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Mons. Antonino Raspanti ospite a Biancavilla: «Vi spiego cos’è la mistica»

L’autore, vice presidente della Cei e vescovo di Acireale, sarà nella parrocchia “Santissimo Salvatore”

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Sarà presentato martedì 15 marzo, alle ore 19, nella parrocchia Santissimo Salvatore di Biancavilla, il libro di monsignor Antonino Raspanti e Max Huot De Longchamp. Si intitola “Cos’è la mistica” ed è edito da “Citta Nuova” nella collana Prismi.

Dopo i saluti del sindaco Antonio Bonanno, introdurrà i lavori il prof. Mariano Indelicato, psicologo, psicoterapeuta e docente di psicometria delle neuroscienze cognitive all’Università di Messina.

Discuteranno con l’autore, vescovo di Acireale e vice presidente della Conferenza Episcopale Italiana, il prof. Francesco Pira, associato di Sociologia e delegato del Rettore alla Comunicazione dell’Università di Messina, ed il dottor Giuseppe Catalfo, medico psichiatra e psicoterapeuta.

Modera l’incontro, il prof. Mirko Trovato. Prevista la diretta Facebook sulla pagina della Diocesi di Acireale.

Il libro propone una fitta trama di testi, antichi, moderni e contemporanei, che si inseriscono in un’architettura solida. Viene offerto al lettore un approfondimento del fenomeno mistico attraverso la lettura antologica di alcuni testi paradigmatici della letteratura cristiana, che vengono analizzati e commentati.

L’autore, monsignor Raspanti, ha insegnato Teologia dogmatica e Spiritualità presso la Pontificia Università di Palermo. Ha firmato e curato numerose pubblicazioni, tra cui “La dolcezza del divino ospite” ed “Il riposo nella fatica”.

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Cultura

A Biancavilla “scaliari” è frugare e “a scalia” la fanno le forze dell’ordine

Ma in altre parti della Sicilia la parola (di origine latina, in prestito dal greco) ha pure altri significati

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Un proverbio che avremmo potuto leggere ne I Malavoglia, anche se nella forma del calco in italiano è Il gallo a portare e la gallina a razzolare. Come documenta, infatti, Gabriella Alfieri in uno studio dedicato ai proverbi ne I Malavoglia, Verga aveva prima aggiunto questo proverbio nel manoscritto e poi lo aveva espunto dall’opera andata in stampa. La forma siciliana del proverbio è quella registrata da Pitrè: lu gaddu a purtari e la gaddina a scaliari, il cui significato paremiologico vuole essere quello secondo cui “in una famiglia con piccoli guadagni e piccoli risparmi si riescono a fare cose di un certo valore”.

Il significato di “razzolare” che Verga attribuisce a scalïari è diverso da quello che si usa a Biancavilla, cioè “frugare”, per esempio scalïàricci i sacchetti a unu “frugare nelle tasche di qualcuno”, oppure scalïari a unu “perquisire qualcuno”; da qui la scàlia cioè la “perquisizione” operata dalle forze dell’ordine: mi poi scalïari i sacchetti, nan ci àiu mancu na lira, così in risposta a chi ci chiede de soldi.

In altre parti della Sicilia scalïari ha anche altri significati: a) “razzolare, delle galline”, b) “rovistare, rimuovere ogni cosa per cercare un oggetto”; c) “mettere tutto a soqquadro, scompigliare”; d) “rubare”; e) scalïàrisi i sacchetti vale scherzosamente “tirar fuori il denaro”, mentre f) scalïàrisi a testa significa “guastarsi la testa”, nell’Agrigentino. Nel Ragusano il modo di dire scalïari a mmerda ca feti, lett. “frugare lo sterco che puzza”, ha il significato figurato di “rimestare faccende poco pulite”. Dal participio derivano: scalïata e scalïatina “il razzolare”, “il frugare alla meglio”, “perquisizione sommaria”; scaliatu “riferito alla terra scavata e ammonticchiata dalla talpa”, nel Nisseno; in area catanese meridionale con peṭṛi scalïati si indica un “cumulo di pietre ammonticchiate alla rinfusa nei campi coltivati”.

“Scaliari” tra poesie e canzoni

Non molto adoperato nei romanzi di scrittori siciliani, scalïari è usato in poesie dialettali e in canzoni, come in questa dal titolo Tintatu dall’album Incantu, di un cantautore agrigentino che usa lo pseudonimo di Agghiastru:

Cunnucimi jusu chi l’occhi toi vasu

araciu tintatu di viriri jo.

Unn’è la to luci chi scuru cchiù ‘n sia

e scaliari a lu funnu un sia mai.

Parola d’origine latina, ma prestata dal greco

Molto interessanti, ai fini della comprensione dell’origine della parola, oltre a quello di “razzolare”, sono i significati di “zappare superficialmente” e di “rimuovere, ad esempio, la brace o il pane nel forno”. La nostra voce deriva da un latino parlato *SCALIDIARE, a sua volta prestito dal greco σκαλίζω (skalizō) “zappare, sarchiare”, voce presente nei dialetti greci di Calabria, coi significati di “zappettare”, “sarchiare”, “razzolare”, “attizzare il fuoco”, “frugare”.

Partendo, dunque, dal significato più antico, che è quello di “zappare”, si arriva, nell’ordine, a quelli di “sarchiare”, “zappare superficialmente”, “razzolare”, cioè raspare la terra con le zampe e il becco, e, infine, “frugare”, cioè cercare minuziosamente, con le mani o anche servendosi di un arnese, in ripostigli o in mezzo ad altri oggetti.

PER SAPERNE DI PIU’

“La Sicilia dei cento dialetti” di Alfio Lanaia

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