Cronaca
“Ambulanza della morte”, il pm chiede 30 anni di carcere per Davide Garofalo
Tre presunti omicidi: requisitoria del pubblico ministero Andrea Bonomo alla Corte d’Assise di Catania


Udienza con requisitoria del pm al processo sul noto caso “Ambulanza della morte” a carico di Davide Garofalo, accusato di tre omicidi, che si celebra davanti alla Corte d’assise di Catania (presidente Sebastiano Mignemi). Il pubblico ministero Andrea Bonomo, a conclusione di oltre un’ora e mezza di intervento, ha chiesto per l’imputato 30 anni di carcere.
Bonomo ha tenuto conto dell’aggravante della minorata difesa delle vittime: Salvatore Gagliano, Agatina Triscari e Salvatore Cadile. Tutti malati terminali che, dimessi dall’ospedale, sarebbero stati uccisi da Garofalo, in ambulanza, nel tragitto verso le loro abitazioni. Non ha ritenuto sussistenti, però, le aggravanti relative alla crudeltà e all’uso di mezzi insidiosi. Da qui, dunque, la mancata richiesta della pena dell’ergastolo.
Oltre ai tre presunti omicidi, Garofalo è accusato di estorsione, aggravata dal metodo mafioso, nei confronti dell’impresa di pompe funebri di Orazio Arena e dei figli Giuseppe e Luca.
Nella stessa udienza hanno discusso pure i legali di parte civile (i familiari delle vittime, la famiglia Arena, il Comune di Biancavilla e diverse associazioni). Prossima udienza, fissata il 9 marzo per la discussione dell’avv. Turi Liotta, legale dell’imputato, il quale si è sempre dichiarato innocente.
Attesa la sentenza per il secondo imputato
Oltre a Garofalo, c’è un secondo imputato nell’inchiesta “Ambulanza della morte”, che si trova a piede libero. Agatino Scalisi, accusato di un quarto presunto omicidio (quello di Maria Giardina), segue un altro percorso, avendo scelto il rito abbreviato, per il quale si attende la sentenza.
Il caso “Ambulanza della morte” ha fatto il giro del mondo, dopo i servizi de “Le Iene”. Il programma Mediaset aveva svelato il presunto sistema criminale sul trasporto privato in ambulanza di pazienti terminali.
Secondo tale sistema, avallato dal clan mafiosi di Adrano e Biancavilla, persone in fin di vita, dimessi dall’ospedale, sarebbero state uccise con un’iniezione d’aria nel breve tragitto verso casa.
Causare il decesso per embolia gassosa (camuffato come improvvisa morte naturale) avrebbe avuto lo scopo –secondo l’accusa– di lucrare 200-300 euro da parte dei due imputati. Una provvigione riconosciuta dall’agenzia di pompe funebri che si era “aggiudicata” il servizio per il funerale.
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Cronaca
Amianto, casalinga morta a 55 anni: chiesto risarcimento di 500mila euro
Causa contro il Comune ma è difficile provare responsabilità, il sindaco: «Ci sono gli indennizzi»


Non era mai accaduto da quando Biancavilla sa di convivere con la minaccia del minerale-killer: la fluoroedenite di monte Calvario, simile all’amianto, fonte di un inquinamento naturale che ha determinato decine di morti per tumore alla pleura. Ma adesso, al palazzo comunale, una famiglia che ha perso una persona cara a causa del mesotelioma chiede ora un risarcimento di 500mila euro.
Sono passati 26 anni dall’evidenza dei dati epidemiologici e 21 dalla scoperta e identificazione della fibra, riconosciuta a livello internazionale come “nuovo minerale” con proprietà altamente cancerogene. In tutti questi anni, nessuno aveva tentato una causa al Comune. Eppure, di morti per questa neoplasia che non lascia scampo, Biancavilla ne conta dal 1988 ad oggi circa 70, anche se la stima è che quelli reali siano almeno il doppio.
La causa civile al Tribunale di Catania
Tra questi, una donna di 55 anni, casalinga, deceduta nel 2012. Sono stati il marito e due figli ad avviare il procedimento alla sezione civile del Tribunale di Catania, adducendo una responsabilità con culpa in omittendo. Si punta il dito sul Comune per presunte omissioni nell’obbligo di tutelare la salute pubblica, soprattutto dopo che cause ed effetti dell’incidenza eccessiva di mesotelioma a Biancavilla sono stati ampiamente documentati dalla letteratura scientifica.
Una causa legittima, ma dal verdetto non così scontato per la famiglia biancavillese. La mobilitazione istituzionale, a partire dal 1997, per affrontare la problematica, non è mai mancata. Tenendo conto, poi, del lunghissimo periodo di incubazione tipico di questa patologia tumorale, i decessi finora avvenuti sono da considerare conseguenze di un’esposizione al rischio cominciata ben prima della fine degli anni ’90, quando il paese ha preso coscienza dell’esistenza del minerale-killer. Ad ogni modo, l’esito della causa civile dovrebbe arrivare il prossimo ottobre.
Aperta la strada dell’indennizzo una tantum
Se la strada dei risarcimenti si presume dallo sbocco incerto, quella da percorrere per vittime e famigliari delle vittime riguarda gli indennizzi. Fino a pochi anni fa anche questa possibilità – riservata solo a lavoratori esposti al rischio amianto – era impensabile da applicare alla realtà di Biancavilla. Ma interventi parlamentari e ministeriali hanno riconosciuto l’unicità del caso Biancavilla. Un cambio di rotta possibile anche dopo che la fluoroedenite è stata riconosciuta cancerogena dall’International Agency for Research on Cancer, riunita a Lione con 21 esperti di 10 paesi europei.
«Si sta lavorando – conferma a Biancavilla Oggi il sindaco Antonio Bonanno – agli indennizzi ai familiari delle vittime dell’esposizione ambientale. Vittime che per la prima volta vengono equiparate a coloro che si sono ammalati per esposizione lavorativa». Per queste ragioni, «ci stiamo interfacciando con l’Animil», l’Associazione Nazionale fra Lavoratori Mutilati e Invalidi del Lavoro.
«È stato possibile – sottolinea il primo cittadino – aumentare i fondi nell’ultima finanziaria. Nel decreto Milleproroghe sono state facilitate, inoltre, le procedure per ottenere un indennizzo una tantum, quantificato in 15mila euro, la cui erogazione compete all’Inail».
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