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Cultura

“Pickwick”, un secolo fa la rivista irridente e futurista di Antonio Bruno

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«Pickwick» è ormai considerato un passaggio obbligatorio per qualunque studioso che voglia cimentarsi con la storia delle avanguardie di inizio Novecento. La rivista, che vide in Antonio Bruno uno dei fondatori e uno dei principali animatori, nacque a Catania esattamente un secolo fa, nel 1915.

Forse più che per i suoi libri di poesie o per i racconti, il futurista biancavillese si è conquistato una fama perenne (se non presso il grande pubblico, almeno tra gli studiosi che da Ermanno Scuderi in poi gli hanno dedicato la giusta attenzione critica) proprio grazie a questa rivista che già all’atto di nascita si attirò le attenzioni e il plauso delle più quotate «Lacerba» e «La Voce». E dire, però, che «Pickwick», lungi dall’essere il punto di arrivo, doveva rappresentare per Bruno solo il trampolino di lancio per una sfolgorante carriera letteraria. Ma andiamo con ordine.

Nel 1915 Bruno aveva già all’attivo due libri usciti appena due anni prima: la raccolta poetica “More di macchia” e il saggio critico “Come amò e non fu riamato” Giacomo Leopardi; aveva viaggiato e soggiornato nelle principali capitali europee, Londra e Parigi; si era iscritto all’Università di Roma e si preparava adesso a trasferirsi a Firenze, dove la vita letteraria era animata da scrittori come Papini, Soffici, De Robertis. L’idea di fondare a Catania una rivista di avanguardia come «Pickwick» venne a Bruno per farsi notare da quegli intellettuali fiorentini che ammirava e di cui condivideva gli stessi orizzonti letterari e culturali.

Il poeta biancavillese fondò «Pickwick» insieme ad altri tre giornalisti catanesi Ittar, Centorbi e D’Artemi, con i quali l’anno prima aveva già preso parte a un’altra rivista di una certa importanza come «Rassegna Siciliana». Proprio su quest’ultima rivista, all’interno della rubrica Arabeschi, uscì a febbraio del 1915 l’anticipazione del sommario del primo numero di «Pickwick» (eccola riportata per la prima volta qui a fianco).

All’atto di fondazione della rivista Bruno, Centorbi, Ittar e D’Artemi più che dal movimento futurista erano influenzati, come detto, dalla già consolidata esperienza delle riviste fiorentine «Lacerba» (soprattutto) e «La Voce», dalle quali i catanesi mutuarono il piglio provocatorio e irridente, l’anticonformismo culturale, sociale e politico, nonché il gusto letterario orientato sulla grande stagione simbolista europea.

A notarlo per primi furono gli stessi direttori delle due riviste sopra citate, i quali, compiaciuti, ne denunciarono il credito. Ne «La Voce» De Robertis scriveva per esempio che la rivista catanese risentiva dell’influenza di «Lacerba». Lo stesso affermava una nota redazionale di Papini: «è fatta (forse troppo!) sul tipo di Lacerba». Le riviste fiorentine non lesinarono però neanche gli elogi. «È la sola rivista degna di considerazione uscita in Italia in questi ultimi tempi» sentenziava De Robertis, individuando proprio in Bruno «il miglior temperamento di scrittore» espresso dalla rivista catanese. Dall’altro lato «Lacerba» la segnalava «con viva compiacenza all’attenzione dei nostri lettori intelligenti».

La dipendenza di «Pickwick» dai modelli fiorentini ci è oltretutto segnalata da testimoni più attendibili (perché a più stretto contatto con la temperie culturale catanese) rispetto a De Robertis e Papini. Per fare due nomi: Antonio Aniante e lo stesso Centorbi.

Soffermandosi a rievocare le suggestioni che la cultura fiorentina esercitava in quegli anni sui giovani letterati catanesi, in un suo libro monografico dedicato a Ittar, Antonio Aniante scrisse: «Pickwick non ebbe lunga vita. I suoi redattori innamorati del cenacolo fiorentino delle Giubbe rosse Papini e compagni, vollero rinnovare a Catania i fasti di Lacerba. Pickwick esteriormente, rassomigliava molto alla rivista fiorentina. Centorbi e i suoi amici vedevano di buon occhio il movimento spazzola della polvere classica, in piena vita a Firenze per mano di Papini. E senza volere imitare quelli di lassù, i quattro cavalieri dell’apocalisse catanese, stampavano a Catania l’edizione oltre stretto di Lacerba, dal titolo Pickwick».

In anni più recenti Centorbi ha rievocato quel periodo in un’opera dal sapore memorialistico intitolata Batticuore a Catania in cui egli ammetteva il debito di «Pickwick» anche dal punto di vista tipografico: «le otto pagine ripetevano deliberatamente e quasi specchiavano il formato, lo stile tipografico e persino il color giallo antico di Lacerba».

E d’altra parte occorre notare che le due riviste fiorentine ebbero in comune con «Pickwick» alcuni collaboratori. Arturo Onofri, che offrì alla rivista catanese un contributo, fu un attivo collaboratore della «Voce»; i lacerbiani Titta Rosa e Francesco Meriano collaborarono assiduamente a «Pickwick»; lo stesso Bruno, mentre era impegnato con la pubblicazione della sua rivista, ebbe l’occasione di proporre due prose liriche su «Lacerba».

«Pickwick» ha in comune con la rivista di Papini e Soffici persino le ragioni di fondo del nome. Già il titolo «Lacerba» era una provocazione, messa innanzi per sbeffeggiare il pubblico impreparato e per suggerirgli l’asprezza dei contenuti che potevano lasciarlo spiazzato e con l’amaro in bocca, e non si può certo dire che i due toscani siano venuti meno alle promesse. Allo stesso modo anche la rivista catanese si fregiava di un titolo insolito e non semplice da pronunciare. Esso, come si sa, veniva preso in prestito dal romanzo giovanile di Dickens “Il circolo Pickwick”.

Alla rivista di Bruno va dato il merito di aver portato (o, letteralmente, ‘importato’) a Catania nuova linfa, indicando più recenti modelli letterari e contribuendo a svecchiarne la cultura. Non c’è dubbio che a «Pickwick» spetti un posto di primo piano tra le riviste di quell’epoca, e a Bruno un posto, marginale forse, ma solido, tra gli scrittori avanguardisti di inizio Novecento.

Ormai quindici anni fa, in tempi forse un po’ più attenti di quelli che adesso viviamo, usciva la ristampa anastatica di «Pickwick» promossa dall’Associazione culturale “Biancavilla Documenti”. La rivista catanese, ristampata in 700 esemplari per i tipi della Andrea Livi Editore grazie all’impegno di alcuni promotori (Salvatore D’Asero, Vittorio Fiorenza, Salvuccio Furnari, Placido Sangiorgio e Antonio Zappalà), è tornata così ad essere nuovamente fruibile per appassionati o semplici curiosi, sorprendendo ancora oggi per la freschezza dei contenuti e la godibilità della lettura rimaste, dopo un secolo, intatte.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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2 Comments

2 Comments

  1. Antonella Russo

    12 Marzo 2015 at 20:40

    Un articolo molto interessante: peccato che il Comune di Biancavilla lasci passare inosservate ricorrenze come questa. Ammesso che ci siano al Comune persone interessate e competenti in tematiche culturali. Non mi stupirei se l’assessore alla cultura non sapesse chi sia Antonio Bruno o cosa abbia rappresentato Piackwick. Complimenti a Biancavilla Oggi per questo articolo, complimenti all’autore. Un suggerimento: oltre alle notizie di cronaca, perchè non approfondire la sezione della cultura? Saluti, una vostra affezionata lettrice.

  2. Antonio

    11 Marzo 2015 at 15:39

    Anticipazione della pubblicazione del primo numero di «Pickwick» apparsa su «Rassegna Siciliana», a. II, nn. 15-16, febbraio-marzo 1915.

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Cultura

Sangiorgio e i lager, in provincia di Modena la testimonianza del figlio

Incontro a Prignano sulla Secchia sul biancavillese sopravvissuto ai campi di sterminio

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La figura di Gerardo Sangiorgio, il biancavillese cattolico antifascista, sopravvissuto ai lager nazisti, ancora una volta celebrata anche fuori dalla Sicilia. A Sangiorgio dedicato un incontro nella sala conferenze del Comune di Prignano sulla Secchia (in provincia di Modena). La testimonianza su Sangiorgio, internato militare, data dal figlio Placido Antonio, collaboratore di Biancavilla Oggi.

Ad ascoltarlo, una sala gremita da cittadini ed alunni della scuola secondaria di primo grado “F. Berti”, accompagnati dai docenti, dalla dirigente scolastica Pia Criscuolo e dal suo vicario, Giuseppe Ciadamidaro, anche lui biancavillese.

La dirigente si è detta entusiasta di questo evento arricchente non solo per i cittadini, ma anche per gli alunni, auspicando che ogni anno queste iniziative vengano incentivate e divulgate.

Il prof. Sangiorgio ha parlato della Repubblica di Salò (a cui il padre non giurò fedeltà), al trattamento disumano verso i deportati, alla storia personale di suo padre nei campo di concentramento e poi di ritorno a Biancavilla. È seguito un vivace dialogo con gli alunni, che hanno posto domande su vari aspetti.

Presente all’incontro, il sindaco Mauro Fantini e gli assessori organizzatori dell’evento, Chiara Babeli e Cristian Giberti, che hanno prestato la loro voce leggendo le poesie di Gerardo. Il primo cittadino ha ringraziato Sangiorgio per la sua presenza e la bellissima testimonianza su suo padre, estendendo i ringraziamenti anche al nostro sindaco, Antonio Bonanno, per la cortese lettera inviata e letta all’inizio dell’incontro.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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