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Detto tra blog

Paradosso “movida”: sintomo di un profondo vuoto economico e sociale

Prosegue il dibattito aperto e animato da “Biancavilla Oggi” sulla fruizione del centro storico

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Ritorno ancora sul dibattito, che per semplicità definiamo “sulla movida”, cercando di arricchirlo con alcuni elementi nuovi. Alcune delle riflessioni che ho letto circa la visione di una città dinamica, che deve smettere di essere provinciale, mi fanno un po’ sorridere, ma subito dopo riflettere.

Mi preme ricordare, infatti, come quella presunta dinamicità di cui si parla, di matrice pienamente neoliberista, è la stessa che ha portato (e porta ancora) al fallimento molti Comuni italiani. Grazie alle liberalizzazioni realizzate negli anni 96-98 dall’allora governo Prodi (di “sinistra”!), mirate a facilitare enormemente l’apertura di attività commerciali, è stata stravolta la geografia urbana di molte città, degradate ad immensi parchi giochi e destinate al mero uso ricreazionale.

I residenti, così come i negozi di vicinato e l’artigianato urbano, sono stati espulsi, anche “a causa della violenta impennata dei valori immobiliari provocata dalle ‘liberalizzazioni’” (Berdini, Le città fallite).

Il commercio connesso a questa socialità è il più delle volte costituito da attività economiche fragili, speculative, altamente precarie, spesso basate sullo sfruttamento dei lavoratori. Un settore che non riesce a coprire, né in termini quantitativi né soprattutto qualitativi, l’impoverimento economico e culturale innescato dalla scomparsa delle precedenti attività economiche e sociali.

Si tratta certamente di politiche riguardanti le città turistiche, ma i cui effetti si ripetono in scala anche nei piccoli centri, proprio in virtù delle suggestioni che producono su politici e piccoli imprenditori, abbagliati da facili guadagni.

Se questo è il quadro generale, bisogna guardare adesso a cosa accade una volta calato nel nostro territorio.

Dietro alla movida? Attività spesso effimere

A Biancavilla, a dispetto della staticità degli altri settori economici, la facilità con cui si investe in attività commerciali/ricreazionali è impressionante. E e a prima vista può dare la sensazione di una certa vivacità economica. Ma sappiamo bene che dietro si nasconde una enorme fragilità.

Si tratta nella maggior parte dei casi di attività a dir poco effimere. Spesso prive di alcun progetto serio, che si limitano a riproporre una modalità di movida di infimo livello. O a replicare attività fotocopia senza innovare davvero un settore già saturo, attirando così solo scarse clientele.

Altre attività sembrano poi esistere solo in funzione delle coperture alle attività criminose, quale lo spaccio di droga. Quest’ultimo punto, ovvero il rapporto con la malavita e col grande traffico degli stupefacenti, che trovo assurdo non essere ancora entrato nel dibattito, basterebbe da solo a farci dubitare sulla salute della movida nostrana.

Movida, fenomeno da non demonizzare

Il problema non è dunque l’offrire ai ragazzi degli spazi (sacrosanti) di socialità e divertimento, ma la qualità del servizio offerto. Limitare questo servizio al semplice smercio di alcolici a buon mercato e a musica da discoteca, non rende onore al settore stesso. Né, naturalmente, ai ragazzi e ai residenti.

Non possiamo demonizzare in toto la movida, soprattutto perché rischieremmo di non comprendere i giovani e i loro bisogni. Ma mi chiedo: un territorio che non sa offrire ai ragazzi niente di meglio che questo genere di movida, dimostra forse di averli capiti?

Bisogna riconoscere che il divertimento serale è per molti una necessaria valvola di sfogo per vincere una monotonia e una noia che sono reali. Monotonia e noia non facilmente colmabili da un tessuto sociale che offre pochissimo. E che non investe seriamente su sport, attività culturali, laboratori, che non aiuta realmente i ragazzi nell’inserimento nel mondo del lavoro. E molto altro ancora che sarebbe lungo elencare.

La movida può essere letta, dunque, come il sintomo di un profondo vuoto economico e sociale che alle istituzioni (amministrazione e scuole) spetta innanzitutto colmare. Ma sul quale noi, in qualità sia di singoli cittadini che di associazioni, possiamo (dobbiamo?) cercare di dire la nostra.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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1 Comment

1 Comment

  1. DinDin

    28 Settembre 2021 at 9:56

    Mi congratulo con l’autore dell’articolo per aver bene sintetizzato con chiara ed inequivocabile esposizione quale sia la natura reale del fenomeno “movida” a Biancavilla. Condivido in toto quanto da Ricceri rappresentato. Temo, però, che nessun rappresentate delle istituzioni farà propria l’analisi proposta su un fenomeno che segna enormemente la comunità biancavillese. Forse la soluzione potrebbe essere quella prospettata da uno dei candidati alla sindacatura del limitrofo paese di Adrano, vale a dire cedere alla sua amministrazione (se ci sarà) la gestione del problema, sul quel territorio. Quanto meno il paese Biancavilla se ne sarà liberato.

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Il centro anti-violenza Calypso e quei politicanti che volevano “sporcarlo”

Oggi tanti eventi ipocriti ma io sarò in Tribunale per una donna di Biancavilla, vittima di maltrattamenti

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Nel 2012, unitamente a due psicologhe di Catania fondavo l’Associazione Antiviolenza e Antistalking Calypso, la cui sede era ed è a Biancavilla. Ricordo che Sonya, Laura (questi i nomi delle due psicologhe) ed io eravamo spinte da forte motivazione, spirito di solidarietà e di aiuto a donne e bambini, vittime di violenza di genere. Ricordo l’inaugurazione dell’associazione, a Villa delle Favare, nel marzo del 2013. Ricordo l’attenzione che Calypso ha ingenerato nei politicanti di tutti gli schieramenti. Era di certo un bel bocconcino da strumentalizzare a proprio uso e consumo, ma avevano fatto i conti senza l’oste.

Eh sì, perché l’oste, cioè io, non ha mai consentito alcuna strumentalizzazione e non si è mai piegata ai vari avvicinamenti e alle tante promesse che le venivano dispensate con il solo fine di recuperare qualche voto all’interno dell’associazione. Che delusione, però, quando hanno capito che la maggior parte delle associate non era residente a Biancavilla e che quindi non aveva alcun significato politico alle elezioni locali. Che delusione quando hanno capito che l’associazione era autentica e per nulla interessata ai favori dei politici, ops, politicanti.

Noi volevamo solo una sede idonea ad accogliere le donne vittime di violenza. Non volevamo soldi, non volevamo incarichi. Nulla, se non mettere in campo la nostra professionalità per aiutare le donne vittime di quella violenza e di quel maschilismo che, vuoi o non vuoi, imperano e che in alcune forme sono così sottili, tanto da non essere riconosciuti e che, purtroppo, provengono anche dalle donne.

Cominciamo dalla lingua italiana

Questa è la verità e io la dico. Quelle donne, per esempio, a cui va bene che la cameriera sia chiamata cameriera, idem la segretaria, idem l’infermiera. Ma si rifiutano di essere chiamate avvocata, sindaca, assessora, la presidente e così via. Ciò in barba all’Accademia della Crusca e all’utilizzo della lingua italiana in forma corretta. E la motivazione a sostegno di tale rifiuto qual è? “Avvocata, magistrata, architetta…. non si può sentire”. Invece cameriera si può sentire. Se non è discriminazione questa (nei confronti delle cameriere e di tutte le donne), non so cos’altro lo sia.

Ho sempre pensato che la competizione tra donne e la mancanza di solidarietà di cui veniamo accusate sia frutto della mentalità maschilista e patriarcale da cui tutti (uomini e donne) siamo imbevuti sin da bambini. Ma più vedo e sento donne che si ribellano all’utilizzo corretto della lingua italiana, espressione di una giusta evoluzione non solo della lingua ma anche e soprattutto della società e della mentalità, e più faccio fatica a comprendere dove stia l’inghippo. Sulla mia carta di identità c’è scritto “avvocata”. Io l’ho chiesto, seppur abbia raccolto l’iniziale perplessità di alcuni dipendenti dell’Ufficio Anagrafe del Comune di Biancavilla, anche donne, ovviamente.

I “compitini” di Biancavilla e il calendario del perbenismo

D’altro canto, a Biancavilla come in tanti altri comuni (tutti?), i “compitini” sono corretti. Quote rosa rispettate, perché imposte dalla legge, altrimenti con il cavolo. Anche perché si sono resi conti che “questa cosa” delle quote rosa e del doppio voto uomo/donna è un ottimo strumento per duplicare i propri voti (degli uomini, ovviamente). E poi: assessore (plurale di assessora) alle Pari opportunità, rigorosamente donne perché le pari opportunità sono affari che riguardano solo le donne. E ancora: panchine rosse, scarpette rosse, scolaresche riunite in piazza il 25 novembre e l’8 marzo, alla presenza per lo più di donne.

A mia memoria, ai vari eventi imposti dal calendario del perbenismo, salvo qualche eccezione, i sindaci e gli assessori (uomini) non hanno mai partecipato. O in alcuni casi hanno fatto brevi apparizioni perché impegnati in affari ben più importanti rispetto ad iniziative ritenute forse affarucci da femminucce. D’altro canto, gli uomini si occupano di cose serie, mica di panchine e scolaresche.

Calypso, realtà preziosa e onesta

Comprendo che sarebbe più popolare scrivere che tutto vada bene e che sono tutti belli e bravi. Io, però, sono ormai disillusa dal paese in cui pensavo di investire professionalmente e umanamente. E donare ad esso il mio entusiasmo e i miei valori di uguaglianza, parità e solidarietà verso il prossimo. Mi sono enormemente rotta le scatole, perché allinearmi non è nel mio “mood”, come direbbero i ragazzi di oggi.

Tutto ciò non solo a Biancavilla, ma Biancavilla è certamente colpevole di non avere accolto una realtà preziosa, onesta e autentica quale è Calypso. Perché? Perché la sua presidente (la presidente e non il presidente) che sono io, ha notoriamente la lingua troppo lunga.

Indimenticabile quando nel 2013 una persona vicina all’attuale sindaco (all’epoca non ancora sindaco e che, peraltro, io sostenevo, sbagliando) mi disse che ero troppo scomoda e che «non avrei fatto strada in politica». In effetti, così è stato perché sono fuggita a gambe levate. Altrettanto indimenticabile quando un sindaco ricandidato di un colore diverso di quello sopra nominato si è permesso di strumentalizzare il mio nome e indirettamente quello della mia associazione durante un comizio. Mi costrinse a prendere parola e a dire che nel capodanno precedente, quando una ragazza di Biancavilla era stata sequestrata dal suo convivente, io ero in piena operatività insieme alla famiglia e ai carabinieri, mentre lui era a casa a mangiare le lenticchie.

Certa politica sporca tutto

Ma si sa, certa politica sporca tutto. Calypso, però, non l’ho fatta sporcare. Meglio rimanere una piccola realtà autogestita e autofinanziata che impelagarsi con schifezze varie. Tante belle parole ma nulla di concreto a Biancavilla. Città che, essendo in buona compagnia, probabilmente si autoassolve dalle responsabilità che incombono sulla sua testa e su quella dei suoi capoccioni.

Oggi, 25 novembre, io non parteciperò ad alcun evento, così come ormai faccio da anni. Sarò in Tribunale a discutere il processo di una donna di Biancavilla. Una donna che, se non avesse trovato il sostegno dei figli e del genero e, senza volere fare autoreferenzialità, della sottoscritta, forse sarebbe stata uccisa.

Gli altri, anzi, le altre, le cosiddette assessore (plurale di assessora) che si firmano “assessore” (al singolare), perché non hanno la consapevolezza che, in questo caso, la forma è sostanza o se ne hanno la consapevolezza non hanno il coraggio di sostenere il cambiamento, si lavino le coscienze con le panchine rosse e con le scarpette rosse e con le cazzate demagogiche da cui i nostri ragazzi vengono riempiti da adulti ciechi rispetto alle responsabilità di una società sempre più violenta (basti bazzicare i social).

Panchine e scarpette rosse come il sangue delle donne uccise per mano degli uomini violenti e per mano di una società fatta di uomini e donne complici. Rosse come la carne dei bambini vittime di violenza diretta e assistita, compresa quella delle false denunce, fenomeno dilagante e sempre più preoccupante che vede vittime uomini e bambini.

Femminismo non è fanatismo

Per onestà intellettuale si deve dire anche questo e si deve parlare anche di questo perché strumentalizzare le denunce, anche coinvolgendo i bambini, per scopi vendicativi ed economici null’altro è che violenza. Ed è un oltraggio nei confronti delle donne che davvero sono vittime di violenza, oltre a costituire un oneroso dispendio economico per lo Stato.

Ringrazio Biancavilla Oggi e il suo femminismo che dà speranza a un paese cieco e muto. Cecità e mutismo che, è utile ribadirlo sempre, ho provato sulla mia pelle quando ho subito la violenta rapina in pieno centro e in pieno giorno, nota a tutti, evento rispetto al quale, a parte questo giornale e il suo direttore Vittorio Fiorenza, tanti, tanti, tanti, ma davvero tanti, mi mostrano solidarietà e complicità dietro il sipario, perché farlo sul palcoscenico… “chi me lo fa fare?”.

Eh va beh… se lo specchio non si rompe quando vi guardate la mattina evidentemente è ipocrita e pusillanime quanto voi. A proposito, femminismo non è sinonimo di fanatismo e non è neanche sinonimo di odio nei confronti degli uomini ma magari ne parleremo un’altra volta. Buon 25 novembre, buona lavata di coscienza a tutti.

*Presidente del cento Calypso – Biancavilla

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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