabbia, frustrazione o paura. Queste persone possono esplodere in reazioni violente di fronte a situazioni percepite come minacciose o ingiuste. Dal punto di vista psicologico, i soggetti con tratti antisociali mostrano mancanza di empatia, impulsività e tendenza alla violazione delle regole sociali. In situazioni di stress, come quelle vissute in un pronto soccorso, queste caratteristiche possono favorire purtroppo dei comportamenti aggressivi.
Alcuni aggressori interpretano erroneamente le azioni del personale sanitario come ostili o malevole, alimentando sentimenti di sfiducia e reazioni “irregolari”.
Di fondo, c’è una bassa tolleranza alla frustrazione, infatti la mancanza di strumenti cognitivi ed emotivi per tollerare la frustrazione è una delle principali cause dell’aggressività. Un quadro particolarmente evidente in contesti sanitari, dove i tempi di attesa o i risultati insoddisfacenti possono essere percepiti come intollerabili.
C’è un altro punto importante da sottolineare. Tutte le aggressioni non si limitano a causare danni fisici al personale sanitario. Le conseguenze psicologiche possono essere profonde e durature. Molti operatori sanitari possono, infatti, sviluppare una “Sindrome da Burnout”. Il ripetersi di episodi di violenza contribuisce all’esaurimento emotivo, riducendo la capacità di affrontare lo stress e di empatizzare con i pazienti. Gli atti di violenza più gravi possono lasciare cicatrici profonde, con sintomi come flashback, ansia e ipervigilanza. Inoltre, lavorare in un ambiente ritenuto “pericoloso” può portare alla riduzione dell’entusiasmo e della passione per la professione.
È necessario, dunque, un approccio multidimensionale, che coinvolga istituzioni, società e individui. Bisogna attuare una “educazione pubblica” per ridurre la stigmatizzazione del personale sanitario e a promuovere una cultura del rispetto. Offrire assistenza psicologica agli operatori sanitari che subiscono aggressioni è fondamentale per prevenire il “Burnout”.
I fatti avvenuti all’ospedale di Biancavilla e le successive reazioni sui social contro il personale sanitario sono un fenomeno complesso, radicato in problemi psicologici individuali e dinamiche sociali disfunzionali. Affrontarli richiede un impegno collettivo per trasformare le strutture sanitarie in luoghi più sicuri, garantire il benessere degli operatori e promuovere una cultura di rispetto reciproco. Solo attraverso un approccio integrato si potrà ridurre questa drammatica tendenza.
*Il dott. Alessio Leotta è uno psicologo, psicoterapeuta e ipnotista della scuola di Milton Erickson. Svolge la libera professione a Biancavilla e ad Adrano.
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2 Marzo 2019 at 8:15
Complimenti hai descritto i fatti in maniera esaustiva e sarcastica al tempo stesso. Articolo fatto bene