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Abolito lo “sparo” di mezzanotte? È finito il tempo di stare a guardare…

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Si è scatenato sul web in questi giorni un gran parlare sulle imminenti feste patronali. Ovviamente parliamo degli aspetti folkloristici e collaterali delle manifestazioni religiose. Un dibattito più acceso del solito. Accanto al tradizionale fuoco incrociato di giudizi sul cantante di turno, l’appassionato interloquire mediatico si è concentrato sull’abolizione dei fuochi pirotecnici alla mezzanotte del 6 ottobre.

Il tutto a partire da una delibera dell’Amministrazione Comunale di pochi giorni fa, che dimostra con insolita trasparenza l’esiguità delle risorse a disposizione dell’Ente pubblico per gli annuali appuntamenti della festa ottobrina biancavillese.

Dal canto mio, evito di condividere con i miei colleghi nordici l’appassionato dibattito sullo “sparo”, temendo – anzi essendo sicuro – di essere sbeffeggiato sulle “solite usanze da terroni” che “ridono, cantano e ballano”, ma non affrontano mai i problemi seri…

Provo dunque a sfogarmi attraverso questo spazio, messo a disposizione dal geniale Vittorio Fiorenza.

Che fossero finiti i tempi delle vacche grasse, per la Sicilia e per i Comuni, ahimé, ce n’eravamo accorti da tempo. L’abolizione del “gioco di fuoco” di piazza Sgriccio, di più, mostra emblematicamente che è finito il tempo di stare a guardare, spettatori più o meno attenti, uno spettacolo realizzato da altri.

La questione allora diventa: qual è il futuro della “festa di san Prazzitu”? Potremmo discutere – e lo continueremo sicuramente a fare – sul modo in cui si sarebbero potuti spendere i sessantamila euro a disposizione (avremmo almeno 22.000 idee diverse), ma qui occorre prendere finalmente atto che la festa sta cambiando radicalmente. E per rimanere tale, per conservare la sua carica emotiva e antropologica, deve necessariamente cambiare!

Personalmente diffido di chi predica la povertà e l’austerità “dura e pura”, perché afferma che “non abbiamo bisogno di feste”. Da che il mondo è mondo (senza scomodare il racconto biblico della creazione del 7° giorno e del riposo di Dio), ogni uomo ha bisogno di quell’evento straordinario che interrompe la quotidianità, consentendogli di valorizzare gli affetti e le cose più care, attraverso l’incontro e la condivisione: la festa appunto. Essa dà senso al tempo e lo orienta. Non si tratta dunque, di rinunciare alla festa, ma di garantirle un futuro, nonostante la crisi del tradizionale sistema di recupero delle risorse finanziarie.

Non è “u Sinnicu ca fa a festa”, mettendo in piedi soluzioni e trovate per “stupire con effetti speciali”. Occorre ritrovare – o forse scoprire! – l’iniziativa individuale, la creatività personale, per garantire la sopravvivenza delle nostre feste. Questo non vuol dire esonerare dalle proprie responsabilità chi ha il dovere, per mandato popolare, di individuare le soluzioni migliori, di spendere i soldi con oculatezza, di incoraggiare e stimolare le risorse migliori della comunità. Ma la festa deve essere il risultato di uno sforzo collettivo, deve nascere dal contributo di ciascuno.

Possiamo continuare a lamentarci – è un’opzione congenita per un biancavillese – , oppure possiamo provare a fare qualcosa. Dove sono le associazioni sportive in grado di proporre tornei sportivi (podistici o ciclistici) – a proposito, che fine ha fatto il “trofeo San Placido”? – dove sono le compagnie dilettantistiche nostrane in grado di proporre rappresentazioni teatrali a buon mercato, e le band dei nostri giovani? Banalmente, e se i tanti pasticceri biancavillesi organizzassero una “sagra dello schiumone” (che mi risulta essere tra i nostri prodotti più tipici)? E, perché no, una mostra di opere d’arte di giovani ragazzi emergenti? Per non dire della possibilità di inserire nella festa una sagra della castagna o del mosto…

Anche in questo caso, come già osservato in altri contesti, la crisi economica può costituire davvero un’opportunità. È tempo di crescere, di passare da spettatori ad attori. Anche se, ovviamente, è più facile addossare la colpa a qualcun altro.

Voglio dire, in altri termini, che dinanzi al mutare dei tempi e delle condizioni storiche, siamo costretti a cambiare atteggiamento. Non abbiamo scelta. Occorre uno scatto di coscienza civica, in assenza del quale, qualunque festa è a rischio! Non sarà la fine del mondo, dirà qualcuno, se la finiamo di fare feste… ne abbiamo troppe, di feste… anzi, c’è chi attende con ansia la cancellazione di queste manifestazioni, con buona pace dell’inevitabile “panem et circenses” di romana memoria, salvo poi a cercare altri surrogati della festa in una birra consumata nel pub di turno più affollato dai ragazzi. Sicuramente una festa meno impegnativa!

In realtà il problema della sopravvivenza della festa di san Placido è metafora della difficoltà di individuare prospettive di sviluppo per la nostra città. Vi invito a rileggere questo stesso testo sostituendo alla parola “festa” la parola “città”. Il tema resta invariato.

Da sempre divisi su tutto, pronti a lamentarsi per ogni cosa, oggi per i biancavillesi è finito il tempo di stare a guardare. Lo spettacolo è stato cancellato. Che fare?


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Abolito lo “sparo” di San Placido: 60mila euro per una festa “low cost”

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Pro e contro la cancellazione dello sparo di mezzanotte


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2 Comments

2 Comments

  1. ninni

    26 Settembre 2014 at 15:08

    condivido che siamo passivi e dovremmo lamentarci meno e agire di più, peccato però che ogni nuova iniziativa sia lasciata fallire e andare alla deriva! tutte le associazioni nuove fatte di giovani motivati falliscono perchè non c’è un feedback dalla comunità, quella stessa comunità che si lamenta che alla sera non c’è nulla da fare tranne andare al bbking! per non parlare delle istituzioni! sai che diffidenza e menefreghismo nelle scuole quando un associazione culturale prova a coinvolgerle in progetti nuovi? chiedilo a noi, a me, che da mesi sbattiamo contro muri di no per eventi socioculturali, c’è chi non ha soldi, chi non ha tempo, chi non ha risorse… il problema è che non abbiamo più interesse, in niente! le nostre giornate passano facendo a gara a chi si lamenta di più. ma agire mai, non è da biancavillesi forse.

  2. Antonio

    26 Settembre 2014 at 14:31

    Riflessione interessante… Dove sono le compagnie teatrali? Ovviamente ci sono, rispondono sempre, anche sostenendo spese proprie. Non si può negare. Vogliamo poi ricordare che certe associazioni aspettano dal Comune i contributi degli spettacoli di due anni fa? Si, dai ricordiamolo.

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Il centro anti-violenza Calypso e quei politicanti che volevano “sporcarlo”

Oggi tanti eventi ipocriti ma io sarò in Tribunale per una donna di Biancavilla, vittima di maltrattamenti

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Nel 2012, unitamente a due psicologhe di Catania fondavo l’Associazione Antiviolenza e Antistalking Calypso, la cui sede era ed è a Biancavilla. Ricordo che Sonya, Laura (questi i nomi delle due psicologhe) ed io eravamo spinte da forte motivazione, spirito di solidarietà e di aiuto a donne e bambini, vittime di violenza di genere. Ricordo l’inaugurazione dell’associazione, a Villa delle Favare, nel marzo del 2013. Ricordo l’attenzione che Calypso ha ingenerato nei politicanti di tutti gli schieramenti. Era di certo un bel bocconcino da strumentalizzare a proprio uso e consumo, ma avevano fatto i conti senza l’oste.

Eh sì, perché l’oste, cioè io, non ha mai consentito alcuna strumentalizzazione e non si è mai piegata ai vari avvicinamenti e alle tante promesse che le venivano dispensate con il solo fine di recuperare qualche voto all’interno dell’associazione. Che delusione, però, quando hanno capito che la maggior parte delle associate non era residente a Biancavilla e che quindi non aveva alcun significato politico alle elezioni locali. Che delusione quando hanno capito che l’associazione era autentica e per nulla interessata ai favori dei politici, ops, politicanti.

Noi volevamo solo una sede idonea ad accogliere le donne vittime di violenza. Non volevamo soldi, non volevamo incarichi. Nulla, se non mettere in campo la nostra professionalità per aiutare le donne vittime di quella violenza e di quel maschilismo che, vuoi o non vuoi, imperano e che in alcune forme sono così sottili, tanto da non essere riconosciuti e che, purtroppo, provengono anche dalle donne.

Cominciamo dalla lingua italiana

Questa è la verità e io la dico. Quelle donne, per esempio, a cui va bene che la cameriera sia chiamata cameriera, idem la segretaria, idem l’infermiera. Ma si rifiutano di essere chiamate avvocata, sindaca, assessora, la presidente e così via. Ciò in barba all’Accademia della Crusca e all’utilizzo della lingua italiana in forma corretta. E la motivazione a sostegno di tale rifiuto qual è? “Avvocata, magistrata, architetta…. non si può sentire”. Invece cameriera si può sentire. Se non è discriminazione questa (nei confronti delle cameriere e di tutte le donne), non so cos’altro lo sia.

Ho sempre pensato che la competizione tra donne e la mancanza di solidarietà di cui veniamo accusate sia frutto della mentalità maschilista e patriarcale da cui tutti (uomini e donne) siamo imbevuti sin da bambini. Ma più vedo e sento donne che si ribellano all’utilizzo corretto della lingua italiana, espressione di una giusta evoluzione non solo della lingua ma anche e soprattutto della società e della mentalità, e più faccio fatica a comprendere dove stia l’inghippo. Sulla mia carta di identità c’è scritto “avvocata”. Io l’ho chiesto, seppur abbia raccolto l’iniziale perplessità di alcuni dipendenti dell’Ufficio Anagrafe del Comune di Biancavilla, anche donne, ovviamente.

I “compitini” di Biancavilla e il calendario del perbenismo

D’altro canto, a Biancavilla come in tanti altri comuni (tutti?), i “compitini” sono corretti. Quote rosa rispettate, perché imposte dalla legge, altrimenti con il cavolo. Anche perché si sono resi conti che “questa cosa” delle quote rosa e del doppio voto uomo/donna è un ottimo strumento per duplicare i propri voti (degli uomini, ovviamente). E poi: assessore (plurale di assessora) alle Pari opportunità, rigorosamente donne perché le pari opportunità sono affari che riguardano solo le donne. E ancora: panchine rosse, scarpette rosse, scolaresche riunite in piazza il 25 novembre e l’8 marzo, alla presenza per lo più di donne.

A mia memoria, ai vari eventi imposti dal calendario del perbenismo, salvo qualche eccezione, i sindaci e gli assessori (uomini) non hanno mai partecipato. O in alcuni casi hanno fatto brevi apparizioni perché impegnati in affari ben più importanti rispetto ad iniziative ritenute forse affarucci da femminucce. D’altro canto, gli uomini si occupano di cose serie, mica di panchine e scolaresche.

Calypso, realtà preziosa e onesta

Comprendo che sarebbe più popolare scrivere che tutto vada bene e che sono tutti belli e bravi. Io, però, sono ormai disillusa dal paese in cui pensavo di investire professionalmente e umanamente. E donare ad esso il mio entusiasmo e i miei valori di uguaglianza, parità e solidarietà verso il prossimo. Mi sono enormemente rotta le scatole, perché allinearmi non è nel mio “mood”, come direbbero i ragazzi di oggi.

Tutto ciò non solo a Biancavilla, ma Biancavilla è certamente colpevole di non avere accolto una realtà preziosa, onesta e autentica quale è Calypso. Perché? Perché la sua presidente (la presidente e non il presidente) che sono io, ha notoriamente la lingua troppo lunga.

Indimenticabile quando nel 2013 una persona vicina all’attuale sindaco (all’epoca non ancora sindaco e che, peraltro, io sostenevo, sbagliando) mi disse che ero troppo scomoda e che «non avrei fatto strada in politica». In effetti, così è stato perché sono fuggita a gambe levate. Altrettanto indimenticabile quando un sindaco ricandidato di un colore diverso di quello sopra nominato si è permesso di strumentalizzare il mio nome e indirettamente quello della mia associazione durante un comizio. Mi costrinse a prendere parola e a dire che nel capodanno precedente, quando una ragazza di Biancavilla era stata sequestrata dal suo convivente, io ero in piena operatività insieme alla famiglia e ai carabinieri, mentre lui era a casa a mangiare le lenticchie.

Certa politica sporca tutto

Ma si sa, certa politica sporca tutto. Calypso, però, non l’ho fatta sporcare. Meglio rimanere una piccola realtà autogestita e autofinanziata che impelagarsi con schifezze varie. Tante belle parole ma nulla di concreto a Biancavilla. Città che, essendo in buona compagnia, probabilmente si autoassolve dalle responsabilità che incombono sulla sua testa e su quella dei suoi capoccioni.

Oggi, 25 novembre, io non parteciperò ad alcun evento, così come ormai faccio da anni. Sarò in Tribunale a discutere il processo di una donna di Biancavilla. Una donna che, se non avesse trovato il sostegno dei figli e del genero e, senza volere fare autoreferenzialità, della sottoscritta, forse sarebbe stata uccisa.

Gli altri, anzi, le altre, le cosiddette assessore (plurale di assessora) che si firmano “assessore” (al singolare), perché non hanno la consapevolezza che, in questo caso, la forma è sostanza o se ne hanno la consapevolezza non hanno il coraggio di sostenere il cambiamento, si lavino le coscienze con le panchine rosse e con le scarpette rosse e con le cazzate demagogiche da cui i nostri ragazzi vengono riempiti da adulti ciechi rispetto alle responsabilità di una società sempre più violenta (basti bazzicare i social).

Panchine e scarpette rosse come il sangue delle donne uccise per mano degli uomini violenti e per mano di una società fatta di uomini e donne complici. Rosse come la carne dei bambini vittime di violenza diretta e assistita, compresa quella delle false denunce, fenomeno dilagante e sempre più preoccupante che vede vittime uomini e bambini.

Femminismo non è fanatismo

Per onestà intellettuale si deve dire anche questo e si deve parlare anche di questo perché strumentalizzare le denunce, anche coinvolgendo i bambini, per scopi vendicativi ed economici null’altro è che violenza. Ed è un oltraggio nei confronti delle donne che davvero sono vittime di violenza, oltre a costituire un oneroso dispendio economico per lo Stato.

Ringrazio Biancavilla Oggi e il suo femminismo che dà speranza a un paese cieco e muto. Cecità e mutismo che, è utile ribadirlo sempre, ho provato sulla mia pelle quando ho subito la violenta rapina in pieno centro e in pieno giorno, nota a tutti, evento rispetto al quale, a parte questo giornale e il suo direttore Vittorio Fiorenza, tanti, tanti, tanti, ma davvero tanti, mi mostrano solidarietà e complicità dietro il sipario, perché farlo sul palcoscenico… “chi me lo fa fare?”.

Eh va beh… se lo specchio non si rompe quando vi guardate la mattina evidentemente è ipocrita e pusillanime quanto voi. A proposito, femminismo non è sinonimo di fanatismo e non è neanche sinonimo di odio nei confronti degli uomini ma magari ne parleremo un’altra volta. Buon 25 novembre, buona lavata di coscienza a tutti.

*Presidente del cento Calypso – Biancavilla

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