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Cultura

Callicari, i Moncada e i “Privilegi”, incontro all’Accademia Universitaria

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Salvuccio Furnari, cultore di storia locale, e Graziella Milazzo, docente di storia dell’arte, hanno aperto l’anno sociale dell’Accademia Universitaria Biancavillese con un incontro di approfondimento finalizzato alla conoscenza dell’arrivo dei greco-albanesi nel nostro territorio.

Sull’entusiasmo della riuscita rievocazione storica che si è svolta a fine settembre, a Biancavilla, organizzata dall’Associazione culturale Arberesche, che ha visto l’A.U.B. collaborare attivamente con tanti soci nel ruolo di figuranti con costumi d’epoca nel corteo che ha percorso le vie cittadine, il presidente Rosa Lanza ed il segretario Pietro Finocchiaro nella programmazione del mese di ottobre hanno ritenuto interessante stimolare la curiosità dei soci attraverso una conversazione storico-culturale sulle origini di Biancavilla.

Salvuccio Furnari, con un linguaggio appropriato, è riuscito a calamitare l’attenzione del folto pubblico esponendo, prima sulle linee generali, le condizioni politiche del territorio dei Balcani e dell’Italia meridionale, e successivamente fornendo dati specifici sull’arrivo dei profughi nelle contrade di Callicari e Poggio Rosso.

«La Licentia populandi con i Privilegi concessi dalla reggenza spagnola nel gennaio del 1488, ed il ruolo svolto da Gian Tommaso Moncada, hanno costituito i presupposti fondamentali della nascita civile e giuridica di quella che oggi è la nostra Biancavilla. – ha affermato Furnari – La devozione alla Madonna dell’Elemosina fa parte integrante della identità propria della comunità».

Graziella Milazzo, anche in qualità di presidente dell’Associazione Rievocazioni storiche Arberesche, costituita da pochi mesi a Biancavilla, dopo una dettagliata cronistoria dell’iter che ha portato all’evento del corteo storico, con l’ausilio di slides si è soffermata in modo particolare su due personaggi importanti: Giorgio Castriota Scanderbeg e Cesare De Masi. Il primo, grande condottiero ed eroe albanese. Il secondo, capo del gruppo di profughi giunto nel nostro territorio.

Un filmato con le immagini della manifestazione di sabato 29 settembre, preparato dal giovane Giuseppe Pappalardo, ha riproposto in modo visibile e coinvolgente i momenti salienti dell’evento.

A conclusione della serata è stato riconsegnato al presidente del Circolo Castriota, Giosuè Greco, l’elmo utilizzato dal figurante che rappresentava lo Scanderbeg, elemento coreografico che era stato acquistato dal Circolo Castriota e messo a disposizione della manifestazione.

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Cultura

Luglio a Biancavilla tra cielo e terra: devozione e antichi simboli di fertilità

All’Annunziata, all’Idria e nella zona della “Casina” è il mese della Madonna del Carmine

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“Giugnettu, sdirrubiti do’ lettu!”. Così dicevano gli anziani, invitando a non perdere tempo nelle ore preziose del mattino. Luglio, infatti, è da sempre un mese di grande attività nei campi: la raccolta del grano, la cura delle viti, l’orto che richiede attenzioni quotidiane. La terra, in questo periodo, è generosa ma anche esigente, e impone ritmi intensi, da affrontare con energia e dedizione.

Ma luglio non è solo lavoro. È anche tempo di festa e di spiritualità, un momento in cui si rinnova quel legame profondo che unisce la comunità alla propria fede e alle sue espressioni più autentiche. Tra queste, spicca la devozione per la Madonna del Carmelo, che proprio a luglio conosce il suo vertice con celebrazioni che affondano le radici nella nostra storia.

La “sedicina” alla Madonna del Carmine

A Biancavilla, questa devozione prende forma concreta nella “sedicina”, una pratica antica che prevede sedici giorni consecutivi di preghiera, in preparazione alla festa del 16 luglio.

Presso la chiesa dell’Annunziata, questo rito si svolge in un’atmosfera suggestiva e raccolta: qui, il culto alla Madonna del Carmine è documentato fin dai primi anni del XVIII secolo. Lo testimoniano una statua in legno policromo e diversi affreschi e dipinti che ornano la chiesa.

Anche nella chiesa dell’Idria, la “sedicina” riunisce i fedeli davanti alla statua della Vergine (di recente restaurata), in un momento comunitario che, pur nella semplicità del rito, conserva un’intensità profonda.

E poi c’è il quartiere “Casina”, dove la festa della Madonna del Carmelo viene celebrata la domenica successiva al 16 luglio. Qui la statua, donata nel 1960 da Franco Rapisarda, viene portata in processione tra le vie del quartiere, accompagnata dalla banda musicale e da fuochi d’artificio. È una festa molto sentita, organizzata da un comitato presieduto dal parroco e sostenuta direttamente dai residenti, che contribuiscono con offerte e lavoro volontario.

Un culto che parla anche alla natura

Il legame tra questa festa e la natura è tutt’altro che casuale. La Madonna del Carmelo prende il nome dal Monte Carmelo, in Palestina, luogo dell’apparizione a san Simone Stock nel 1251. Ma il nome stesso, Carmel, in ebraico significa “giardino”: un richiamo potente alla bellezza rigogliosa della terra nel pieno dell’estate.

Non è un caso che il culto della Madonna del Carmine si celebri proprio in questo periodo dell’anno, quando la natura è nel suo apice vitale. Molte feste religiose che si svolgono oggi sono, in realtà, l’evoluzione di antichi riti agricoli. Presso le civiltà del passato, il solstizio d’estate era visto come il momento dell’unione tra cielo e terra, simboleggiato dalle nozze tra il sole e la luna.

In quelle stesse epoche, si onorava la Grande Madre, divinità femminile legata alla fertilità e alla ciclicità della vita: Cerere per i Romani, Cibele per i Frigi, Iside per gli Egizi. Figure che evocano l’abbondanza dei raccolti, la protezione della maternità, il mistero della nascita e del ritorno alla terra. In un certo senso, la Madonna del Carmelo eredita questo ruolo: signora del Giardino, che intercede, protegge e nutre spiritualmente, ma anche simbolicamente legata alla fecondità del creato.

Un mese tra cielo e terra

Nella fatica dei campi, nella preghiera quotidiana, nella festa che riunisce il quartiere, nei fuochi d’artificio che illuminano il cielo, trascorre il mese di luglio manifestando chiaramente l’essenza autentica della nostra gente. E mentre si intrecciano i fili della fede e della tradizione, emerge una consapevolezza antica e attualissima: che il sacro non è lontano, ma abita le nostre strade, i nostri riti e i nostri frutti.

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Cultura

La “volta” ritrovata: l’arcivescovo “svela” gli affreschi settecenteschi restaurati

Prezioso patrimonio di Biancavilla: nella chiesa dell’Annunziata risplendono le opere di Giuseppe Tamo

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© Foto Biancavilla Oggi

Un’opera restituita alla luce, memoria risvegliata, un segno di bellezza che attraversa il tempo: così Biancavilla ha accolto la presentazione ufficiale del restauro degli affreschi della Chiesa dell’Annunziata.

La cerimonia si è aperta con la celebrazione eucaristica presieduta da Mons. Luigi Renna, arcivescovo di Catania, seguita dalla conferenza di presentazione dei lavori della volta: un’opera ora visibilmente più luminosa, liberata dalla patina del tempo, da ritocchi dissonanti e dai cedimenti che avevano compromesso la sua integrità visiva e strutturale.

Un gioiello dentro uno scrigno

A introdurre e presentare l’incontro Dino Laudani, presidente della Confederazione diocesana delle confraternite, che ha ricordato come la Chiesa dell’Annunziata – autentico monumento cittadino – sia stata oggetto, negli ultimi decenni, di molteplici interventi conservativi. «Un gioiello dentro uno scrigno di fede e di arte», ha detto Laudani, sottolineando la continuità di un impegno collettivo nel custodire la bellezza.

Il parroco, don Giosuè Messina, ha ricostruito le origini dell’attuale restauro: «Tutto è iniziato nell’ottobre 2021. Dopo una pioggia battente, della polvere iniziò a cadere da una fessura, aperta dal terremoto del 2018. Fu un segnale. Da lì, con prudenza e speranza, partì il lungo iter verso il restauro». Un cammino reso possibile dal lascito testamentario della signora Maria Zammataro (39mila euro), dai 10mila euro di residui del fondo messo a disposizione della parrocchia da padre Placido Brancato (per quasi cinquant’anni parroco) e dalla generosità dei fedeli (poco più di 4mila euro). Il preventivo iniziale di 73.800 euro è salito a 82mila, coperto in gran parte da questi fondi.

Il sindaco Antonio Bonanno, presente all’incontro, ha annunciato lo stanziamento di 20.000 euro da parte del Comune per contribuire al saldo delle spese residue per un’opera che valorizza e impreziosisce la nostra città.

Una storia mai del tutto scritta

Il professor Antonio Mursia ha arricchito la conferenza con un’ampia contestualizzazione storica. Un documento del 1872 del Prefetto di Catania chiedeva una copia dell’atto di fondazione della chiesa: ma nemmeno allora, il prevosto fu in grado di fornirne una. Solo agli inizi del Novecento, lo storico Placido Bucolo riesce a ricostruire la storia della chiesa. A volerne la costruzione fu alla fine del Cinquecento Dimitri Lu Iocu, giurato della Terra di Biancavilla: un’iniziativa non solo religiosa, ma anche civile e politica. Nel 1714, grazie a un lascito di Maria Carace, si avviò l’ampliamento della chiesa, su progetto del magister Longobardus, figura di spicco nella progettazione ecclesiastica della diocesi.

Il restauratore: «Sobrietà e impatto visivo»

Il momento più tecnico dell’incontro è stato l’intervento del restauratore Giuseppe Calvagna. Gli affreschi della volta, realizzati nel Settecento da Giuseppe Tamo, erano stati eseguiti con la tecnica della pittura a secco, scelta versatile ma fragile nel tempo. Le infiltrazioni d’acqua, i terremoti e restauri maldestri effettuati tra Ottocento e Novecento – alcuni con latte di calce – avevano offuscato l’opera originale, coprendone i tratti e minacciandone la stabilità.

Il lavoro di restauro ha richiesto interventi strutturali complessi: consolidamento dell’intonaco con resine, fissaggio del colore per fermarne il distacco, rimozione di croste dure e sedimentazioni. Si è poi proceduto alla ricostruzione morfologica delle lacune e infine alla reintegrazione pittorica con colori ad acquerello, rispettando le tecniche conservative. «In alcune parti non abbiamo trovato tracce originarie – ha spiegato Calvagna – ma l’obiettivo è stato restituire leggibilità e armonia. Il risultato è un’opera sobria, equilibrata e di forte impatto visivo».

L’architetto Antonio Caruso, che ha diretto e mediato tra i diversi professionisti coinvolti, ha posto l’accento sull’importanza della manutenzione ordinaria. «Le opere architettoniche e decorative non sono eterne: richiedono attenzione costante, altrimenti rischiano danni irreversibili».

Il vescovo: «Immagini che toccano il cuore»

A chiudere, l’intervento dell’Arcivescovo Renna, che ha dato al restauro un significato teologico profondo: «Queste immagini non sono semplici rappresentazioni. Esse raccontano la fede: dalle antiche profezie che parlano di Maria, fino agli Evangelisti, immagini mariane e cristologiche che ci introducono al mistero della salvezza e che parlano fino ai nostri giorni restituendoci significati profondi. Come la simbologia dei fiori e della natura che fiorisce, segno più bello della redenzione dell’uomo. Nel ciclo possiamo trovare patristica, teologia, dogmatica, in un racconto che tocca ancora oggi il cuore dei fedeli.

Oggi, tra le volte luminose dell’Annunziata, quegli affreschi sembrano custodire una memoria silenziosa. Non parlano solo del passato, ma anche del presente e del futuro. Restano lì, tra luce e ombra, a ricordarci che ogni bellezza custodita è anche una forma di resistenza – contro l’oblio, contro il tempo, contro l’indifferenza.

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