Cultura
Il Comune nega il contributo, ma “Sciuri di Mungibeddu” resiste
“Sciuri di Mungibeddu” resiste. Nonostante il Comune di Biancavilla abbia negato persino un contributo di qualche migliaio di euro ad una delle manifestazioni culturali più longeve, che ancora attrae un pubblico numeroso, la 24esima edizione della rassegna di poesie si è svolta a Villa delle Favare.
Circa 80, i poeti coinvolti in questa edizione. Sono stati loro stessi, assieme ad alcuni sponsor, ad “autotassarsi”, pur di mantenere la manifestazione e stampare il consueto volumetto che raccoglie tutti i componimenti.
Nino Tomasello, presidente del Centro culturale “Callicari”, che dal 1991 organizza la rassegna, attrattiva di poeti di tutta la Sicilia, non nasconde l’amarezza per il disinteresse istituzionale: «Molti poeti mi hanno incoraggiato a non abbandonare questa manifestazione e farla continuare. Con il contributo di noi tutti, abbiamo sostenuto le spese di stampa dell’antologia per avere almeno il ricordo delle poesie presentate. Confesso che mi ero demoralizzato nel sentire il sindaco Glorioso, che alla richiesta da tre anni di un contributo, risponde “Ti posso dare solo il teatro, ma soldi non ce n’è”. Ero quasi pronto a ritirarmi anch’io, ma è stata la spinta e l’incoraggiamento di tanti a convincermi a continuare».
Alla fine, nemmeno il teatro è stato disponibile per ospitare la manifestazione. Così, il ripiego è stato per la sala di Villa delle Favare.
Quanto al contenuto delle poesie di questa edizione, il curatore della raccolta, Enrico Fichera, lo sintetizza così: «La maggior parte dei componimenti riflette la crisi che viviamo, la protesta e l’indignazione per il malcostume che imperversa e il senso di smarrimento dinanzi alle ingiustizie sociali, il rimpianto e la nostalgia della giovinezza che non torna più e del tempo in cui si vivevano le condizioni per una maggiore solidarietà tra gli uomini, l’angoscia di non trovare alcun frutto dei sacrifici affrontati in gioventù per preparare un futuro migliore ai propri figli, l’accorato richiamo ai propri cari morti che si amano adesso come non furono amati mentre erano in vita».
Oltre allo stesso Nino Tomasello e all’immancabile Giuseppe Tomasello, questi sono gli altri poeti che hanno presentato i loro versi alla 24esima edizione di “Sciuri di Mungibeddu”: Flippo Amore, Giusi Baglieri, Salvo Baglieri, Salvatore Bonaventura, Angela S. Bono, Sara Celano, Pippo Consoli, Santo Consoli, Alberto Criscenti, Giuseppina Crispi, Rosanna Di Benedetto, Angela Di Gregorio, Rosa Maria Di Salvatore, Francesco Emanuele, Antonino Erba, Giovanna Finocchiaro, Salvatore Furnari, Mariano Giaquinta, Giovanni Giocolano, Costanza Isaya, Vera La Rosa, Alfio Laudani, Pietro Lavenia, Mattea Marino, Rosario Marzo, Tano Nicolosi, Carmelo Orto, Gaetano Petralia, Tanina Zinna Scaramella, Melania Scialbò Vinci, Alfio Sciacca, Angelo Sciacca, Francesco Scollo, Pippo Tomarchio, Carmelo Tomasello, Graziella Trovato e Carmela Tuccari.
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Cultura
W San Placido: il santo del popolo che almeno per un giorno ci rende comunità
Il Patrono di Biancavilla: di fronte a tradizioni ridotte a farsa, l’unica certezza resta quella del 5 ottobre
In un tempo di storiografie deboli, di identità incerte, di farse battezzate a tradizioni, il biancavillese ha in sé una sola certezza: il 5 ottobre viene san Placido. E non se ne fa, se il programma civile (dopo quello delle funzioni) quest’anno si intesta con un generico e mostoso “Ottobre in festa” (bisognerebbe capire cosa abbia fatto derogare all’attesa e gioiosa “Festa di San Placido” l’ibrida locuzione dall’indifferente gusto oltralpino, considerando che gli eventi in programma iniziano a fine settembre e non vanno oltre la prima settimana del mese successivo).
Ma San Placido, si sa, è festa di città. La festa. Di questa città. Il Benedettino non è santo di giaculatorie, litanie e piagnistei. È quasi impossibile, infatti, trovare un concittadino che conosca due righe, due, di una qualche preghiera dedicata al Patrono. Non a caso l’omonima novella di Federico De Roberto, ambientata a Biancavilla, ha avvio nel palazzo comunale e non in chiesa (si veda il volume pubblicato da Nero su Bianco Edizioni). Infatti, a differenza degli altri protettori, il martire è il cuore collettivo della società che si rigenera: il solo che per esistere non ha bisogno di ancoraggi alla fondazione.
Una festa di tutti, nessuno escluso
Santo ghibellino e socialista, di popolo: mette tutti d’accordo. Nessuno si sente escluso dalla festa. Tra un pasto luculliano e un vestito nuovo, una luminaria e uno sparo, una bancarella e un cantante, una crispella e un pezzo di torrone, in un giro di giostra, ce n’è per tutti. Si capisce che il culto di Placido risulta funzionale a un certo clericalismo, mentre non si dà per scontato il contrario.
Duole, però, che le tradizionali mongolfiere siano sparite al seguito della corsa dei cavalli, e la fiera del bestiame non ritorna a prendere posto, seppure rivista, nel calendario: quanto sarebbe atteso per i più piccoli, ad apertura di festività, un evento di promozione all’adozione degli animali e di conoscenza delle specie protette del Parco dell’Etna, quando le politiche degli ultimi governi si muovono a favore di educazione e terapia con gli animali.
Il Santo “civile” lontano da ori e pompe
È figura identitaria pop quella di Placido. Rifugge da ori e da pompe. Accondiscende alle messe, ma resta il Santo civile. E mantiene carattere del divino nella più occidentale delle tradizioni: quella di avere vizi umanissimi, ricorrere a una padella per difendere la sua salsiccia, facendo nero l’omologo adranita, e si tiene caro il territorio dal quale non accenna ad allontanarsi, pena mollare una gran pedata ai limitrofi trafugatori. Quanti nonni raccontano, ancora, queste vicende ai nostri occhi incantati di pargoli di sempre.
Santo del mito, più che del rito. Nel mutamento demografico e nell’ibridismo culturale, la sua festa – cerniera tra le stagioni e spartiacque dell’agenda nostrana – si perpetua e ci fa comunità. Per un giorno. E dai vecchi barbanera della Penisola ai calendari rurali riemerge Biancavilla nel novero delle feste nazionali, per il suo San Placido. Lo stesso al quale era intestata la prima banca popolare di microcredito: “Cassa rurale San Placido”.
Ma oggi, per una decina di minuti, per noi, i botti non saranno quelli dei notiziari atroci, della gragnuola che si abbatte nel medio oriente e nell’est dell’Europa. La disperazione anche per quest’anno è rimandata. E sarà bello trovarci ancora a mezzogiorno, senza classi, senza titoli, senza miseria all’uscita festosa del monaco rubicondo, con l’istinto condiviso di afferrare un rettangolino di carta colorata e leggerci: “W San Placido”!
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Antonella
16 Gennaio 2015 at 14:55
Al Comune dovrebbero soltanto vergognarsi. Negare la cultura è condannare un paese alla morte. Sono schifata.