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Cronaca

Sei collaboratori di giustizia “svelano” affari e poteri del clan

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di Vittorio Fiorenza

Hanno indicato i boss o le posizioni di «tutto rispetto» all’interno del gruppo, specificando il periodo in cui hanno esercitato il potere. Hanno raccontato i traffici di droga, la cura delle estorsioni, la gestione della cassa comune e la mutua assistenza. Hanno svelato l’intreccio di rapporti esistente con altri gruppi criminali, da Adrano a Paternò, fino a San Giovanni La Punta e a San Cristoforo.

Il ruolo avuto dai collaboratori di giustizia nell’inchiesta “Città blindata”, che ha reciso gli ultimi germogli del clan mafioso di Biancavilla, è stato fondamentale per i magistrati catanesi. L’apporto dato da Domenico Assinnata, Francesco Musumarra, Antonino Zignale, Valerio Rosano, Gaetano Di Marco e Nicola Amoroso ha svelato e chiarito parecchi aspetti.

A carico degli indagati (sono 24, anche se i provvedimenti restrittivi hanno raggiunto 16 persone, in buona parte già in carcere) ci sono valanghe di intercettazioni ambientali e telefoniche. Ma «le precise e convergenti dichiarazioni dei collaboranti –specifica il gip Luigi Barone– sono, da sole, già sufficienti per ritenere fondata la tesi accusatoria in ordine alla esistenza del sodalizio».

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Un sodalizio che vede nei fratelli Pippo e Vito Amoroso (non senza spiccati contrasti di vedute), Alfio Ambrogio Monforte e Massimo Merlo i personaggi-chiave.

«Mio padre Salvatore conosce da tempo i fratelli Amoroso, in quanto appartenenti allo stesso gruppo mafioso, ossia la famiglia Santapaola, in particolare il gruppo di Picanello. So che il gruppo di Giuseppe Amoroso a Biancavilla poneva in essere estorsioni e traffico di droga», ha raccontato Assinnata, ricordando come in un’occasione ebbe aiuto da Giuseppe Amoroso: «Io andai da lui perché temevo che mi volessero uccidere e lui si mise a disposizione, facendo venire a Paternò, per proteggermi, due suoi uomini con pistole cal. 7,65 e cal. 38, e rimasero a Paternò circa una settimana».

Racconta ancora il collaboratore Rosano: «Nel carcere di Siracusa ho sentito spesso parlare di Vito Amoroso e, in particolare, Tino Caruso ne parlava come del vero capo del clan di Biancavilla. Anzi lo stesso Caruso diceva che Vito Amoroso era come il “sindaco” del clan di Biancavilla».

Gli fa eco Zignale, ex affiliato dei Santangelo di Adrano: «Quando c’era Alfredo Maglia ed il suo gruppo a Biancavilla, gli Amoroso stavano lontano dal paese, tanto che Vito viveva a Picanello ed anche Monforte non era molto presente a Biancavilla perché vi erano attriti e liti con Maglia. Dopo la morte del Maglia, invece, gli Amoroso e Monforte sono tornati ad avere un peso mafioso».

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Cronaca

In auto contro lo scooter: non è stato un incidente, ma un atto di “vendetta”

Diciottenne di Biancavilla denunciato per lesioni e atti persecutori ai danni di un coetaneo di Adrano

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Ha provocato un incidente stradale con l’intento di “vendicarsi” di un acceso diverbio avvenuto nei mesi scorsi. Un biancavillese di 18 anni è stato così denunciato dalla Polizia di Stato. Il giovane ha architettato il piano perché non si era rassegnato alla lite per futili motivi con una ragazzo 17enne di Adrano.

Il minorenne stava percorrendo in scooter via della Regione, ad Adrano. Proprio nei pressi della sede del Commissariato di Polizia era stato tamponato dall’auto guidata dal 18enne, finendo a terra, con una gamba bloccata sotto il peso dello scooter. Per tutta risposta, il giovane biancavillese, anziché prestare soccorso, è sceso dall’auto e, dopo una rincorsa, ha sferrato un violento calcio contro il ragazzino.

Una pattuglia di poliziotti ha assistito alla scena e ha fermato l’aggressione ancora in corso, bloccando il 18enne e prestando le prime cure al minorenne. Dopo qualche minuto, è arrivato il padre della vittima, accompagnata poi al pronto soccorso dell’ospedale “Maria Santissima Addolorata” di Biancavilla. La prognosi è stata indicata in sette giorni.

I poliziotti del Commissariato hanno compiuto dettagliati accertamenti per ricostruire la dinamica dei fatti e, dopo le attività di indagine, sono risaliti alle reali cause dell’aggressione.

L’origine dei rapporti conflittuali tra i due sembra essere legata ad un alterco avvenuto per futili motivi qualche mese addietro, con il 18enne che, in più occasioni, avrebbe tentato di “vendicarsi dell’affronto patito”. Il giovane è stato denunciato, in stato di libertà, per lesioni pluriaggravate ed atti persecutori.

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Cronaca

Così i dipendenti venivano intimoriti: «Attenti, il filo si può spezzare»

Lo sfruttamento dei lavoratori del supermercato, i retroscena di un’inchiesta avviata nel 2023

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«Un quadro inquietante di sfruttamento lavorativo». Dietro i volti gentili e sorridenti di banconisti, cassieri, addetti agli scaffali e magazzinieri si celava una realtà ben diversa. Nell’ordinanza con cui il Gip del Tribunale di Catania, Maria Ivana Cardillo, ha disposto le misure cautelari, vengono messi in evidenza gli elementi che hanno portato all’arresto di Luca Bonomo e Vincenzo Strano, rispettivamente titolare e direttore commerciale del supermercato di via Arti e Mestieri, a Biancavilla. Il marchio è Decò, ma la gestione è autonoma e indipendente dal Gruppo Arena. L’indagine, eseguita dalla Guardia di finanza di Paternò, è culminata anche con il sequestro preventivo dell’azienda e la nomina di un amministratore giudiziario.

Dalle quindici pagine dell’atto emergono – come è in grado di raccontare Biancavilla Oggi – episodi di sfruttamento: ferie e straordinari non pagati, stipendi da fame, in alcuni casi persino inferiori a 2 euro l’ora. Evidenziato anche lo stato di profondo bisogno in cui versavano i dipendenti, costretti ad accettare orari e retribuzioni falsificati. E poi, una forte sudditanza psicologica. Secondo il Gip, non si tratta di «una mera inosservanza di singole disposizioni normative, bensì… di un disegno criminoso».

Quando le verifiche amministrative e i controlli dei militari si sono intensificati, le due figure apicali hanno “avvertito” i dipendenti. Una lavoratrice ha riferito le indicazioni impartite da Strano: «Mi ha incalzata dicendomi che, se tenevo al mio lavoro, già sapevo cosa avrei dovuto rispondere… mi sono sentita sotto pressione». Stesso avvertimento sarebbe stato rivolto a tutto il personale, convocato per una riunione. Indicazioni ribadite poi da Bonomo: «Ci disse che, a seconda delle dichiarazioni rilasciate da noi dipendenti, il filo si sarebbe potuto spezzare».

Il filo, in realtà, si era spezzato già nel momento in cui le Fiamme Gialle avevano messo piede nel supermercato. Tutto era partito non da una denuncia, ma da un semplice controllo amministrativo dei finanzieri paternesi, nel novembre 2023. Già in quell’occasione erano emerse violazioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Da lì, la necessità di ulteriori approfondimenti su retribuzioni, orari, straordinari e altri aspetti contrattuali. Nella prima fase era stato sentito il commercialista e consulente del lavoro dell’azienda.

L’inchiesta si era quindi concentrata sul legale rappresentante della società per «evidenti indizi di sfruttamento lavorativo desumibili da erogazioni di retribuzioni evidentemente difformi rispetto alle ore lavorate». Il lavoro investigativo era proseguito con l’audizione dei dipendenti. Tra questi, il ruolo chiave era quello del direttore del punto vendita, definito dagli inquirenti la “longa manus” del titolare. Una persona – secondo la Procura – perfettamente consapevole delle condizioni lavorative offerte al personale. Anzi, durante i colloqui con chi aspirava ad un’assunzione, l’uomo metteva subito in chiaro i vincoli a cui bisognava sottostare.

«Lo stato di bisogno – ha sottolineato il procuratore Francesco Curcio – ha inciso sulla libertà di autodeterminazione, inducendo i lavoratori ad accettare condizioni particolarmente svantaggiose e illecite, non riconosciute né dalla contrattazione collettiva né dalla normativa giuslavoristica».

Secondo la Guardia di finanza, la mancata regolarizzazione delle retribuzioni ha permesso al punto vendita di ottenere un risparmio illecito di oltre 2,7 milioni di euro, tra stipendi non versati e contributi omessi.

I due indagati – scrive ora il Gip – potrebbero avvicinare i dipendenti, sfruttando la loro vulnerabilità, per indurli a tacere o a fornire versioni alterate dei fatti. C’è, dunque, il rischio di reiterazione del reato e inquinamento delle prove. Da qui, l’applicazione degli arresti domiciliari, con pesanti contestazioni: intermediazione illecita, sfruttamento del lavoro e autoriciclaggio.

Il supermercato, comunque, rimane aperto. L’attività va avanti. La presenza dell’amministratore giudiziario, il dott. Luciano Modica, nominato dall’autorità giudiziaria, rappresenta la garanzia massima per il pieno rispetto, d’ora in avanti, dei diritti dei lavoratori.


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