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L'Intervista

Le insidie della mafia sull’ospedale «Otto intimidazioni in cinque anni»

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Andrea Dara, durante la visita al cantiere dell’ospedale di Biancavilla

L’INTERVISTA Parla Andrea Dara, amministratore della Ati Group: «Sugli episodi subiti nel cantiere biancavillese, nessun sostegno dell’opinione pubblica locale. Presidio civico assente. Ma le indagini ora sono ad una svolta». 

 

di Vittorio Fiorenza

«Nel cantiere per il nuovo plesso ospedaliero di Biancavilla abbiamo subito molte infiltrazioni mafiose e diversi atti intimidatori e di sabotaggio. Peccato che l’opinione pubblica locale non ci è stata vicina. In compenso, le indagini giudiziarie sono a buon punto e forse tra qualche mese avremo novità».

Il giorno dopo l’affollato sopralluogo nella nuova struttura del “Maria Santissima Addolorata”, durante il quale il commissario straordinario dell’Asp di Catania, Rosalia Murè, ha garantito le riprese dei lavori entro questo mese, l’esigenza è quella di andare oltre gli annunci, le parate sotto gli obiettivi delle telecamere e le passerelle in giacca e cravatta. Tutti a disquisire, ieri, di reparti, attrezzature, macchinari all’avanguardia e dell’offerta sanitaria che il nosocomio biancavillese offrirà al territorio.

Nessuno a ricordare, invece, le vicende di mafia, legate all’Ati Group di Bagheria, la società incaricata dei lavori, una delle tante della galassia patrimoniale confiscata al “Re della sanità siciliana”, Michele Aiello, legato a Bernando Provenzano. Nessuno a ricordare neanche gli episodi intimidatori subiti nel cantiere di Biancavilla.

Nessuno, tranne Andrea Dara, che è l’amministratore giudiziario dell’intero patrimonio confiscato ad Aiello ed amministratore dell’Ati Group, sotto l’egida dell’Anbsc (l’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata).

Sollecitato da Biancavilla Oggi, Dara spiega che i ritardi e lo stop dei lavori per l’ospedale di Biancavilla sono stati causati da questioni burocratiche legate «alla normativa sui beni confiscati, che consente l’affitto, la liquidazione e la vendita, ma non la continuità dell’attività di impresa». Impresa, la Ati Group, che poi «ha visto un merito creditizio affievolito (perché il compendio immobiliare è passato allo Stato), riducendo le garanzie».

Come dire: Cosa Nostra non è qualcosa di astratto e lontano. Ma ha i suoi effetti sulla pelle dei cittadini e in questo caso su un’opera importante che ha subito ritardi e intoppi, ai danni della comunità di Biancavilla e di un vasto territorio.
Esatto, è così. Nel cantiere di Biancavilla, peraltro, abbiamo subìto molte infiltrazioni mafiose e diversi atti intimidatori e di sabotaggio».

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Un ritaglio di giornale sull’episodio intimidatorio dell’ottobre 2009

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Altro ritaglio: la reazione dei sindacati, il silenzio delle istituzioni

In concreto?
Sempre lettere minatorie, intimidazioni ai direttori dei lavori, intimidazioni agli operai, atti tesi ad isolarci rispetto ai fornitori locali e quant’altro. Per fortuna nessun danno causato ai mezzi.

Diversi episodi? Quanti?
Almeno 7-8 episodi nell’arco di 4-5 anni, tutti regolarmente denunciati.

Ma senza alcun risvolto…
Sono episodi su cui, da quello che ho capito, le indagini sono ormai mature.

Cioè?
Sono stato recentemente impulsato dalla polizia giudiziaria per alcuni dettagli e ho capito, di fatto, che le cose stanno andando avanti e probabilmente presto avremo dei riscontri concreti.

La pista è locale o porta a Palermo?
Questo non glielo so dire. Però vorrei ricollegarmi alla sua domanda iniziale, che mi sembra molto interessante e pertinente.

Prego.
Sarebbe necessario, a mio modo di vedere, che il cantiere venisse visto non soltanto dal lato dell’impresa. Impresa che, per inciso, viene spesso lasciata sola a difendersi o a presidiare (così come abbiamo fatto noi, essendo tra l’altro in amministrazione controllata giudiziaria e la tutela del tribunale in questi anni è stata costante e continua. Occorrerebbe, dicevo, che il cantiere venisse posto al centro di un’attenzione generale dell’opinione pubblica, la quale dovrebbe denunciare, soprattutto nel caso di un’opera di così grande rilevanza, qualsiasi ritardo o nocumento alla consegna e alla fruizione della stessa.

Una sorta di controllo e presidio civici.
Esattamente, un movimento di opinione che si opponga a certi fenomeni. D’altra parte, fino a quando c’è il singolo che cerca di presidiare e di opporsi, il risultato è sempre molto relativo e comunque viene continuamente ad essere oggetto di attenzioni, minacce ed intimidazioni. Quando, invece, si muove una collettività dietro di lui, queste cose, se capitano una volta, sono poi destinate a non ripetersi.

È quello che è successo per il cantiere di Biancavilla?
Sì, a Biancavilla abbiamo subìto un avvicendarsi di amministrazioni, che nel tempo hanno interagito tra di loro e non c’è stata mai una posizione molto nitida, se non quella di denunciare i ritardi nella consegna dell’opera. E poi un’opinione pubblica sostanzialmente, come possiamo dire?, non particolarmente presente.

Non abbia imbarazzi, lo può dire chiaramente.
Si, lo dico: assente.

 

La scheda: Michele Aiello
Il manager della sanità siciliana, Michele Aiello, è stato condannato a 15 anni e sei mesi di reclusione per associazione mafiosa, corruzione continuata e truffa aggravata.

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Michele Aiello

Coinvolto nella stessa inchiesta che ha portato alla condanna per favoreggiamento dell’ex governatore Totò Cuffaro, è ritenuto strettamente legato al boss Bernardo Provenzano.

Secondo gli inquirenti, avrebbe potuto contare in tutto l’arco della sua attività imprenditoriale, nata nel settore edile e poi ampliatasi in quello della sanità, su una sostanziale situazione di monopolio assicurata dall’appoggio dei vertici di Cosa nostra, che avrebbe anche investito ingenti somme di denaro nelle sue aziende. Un patrimonio confiscato dallo Stato per 800 milioni di euro.

Tra le sue aziende, la Ati (Alte Tecnologie Ingegneristiche) Group srl, incaricata dei lavori negli ospedali di Biancavilla e di Bronte.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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Cultura

Carmelo Bonanno: «Biancavilla e quel 2 giugno 1946, il ritorno alla democrazia»

L’autore di Nero su Bianco Edizioni:: «I valori dell’antifascismo e della libertà vanno difesi ogni giorno»

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La caduta del fascismo, la fine della guerra, le macerie materiali e morali. Un paese da ricostruire. Biancavilla vive gli eventi con una partecipazione corale per ricostituire i partiti e svolgere le prime consultazioni elettorali, dopo la dittatura ventennale di Benito Mussolini. Carmelo Bonanno racconta gli eventi dell’immediato dopoguerra nel volume “Biancavilla e Adrano agli albori della democrazia”, pubblicato da Nero su Bianco Edizioni. Una ricerca ricca di testimonianze, che in quel 2 giugno 1946 vede la data cruciale per costruire un futuro carico di speranza, nel segno della libertà e del progresso.

Bonanno, quello è un giorno che ci restituisce la democrazia. Biancavilla come arrivò alle prime elezioni e al referendum del ‘46?

Biancavilla, a differenza dei comuni limitrofi, non conobbe la devastazione del suo territorio perché non subì i pesanti bombardamenti alleati di fine seconda guerra mondiale. Secondo i democristiani dell’epoca il merito fu di padre Antonino Arcidiacono e di altri due suoi amici carissimi che andarono a Piano Rinazze, dove erano stanziati gli Alleati, e mediarono con loro affinché Biancavilla fosse risparmiata. Secondo i comunisti del tempo, invece, furono i tedeschi che, notata la forte opposizione di Biancavilla, preferirono abbandonarla per evitare di rallentare la fuga dalle truppe alleate. Non sappiamo quale delle due versioni corrisponda a verità, magari in entrambe c’è del vero. Resta il fatto che Biancavilla arriva all’appuntamento elettorale in un quadro di maggiore “stabilità”.

Oggi ricorre anche l’anniversario del referendum istituzionale nel quale gli italiani si espressero a favore della Repubblica come forma di governo, anche se a Biancavilla – come in tutto il Mezzogiorno – la maggioranza scelse la Monarchia…

Sì, ma è anche vero che il risultato repubblicano a Biancavilla fu notevole perché la media siciliana di voti per la Repubblica era del 35% mentre a Biancavilla ottenne quasi il 49%.

Alle Amministrative dell’aprile 1946, a Biancavilla, la Democrazia Cristiana dominò conquistando 24 seggi su 30 in Consiglio Comunale ed eleggendo il farmacista Salvatore Uccellatore come sindaco, confermando poi il netto vantaggio sugli altri partiti anche alle elezioni dell’Assemblea Costituente del 2 giugno successivo. Biancavilla era (ed è) democristiana?

Sì, certo, Eccezion fatta per la parentesi comunista di Peppino Pace, la Dc seppe sempre rigenerarsi e governare, di fatto fino alla fine della cosiddetta Prima Repubblica.

Oltre a padre Arcidiacono e a Salvatore Uccellatore quali furono le altre personalità di spicco della Dc locale in quegli anni iniziali dell’Italia repubblicana?

Ebbero un ruolo importante Filippo Leocata, medico, e Alfio Minissale, ingegnere, impegnato nella formazione della classe dirigente giovanile dello Scudocrociato. 

Che ruolo ebbero il clero e la Chiesa nel successo democristiano?

Un ruolo fondamentale. Esercitato anche attraverso la costituzione di iniziative associative quali quelle dell’Azione Cattolica, degli Uomini Cattolici e delle Donne Cattoliche. E di un comitato in cui ebbero un ruolo di prim’ordine padre Giosuè Calaciura e Salvatore Uccellatore, prodigatisi per venire incontro ai bisogni dei biancavillesi.

E le donne, appunto, che per la prima volta ebbero diritto di voto?

Le donne giocarono un ruolo importante già durante il periodo della guerra: diedero sostegno economico e sociale, anche tramite la Chiesa, ai bisognosi e alle vedove di guerra. La loro azione politica fu funzionale alle loro opere di carità e assistenza, poi ricambiate in voti per la Democrazia Cristiana. Fornirono spesso un contributo decisivo, convincendo le donne a votare Dc in contrapposizione al Pci.

La sinistra biancavillese, “minoritaria” ma comunque con un consenso significativo, percorse una strada ben più accidentata. Perché?

Perché, tra le altre cose, ci fu una “scissione” tra la corrente dibenedettiana e il resto del partito. E i comunisti, scomunicati, subirono una notevole pressione “interna” ed “esterna”. Lo stesso Di Benedetto, di professione riparatore e noleggiatore di biciclette e allora segretario della Camera del lavoro locale, fu accusato – secondo le testimonianze dell’epoca – di aver rubato parte degli pneumatici inviati dal sindacato provinciale. Pneumatici all’epoca utilizzati non solo per le bici ma anche e soprattutto per creare le suole delle scarpe. Da lì capì che era stato preso di mira e che fosse un capro espiatorio e si allontanò dal partito, che di fatto si “riunificò”.

La lotta di classe nel nostro territorio portò anche all’occupazione delle terre. Che risultati ottenne?

Contraddittori. Perché, a seguito dell’assegnazione seguita alla riforma agraria, alcuni ricevettero terre proficue e redditizie. Altri, terre aride e cretose.

Una Biancavilla a maggioranza democristiana ma geograficamente divisa tra il centro “biancofiore” e la periferia comunista. Guidata da personalità carismatiche. Persino con un primato: prima città italiana a rivoltarsi contro i fascisti nella sommossa del 23 dicembre 1923. Una memoria sconosciuta ai più, che oggi ignorano le radici storiche della ricostruzione democratica locale. Che lezione dovremmo trarne a quasi un secolo di distanza?

Non dobbiamo dimenticare da dove proveniamo. Dobbiamo conoscere il nostro passato. Siamo figli della nostra storia. E la storia ci insegna che ci sono dei valori condivisi – l’antifascismo, la libertà, la democrazia – che noi oggi diamo per scontati ma che non lo sono affatto. E la storia serve a ricordarci che queste conquiste vanno difese ogni giorno.

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