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Welcome to Sprawltown! Anzi no: benvenuti a Biancavilla

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Dall’Enciclopedia Treccani: sprawltown: s. f. inv. Città diffusa, cresciuta in modo disarmonico, al di fuori di ogni piano regolatore. Sprawltown è una parola di difficile traduzione in italiano. È un neologismo americano che applicato all’urbanistica intende una crescita urbana senza regole e senza forma. Nel corso degli ultimi decenni sta a significare non solo genericamente la periferia bensì quella «nebulosa urbana» che gravita intorno alle città ma che è anche al suo interno ed è composta di incongrue emergenze edilizie come di aree abbandonate (terrain vague). […] È nella ricerca di forme di integrazione tra lo sprawl e la città che la politica urbanistica dovrà impegnarsi nei prossimi anni affinché tutto non sia perduto per sempre. (Manifesto, 28 luglio 2004, p. 12, Cultura). Dall’ingl. sprawltown, a sua volta composto dai s. sprawl (‘espansione incontrollata’) e town (‘città’). V. anche città diffusa.

Benvenuti a Sprawltown! Anzi no. Benvenuti a Biancavilla. Si fa sempre un gran parlare in città, dato il periodo di crisi economica, che l’edilizia non riparte, che le imprese non lavorano e che la filiera edile dal semplice operaio al fornitore di materie prime, sta conoscendo una grossa crisi. Come se non bastassero i problemi degli addetti ai lavori, si aggiungono anche i problemi dei proprietari dei terreni e dei fabbricati dell’intero territorio comunale, dai capannoni vicini alle campagne, alla città e il problema dell’abusivismo e delle ruspe, fino al territorio più alto del comune ricadente nel parco dell’Etna con le sue vigne e case di villeggiatura.

Indubbiamente nel grande processo di trasformazione urbana non possiamo ridurci a pensare che la sola pianificazione sia la panacea di tutti i mali, ma dobbiamo considerare che i cittadini, siano essi lavoratori, siano essi proprietari, sono gli attori più importanti di questa trasformazione. Due semplici strumenti li rendono protagonisti.

Il voto elettorale, che permette di eleggere i responsabili della pianificazione, e il patrimonio privato composto da attività, immobili, terreni, quindi il mercato che da esso si genera.

Se diamo uno sguardo alle facciate di questa nostra città possiamo facilmente intuire che qualcosa è andato storto nelle relazioni tra gli abitanti e le istituzioni ma anche più in generale nell’economia di mercato locale. Molti (o pochi) sapranno che il piano regolatore attualmente in vigore risale al 1998, 17 anni fa e nonostante l’anzianità di servizio molte opere sono state fatte a Biancavilla, strade asfaltate, zone artigianali, circonvallazioni, bonifiche varie, sedicenti metropolitane, ma anche tante case “private” sorte a casaccio in tutti e quattro gli angoli del paese, chi per necessità, chi per lasciare una qualche eredità ad un figlio, che candidato alla disoccupazione spera di avere almeno un tetto sulla testa.

Passeggiando per le strade un tempo brulicanti di piccole attività, solo i cartelli vendesi e affittasi di tutti i tipi portano un po’ di colore alle altrimenti anonime facciate della nostra città, e questo non riguarda soltanto il centro storico, ma a macchia d’olio anche le zone periferiche.

Resta da chiedersi chi mai, se il paese si spopola causa disoccupazione, possa acquistare tutti questi metri quadri messi in vendita in avanzo rispetto agli abitanti insediati; è possibile pensare che abitanti dei comuni limitrofi scelgano di trasferirsi a vivere a Biancavilla e così finalmente far ripartire il mercato immobiliare?

Da qualche giorno impazza per le strade, e infuria nei social network, la polemica circa un contributo comunale di 345.000 euro a favore di un progetto che vede coinvolta la parrocchia di San Salvatore e il Comune, insieme alla Cei, per risistemare l’area dove sorge la piccola chiesa e dare la possibilità ad un quartiere economico/popolare di riqualificarsi attraverso azioni concrete di trasformazione dell’area.

LEGGI L’ARTICOLO

Nuova chiesa con soldi comunali: dibattito di fuoco tra pro e contro

Ancora una volta il grande tema della trasformazione urbana non lascia indifferenti i cittadini che, seguendo il motto tutto siciliano “ogni testa è n’tribunali”, si sono abbandonati alle ipotesi più disparate di come questi contributi pubblici si dovevano impiegare. Ma quello che il comune cittadino di Biancavilla ignora (o fa finta di ignorare) è che il governo del territorio basa queste trasformazioni sulla base di pianificazioni che tengono conto di molteplici aspetti, e il successo di un’operazione di trasformazione non si basa sull’oggetto della trasformazione ma sul processo che ha portato a quel risultato.

Si fosse realizzata una piscina comunale, un orto urbano, un marciapiede, una pista ciclabile, un ospedale, un asilo, una casa famiglia, qualunque opera si fosse realizzata con questo contributo, avrebbe lo stesso generato una raffica di polemiche da parte di qualcuno, perché ovviamente ogni singolo cittadino ha dentro il proprio pensiero una scala di priorità di interventi che non per forza coincide con quella del suo vicino di casa.

Allora come fare per coordinare questa azione di trasformazione? A mio modesto parere per risolvere questo problema basterebbe un’operazione di trasparenza e valutazione, sulla scia degli accordi che questa amministrazione ha firmato per il Patto di fiume Simeto, bisogna integrare il processo di pianificazione con una raccolta dati, opinioni sempre più massiccia, in modo tale che il cittadino possa in maniera semplice accedere a questi dati e farsi un’idea di come la città sta “respirando”.

Quello che mi piacerebbe proporre all’amministrazione e in generale alla cittadinanza è di istituire un “Laboratorio permanete per il ridisegno della città”, che abbia la funzione di raccogliere sia il maggior numero possibile di dati sul territorio, sia le opinioni dei cittadini sulle varie aree/quartieri, che sia in grado di organizzare una veloce raccolta e distribuzione delle informazioni.

Grazie a questo Laboratorio si potrebbe ricucire questa piccola città dal centro storico alla periferia e i cittadini potranno trovare un luogo fertile dove partecipare attivamente alla trasformazione e al cambiamento e non relegare sempre al politico o al tecnico comunale la responsabilità di stabilire quale sia l’interesse comune. Solo una progettazione accurata, incrementale, che parta veramente dal basso, dagli attori che mettono in campo idee e soldi per cambiare le aree dove vivranno i cittadini del futuro, può far ripartire quel concetto di comunità, di stare insieme, che oggi vede divisi cittadini di quartieri diversi in una lotta all’ultimo fondo pubblico.

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Decadenza e “segni” di resistenza nel cuore del centro storico di Biancavilla

Saracinesche abbassate e ombrelli sospesi in aria: ombre e (alcune) luci del nostro “salotto cittadino”

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Mentre l’ennesima saracinesca si abbassa, il centro storico di Biancavilla si rivela, come uno specchio: riflesso delle criticità del nostro tempo. In questo spazio urbano – che accoglie la Chiesa Madre con lo splendido campanile disegnato da Carlo Sada, la barocca Chiesa del Rosario, i palazzetti d’inizio Novecento e i circoli di categoria dove ancora si gioca a carte e si legge il giornale – si percepisce con sempre maggiore evidenza un lento ma costante processo di svuotamento.

Negli ultimi anni, numerose attività commerciali hanno chiuso i battenti o si sono trasferite in altre zone della città, inseguendo una maggiore accessibilità o un bacino d’utenza più ampio. Il centro storico, un tempo definito “il salotto buono del paese”, ha perso quella vivacità che lo rendeva punto di riferimento per il passeggio, il ritrovo giovanile e la vita quotidiana.

Sono ormai lontani i giorni in cui piazza Roma era crocevia di relazioni sociali e scambi economici: si discuteva di lavoro, si contrattavano i braccianti per le campagne, si stabiliva il prezzo delle arance. “A chiazza” rappresentava una sorta di estensione domestica: il prolungamento della casa di ogni biancavillese.

Scenario di degrado

Oggi, però, lo scenario è diverso: ai monumenti vandalizzati (gomme da masticare a terra, resti di cibo, lattine, bottiglie, carte e mozziconi di sigarette) si aggiungono arredi urbani trascurati e un crescente senso di abbandono. Le vie più appartate, nei fine settimana, ospitano persino i resti fisiologici di chi non è riuscito a raggiungere un bagno, con tutto ciò che ne consegue in termini di odori e degrado.

Le serate estive sono spesso disturbate da schiamazzi, motori rombanti e musica assordante proveniente dalle auto di chi il giorno dopo non ha proprio intenzione di andare a lavorare. La percezione diffusa è quella di uno spazio che non appartiene più a nessuno e che, proprio per questo, nessuno si sente in dovere di curare o rispettare.

Colpa di chi?

Di chi è la responsabilità? È facile puntare il dito contro l’amministrazione, che pure ha obblighi e doveri. È comodo, ma forse troppo generico, attribuire la colpa ai cittadini, anche se l’indifferenza e l’inciviltà sembrano manifestarsi proprio in chi abita questi luoghi. Eppure anche l’idea di una “colpa dei tempi” rischia di risultare una scorciatoia interpretativa, che rinuncia a comprendere la complessità del presente.

Una cosa però è certa: ogni giorno assistiamo a scene di ordinaria inciviltà che fanno pensare a un progressivo distacco dalla dimensione della “cosa pubblica” come bene comune.

Ma non tutto è perduto

E tuttavia, in questo paesaggio urbano segnato da ombre, emergono anche piccoli segnali di luce. Qualche giorno fa, da un palmizio curato dai soci di un circolo, è spuntato un lungo fiore. Un piccolo miracolo naturale, che ha attratto l’attenzione e la curiosità di chi vi passa accanto. Poco più in là, nella piazza Collegiata, un’attività di ristorazione ha decorato gli alberi con ombrellini colorati sospesi, restituendo vivacità e senso estetico a quell’angolo, nei pressi della fontanella.

Due segni, diversi ma convergenti: il primo affidato alla spontaneità della natura, il secondo frutto dell’iniziativa umana. Entrambi portano un messaggio chiaro: non tutto è perduto. C’è ancora spazio per la bellezza, per l’impegno civico, per un’idea di comunità che non si arrende all’indifferenza ma decide di prendersi cura di un angolo della città restituendogli dignità. Di certo, questo non basta a risolvere i problemi strutturali del centro storico, ma potrebbe indicare una direzione possibile. La rinascita non arriva tutta insieme, e spesso non fa rumore. Inizia da gesti semplici, quasi invisibili: da lì si può ripartire.

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Distacchi elettrici e bassa tensione, disagi continui (anche senza temporali)

Biancavilla all’anno zero per infrastrutture: cabine e rete inadeguate provocano ripetuti disservizi

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© Foto Biancavilla Oggi

Partiamo da un fatto: non c’è né un uragano né un cataclisma. Nemmeno un temporale. Non si capisce, dunque, per quale motivo, anche quando splende il Sole, debbano esserci distacchi di energia elettrica o “sfarfallii” da bassa tensione. Con la conseguenza che elettrodomestici e apparecchiature attaccate alla rete elettrica vadano continuamente in tilt. Capita spesso. poi. che in coincidenza di black out, i tempi di ripristino del disservizio debbano misurarsi in ore.

È quello che accade in continuazione a Biancavilla, Bastano banali acquazzoni, a volte senza nessuna goccia piovana, e l’erogazione elettrica viene a mancare. Non è concepibile una cosa del genere. Che un guasto possa capitare, fa parte delle statistiche. Che questo determini disservizi, ci sta. Ciò che non può essere tollerato è l’inefficienza nel ripristino del servizio con tempi lunghi o i ripetuti sbalzi di tensione.

Tutto questo evidenzia – ecco il punto cruciale – infrastrutture obsolete e carenza di personale adeguato alle esigenze di una società che dipende ormai dall’elettricità e dalle reti di comunicazioni. Invece, quasi sempre in coincidenza di una mancanza di elettricità si associa pure il tilt del segnale telefonico, sia VoIP che mobile. È evidente che il sistema sia altamente fragile e vulnerabile.

Basta dare uno sguardo verso l’alto per accorgersi che certi cavi elettrici presenti a Biancavilla risalgono a 50 anni fa. Mancano veri investimenti nel nostro territorio e mi chiedo se, dalla valanga di risorse del Pnrr, vi siano progetti e interventi in questa direzione. Anziché promuovere battaglie contro i mulini a vento (leggasi, per esempio, antenne 5G), la politica pretenda e si impegni in una radicale modernizzazione infrastrutturale del nostro territorio. Il sindaco Antonio Bonanno alzi la voce nei confronti di Enel Distribuzione. Un’intera comunità non può subire in continuazione dopo qualche lampo e ad ogni tuono o, peggio ancora, con il cielo limpido e il Sole splendente.

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