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Cultura

Metafora dell’individuo negli “Ablativi assoluti” di Vincenzo Galvagno

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di ANTONIO LANZA

Vincenzo Galvagno cita spesso a memoria una poesia di Philip Larkin intitolata “This be the verse” (Sia questo il verso), da Finestre alte del 1974. È una poesia dura, dall’ironia senza scampo, che parla dell’influenza negativa esercitata sui figli da genitori troppo oppressivi che tendono, magari inconsapevolmente, a caricarli di colpe e soffocarli. Gli stessi genitori però – continua Larkin nella seconda quartina – sono stati a loro volta vittime di un contesto familiare di origine che il poeta inglese descrive come emotivamente instabile e violento.

Si giunge così alla strofa conclusiva in cui il poeta, tirando le somme di questo pessimismo di impronta biblica, sostiene che “l’uomo passa all’uomo la pena”; e chiude la poesia con un imperativo estremo, che risolverebbe però alla radice il problema: “non avere bambini tuoi”. Definito dal premio Nobel Derek Walcott “The Master of the Ordinary”, Larkin svolse un’attività poetica contraddistinta dall’analisi del quotidiano, della realtà sociale inglese e dei suoi cambiamenti, e lo fece con uno stile piano, scarno e antiretorico, raccontando nei suoi versi di esistenze grigie e solitarie e mostrando una rarissima capacità di mettersi nei panni dei personaggi creati dalla propria sensibilità.

È la stessa capacità di introspezione psicologica e di sapienza nel costruire personaggi ben scolpiti che, con le dovute distanze, caratterizza la poesia di Vincenzo Galvagno e questi suoi Ablativi assoluti (Giuliano Ladolfi Editore, Borgomanero 2013, pp. 64, € 10) che, pubblicati alla fine dell’anno scorso, hanno ottenuto un buon riscontro di pubblico e una serie di entusiastiche recensioni sul web e sulla carta stampata.

I maestri ai quali ispirarsi non si scelgono di certo a caso, e Galvagno, così come evidenzia la grande poetessa calatina Maria Attanasio che ha prefato la silloge, sembra mostrare maggiore affinità con alcuni poeti provenienti da area anglofona, come Ginsberg, Eliot, Kerouac e lo stesso Larkin.

Con quest’ultimo, Galvagno, poeta biancavillese poco più che trentenne che di mestiere fa l’avvocato, ha in comune la lingua poetica asciutta, uno stile che respinge ogni abbandono al lirismo, e la propensione a fare poesia partendo, come si è già detto, dalla creazione di personaggi dal profilo netto, che si stagliano con forza nell’immaginario del lettore avvertito.

Si tratta anche qui di personaggi che conducono vite marginali, abitati da un profondo disagio umano, sapientemente illuminati da Galvagno in un momento che ne rivela fragilità, debolezze, ossessioni: ‘ablativi assoluti’, insomma, originale metafora dell’individuo.

Come Idomeneo che, ormai adulto, non riesce a liberarsi dal pensiero delle probabili maldicenze sul suo conto. O come l’anonimo frequentatore di un bar, silenziosamente attratto da un’esuberante Tecmessa eppure incapace a rivelarle la sua passione. O come Briseide che reprime dentro di sé il proprio amore per Achille e intima a se stessa il silenzio. O come Cassandra, condannata a non essere creduta, neanche quando in ballo ci sono i propri sentimenti. O come padre Crise colto da improvvisa infatuazione per un giovane ragazzo con il quale però sa già di non poter mai consumare i propri appetiti.

Quelli elencati sono solo alcuni dei personaggi che popolano la prima delle tre sezioni di cui è composto Ablativi assoluti, che si intitola «Poesia e verità». Il lettore di questo articolo si sarà accorto dell’inconsueta scelta dei nomi operata dal poeta biancavillese. Il motivo è molto interessante e attiene alla stessa costruzione di «Poesia e verità».

La prima sezione di Ablativi assoluti, infatti, appare scandita da titoli estrapolati dal Vecchio Testamento. Si tratta di citazioni da svariati libri biblici (Genesi, Levitico, Siracide, etc.) in cui un Dio sentenzioso e collerico preconizza a un personaggio dell’Iliade un qualsiasi accadimento, che puntualmente si compirà nel corpo del testo.

La poesia non è altro che il banco di prova entro cui si muovono gli eroi omerici che, pur conservando nomi e tipicità, risultano perfettamente immersi in situazioni e ambientazioni tipiche della nostra contemporaneità. In tal modo, Galvagno intende suggerire la comune appartenenza archetipica, l’universale sentire del genere umano.

La seconda sezione del libro, «Turbata quiete di pubblico incanto», è la più breve e allo stesso tempo la più intensa. Qui Galvagno ripesca un fatto di cronaca avvenuto a Giarre nel 1980, l’amore – all’epoca socialmente inaccettabile – tra Giorgio e Antonio, che sfocia infine nel suicidio di entrambi. Galvagno qui opera con la maestria di uno scrittore di teatro e riesce a delineare la storia di questi ragazzi, dall’innamoramento al tragico epilogo, scandendola in cinque episodi salienti, cinque atti da tragedia shakespeariana. A nostro avviso in questa sezione, più che la scabrosità di un amore omosessuale, Galvagno ha inteso raccontare il sentimento d’amore tout court, sempre a suo modo scandaloso in ogni epoca e per motivi di volta in volta differenti; lo stretto legame, insomma, tra Eros e Thanatos.

Per raccontare infine dal di dentro quella condizione di solitudine che Galvagno ha finora rappresentato attraverso l’epos e la cronaca, nella terza e ultima parte del libro, «Ablativo assoluto», il poeta biancavillese si fa più introspettivo, illuminando quelle zone oscurate del sé che lo apparentano alla folla di personaggi che popolano il libro. Mai strettamente autobiografica, questa sezione conclusiva contiene una delle poesie più riuscite della silloge, “My family is not in existence”, che nei versi finali si apre a un autentico pessimismo (“Uno dopo l’altro ce ne andremo, / altri respireranno per questi muri. / E credimi noi non saremo mai esistiti) che a noi ricorda molto l’Ecclesiaste e, di riflesso, il Larkin di “This be the verse”. I maestri non si scelgono a caso, dicevamo.

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Chiesa

Ex Allieve salesiane, da un secolo presenti e impegnate per Biancavilla

La presidente Santina Polizzi: «Siamo in 50 in vari ambiti, oratorio, dopo scuola, opere di carità»

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Era il 1925. La Grande Guerra era finita da appena sette anni lasciando strascichi di povertà e dolore. Biancavilla contava meno di ventimila abitanti in un mucchio di case affacciate su strade in terra battuta. Negli anni della vittoria del Partito Popolare, che precedettero il Fascismo, il nostro paese vedeva la realizzazione del primo edificio scolastico e l’apertura delle scuole di Avviamento professionale.

Gli uomini andavano presto a lavorare al mattino, a volte mancavano da casa intere settimane. Portavano il pane. E le donne? Le donne lavoravano anche più dei “maschi di casa”: crescevano i figli, accudivano i familiari più fragili, tenevano su la casa e le relazioni tra i parenti, spesso con enormi sacrifici. Le donne riuscivano in quegli anni difficili anche a investire qualche spicciolo messo di lato e depositato nella Cassa Rurale San Placido. Molte di quelle donne, soprattutto giovani e adolescenti, avevano da qualche anno imparato a frequentare “i surelli”, le Salesiane arrivate a Biancavilla nel 1906 seguendo il carisma di san Giovanni Bosco e che fin da subito avevano iniziato la loro opera.

Tante le ragazze che, col permesso – e anche la diffidenza di qualche familiare – si impegnavano nelle attività proposte dalle suore. Il ricamo e il cucito erano le principali, ma non possiamo scordare le lezioni e i laboratori di “economia domestica”, le nozioni di igiene e di pronto soccorso. Attività che per la prima volta venivano svolte fuori dalle mura casalinghe. A tutto questo si univa l’attività di apostolato e di preghiera, di formazione e di carità verso i bisognosi, prime fra tutte le orfanelle e i bambini poveri che in quell’istituto trovavano asilo e cura. Un’opera quasi tutta al femminile.

Rosaria Cuscunà e il primo nucleo di ex allieve

Nel 1925, come si diceva, grazie a Rosaria Cuscunà, biancavillese poi consacratasi come suora, nacque il primo nucleo di Ex Allieve Salesiane: donne che avevano frequentato una delle attività o che erano state assistite dall’istituto e che desideravano continuare un cammino di missione e spiritualità all’interno della famiglia salesiana.

E da allora non si sono mai fermate. In cento anni hanno fatto tanto per affermare e fare crescere il “trinomio” del sistema preventivo di don Bosco: Ragione, Amorevolezza e Religione, traducendolo nei valori umani di dignità, fede e solidarietà verso ogni persona.

«Oggi siamo una cinquantina di iscritte – riferisce l’attuale presidente Santina Polizzi – anche se a frequentare gli incontri siamo molte di meno. A noi fanno riferimento anche alcune socie di Adrano. Le Ex Allieve, assieme alle suore, ai Cooperatori e ai tanti volontari, curano le attività dell’oratorio in istituto, il dopo scuola, fanno assistenza e sono impegnate in molteplici opere di carità sia in Istituto e sia anche nelle parrocchie».

Ogni ex allieva partecipa alla missione educativa dell’Istituto, si impegna oggi più che mai per la promozione della donna e la difesa della vita e dei diritti umani. Collabora con organismi civili ed ecclesiali sul territorio, operando attivamente in diversi ambiti: dalla famiglia all’ambiente di lavoro, dal mondo politico e sociale alla scuola e al tempo libero.

«Ci impegniamo con le suore a svolgere le varie attività che ideiamo e portiamo avanti insieme. Ma operiamo –continua la Polizzi – soprattutto nelle nostre famiglie e nelle parrocchie. Ci incontriamo con il nostro assistente due volte al mese, organizziamo periodici ritiri, pellegrinaggi e altre manifestazioni secondo lo spirito di don Bosco».

Crisi di adesioni, impegno continuo

È vero pure che da tempo, seguendo una globale secolarizzazione e un considerevole declino dell’influenza religiosa nella società e nella vita pubblica, anche l’associazione ex allieve di Biancavilla vive una crisi soprattutto nelle nuove adesioni.

«È ormai assodato che i giovani sempre in cerca di novità e a volte di emozioni effimere, cerchino altri ambiti dove socializzare e impegnarsi», afferma don Ambrogio Monforte, che dal 2011 è l’assistente spirituale dell’Associazione Ex Allieve di Biancavilla. «In questi ultimi anni – conclude – stiamo cercando, assieme alla presidente, di sensibilizzare le fasce giovanili all’impegno secondo il carisma salesiano, con l’iscrizione al nostro gruppo che comunque è uno dei più numerosi della provincia. Speriamo che questi semi possano attecchire e dare frutti nuovi così come è stato in questi cento anni».

Don Bosco e madre Mazzarello come modelli

L’associazione, in sinergia con le altre presenti nel territorio nazionale, si arricchisce continuamente degli elementi carismatici provenienti dal sistema preventivo di don Bosco e di madre Mazzarello, che oggi si ripropone come un programma di educazione integrale, rispondente alle più autentiche aspirazioni della persona: la ricerca della verità, il bisogno di Dio e l’apertura alla relazione.

Questi principi, radicati nella tradizione, continuano a guidare e a ispirare le nuove generazioni verso un cammino di crescita umana e spirituale, mantenendo vivo il senso di comunità e di speranza nel domani.

In un mondo in continuo cambiamento, la storia delle Ex allieve di Biancavilla dimostra che i valori di fede, solidarietà e impegno civile sono più attuali che mai. La testimonianza di queste donne, che hanno lavorato per un secolo alla crescita umana e spirituale della comunità, ci ricorda che il vero cambiamento parte da chi sceglie di fare la differenza, un gesto alla volta. Un esempio concreto di come il passato possa ispirare un futuro di speranza e impegno condiviso.

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Cultura

“Una vita per lo Stato”, il Circolo Castriota ricorda Vincenzo Uccellatore

“Volti e memorie di Biancavilla”: il primo incontro dedicato all’illustre magistrato e giurista

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La figura di Vincenzo Uccellatore, magistrato e giurista biancavillese, al centro di un incontro promosso dal Circolo Castriota, presieduto da Giosuè Greco. “Una vita per lo Stato”: un omaggio partecipato e sentito a una delle figure più alte della pubblica amministrazione italiana del secondo Novecento.

L’incontro, cui ha preso parte anche il sindaco Antonio Bonanno, moderato da Rosario Di Grazia, dottore di ricerca in Giurisprudenza presso l’Università di Catania, ha ospitato tre voci autorevoli per delineare, da prospettive differenti e complementari, la complessa figura di Uccellatore.

Il dott. Vincenzo Salamone, presidente del Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, ha offerto una ricostruzione rigorosa dell’attività di Uccellatore nell’ambito dell’amministrazione pubblica. Particolarmente apprezzato il passaggio dedicato alla presidenza del Consiglio di Stato negli anni 1976-1979 e al contributo decisivo fornito nelle Commissioni ministeriali per la riforma dell’amministrazione. Un esempio di rigore normativo coniugato a un profondo senso del servizio alla cosa pubblica.

Una lettura giuridico-istituzionale l’ha data il prof. Agatino Cariola, ordinario di diritto costituzionale e pubblico nell’Università di Catania. Sottolineato, in tal senso, il ruolo che Uccellatore svolse nella redazione dei primi decreti attuativi dello Statuto Autonomo della Regione Siciliana. Un’opera che rivela non solo la sua finezza tecnica, ma anche una visione capace di tenere insieme il livello territoriale e quello nazionale, in un’ottica di ordinamento costituzionale integrato.

È seguita poi la testimonianza più personale e toccante: quella della professoressa Maria Giovanna Uccellatore, già dirigente del Ministero dell’Università e della Ricerca, che ha tracciato un ritratto inedito del padre, rivelandone il volto umano, affettuoso e riservato. Una narrazione che ha restituito un’immagine autentica di un uomo dedito tanto allo Stato quanto alla famiglia, capace di coniugare l’altissima responsabilità pubblica con un’etica personale fondata su semplicità, lealtà e coerenza morale.

“Volti e memorie di Biancavilla”

A concludere i lavori è stato Antonio Mursia, assegnista di ricerca presso la Sapienza Università di Roma, che ha raccolto e rielaborato i contenuti emersi, offrendo una sintesi delle tre relazioni. Mursia ha ricordato come l’iniziativa sia stata la prima della rassegna “Volti e memorie di Biancavilla”. Un progetto culturale che si propone di riscoprire e valorizzare le figure che hanno dato lustro alla comunità biancavillese nei più diversi ambiti della vita pubblica.

«Un incontro – sottolineano i promotori – che, ben oltre l’occasione commemorativa, si è rivelato una vera e propria lezione di civiltà istituzionale, di cultura giuridica e di memoria collettiva. E che segna solo l’inizio di un percorso destinato a lasciare un’impronta profonda nella coscienza cittadina».

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Iscrizione al Roc n. 36315
Direttore responsabile: Vittorio Fiorenza

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Nel rispetto dei lettori e a garanzia della propria indipendenza, "Biancavilla Oggi" non chiede e rifiuta finanziamenti, contributi, sponsorizzazioni, patrocini onerosi da parte del Comune di Biancavilla, di forze politiche e soggetti locali con ruoli di rappresentanza istituzionale o ad essi riconducibili.
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