Storie
Biancavillesi condannati e poi graziati dal capo dello Stato negli anni ’50 e ‘60
Da Einaudi a Gronchi fino a Saragat: i presidenti che hanno “condonato” le pene inflitte dall’allora Pretura

Sette i biancavillesi, tra gli anni ’50 e ’60, graziati dal presidente della Repubblica. Quattro capi di Stato si sono avvalsi del loro “potere di grazia” per condonare la pena inflitta a nostri concittadini. È quanto emerge dalla consultazione dell’archivio storico del Quirinale effettuata da Biancavilla Oggi.
I reati contestati a quei sette biancavillesi non erano legati ad episodi particolarmente gravi. Le sentenze, non a caso, portano l’intestazione dall’allora Pretura di Biancavilla. Il provvedimento del Colle ottenuto dietro istanza presentata dagli interessati.
I reati: dalle lesioni all’abusivismo edilizio
Il primo caso di un biancavillese che si è visto condonare la pena (ferma restando la multa) risale al 1952. A firmare l’atto, il presidente Luigi Einaudi per il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare.
Nel 1957 è Giovanni Gronchi a condonare la pena ad un biancavillese, condannato per lesioni. Un condono, però, condizionato al versamento di 20mila lire a favore della Cassa delle ammende. Lo stesso Gronchi, l’anno successivo, si avvale della sua prerogativa per accogliere l’istanza di un altro cittadino di Biancavilla, finito nei guai per sottrazione di oggetti pignorati.
Altra istanza inoltrata al Quirinale, a seguito di condanna per il reato di omessa consegna di beni mobili pignorati. L’atto conseguente viene firmato, nel dicembre 1964, da Cesare Merzagora, allora presidente del Senato, facente funzioni di capo dello Stato per effetto dell’impedimento per malattia di Antonio Segni.
In meno di due mesi, tra il marzo e il maggio del 1968, è il presidente Giuseppe Saragat a “graziare” altri tre biancavillesi. Il primo ha una condanna per furto e guida di autocarro senza patente: si erano occupati del caso i pretori di Biancavilla e Ramacca. Gli altri due condoni portano la stessa data: 2 maggio 1968. Riguardano una pena per porto abusivo continuato di pistola ed una contravvenzione alla legge urbanistica (ferma restando un’ammenda di 10mila lire). Un caso di abusivismo, quest’ultimo: preludio di quel “mattone selvaggio” che avrebbe caratterizzato i decenni successivi.
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Storie
Vent’anni senza Placido Stissi, il figlio Giuseppe: «Onorati di un papà così»
A “Biancavilla Oggi” il ricordo commosso: «Non ci ha visto crescere, ma siamo certi che veglia su di noi»

Vent’anni fa la morte di Placido Stissi. Il suo ricordo è intatto. Il suo gesto resta una testimonianza del suo altruismo. Dipendente della Provincia di Catania e stretto collaboratore del presidente Nello Musumeci e poi di Raffaele Lombardo, Stissi stava andando al lavoro. In un punto della tangenziale di Catania, sotto la pioggia battente, accostò e fermò la sua macchina. Lo fece per prestare aiuto ad un giovane automobilista rimasto in panne nella corsia opposta. Mentre attraversa la carreggiata, però, un veicolo lo travolse. Morì a 41 anni, lasciando la moglie Anna Maria e i tre figli, ancora minorenni: Giuseppe, Gessica e Denis.
Il ricordo del suo primogenito è intriso di affetto e orgoglio. «Sono passati 20 lunghi anni, mi fa onore, ci rende onorati che – dice Giuseppe a Biancavilla Oggi – dopo tutto questo tempo ancora la gente ricordi il gesto eroico che mio padre ha fatto. Non ha riflettuto più di una volta a scendere dalla propria auto e a soccorrere quel ragazzo rimasto in panne e con l’auto capovolta. Non ha pensato alle conseguenze che potevano succedere in quella fatidica giornata piovosa. Come poi effettivamente accaduto, lasciando noi figli piccoli e mia mamma».
Chi ha conosciuto Placido, a Biancavilla, può confermare che le parole del figlio descrivano esattamente quei modi di sincera disponibilità nei confronti di chiunque.
«Mio papà era fatto così. Sempre premuroso. Sempre cordiale e generoso con tutti. L’amico degli amici. Sempre pronto ad aiutare tutti. Un angelo volato in cielo troppo giovane e troppo presto. Oggi è raro fare e ricevere gesti del genere. Soprattutto noi giovani – sottolinea Giuseppe – dovremmo prendere esempio da questi ormai rari gesti di altruismo verso il prossimo. Non si pensa altro che all’invidia e alla cattiveria, invece dovremmo trovare il modo per riportare i bei gesti di solidarietà. Non dovremmo dimenticare che potremmo avere bisogno, anche noi, di un semplice aiuto, una carezza, una mano che ci venga posta sulla spalla o essere ascoltati».
«Noi figli – conclude Giuseppe – siamo veramente onorati di avere avuto un padre così. Mia mamma lo è del marito che ha avuto. Certo, il dolore resta, come il rammarico che ci abbia lasciati così presto senza vederci crescere ed essere al nostro fianco. Ma siamo sicuri che ci veglia da lassù e guida i suoi nipoti nella migliore strada».
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