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Coronavirus, tampone negativo: una rassicurazione per Biancavilla e Paternò
Il sindaco Bonanno: «Sono felice per lei, la famiglia e le persone che sono state a stretto contatto con lei»
di VITTORIO FIORENZA
Negativo. Gli esiti del tampone effettuato sulla ragazza di Biancavilla hanno escluso il contagio da coronavirus. Una notizia che rassicura e che tutti avevano auspicato. Era stata la giovane stessa ad allertare i soccorsi, dopo avere accusato febbre e sintomi influenzali. Il sospetto di contagio era stato indicato dagli operatori sanitari che a Biancavilla si sono presentati a casa con tutte le speciali precauzioni e poi al “Cannizzaro”, dove non a caso hanno sottoposto la ragazza ad esame per verificare l’eventuale infezione da Covid-19.
Interviene il sindaco Antonio Bonanno: «La nostra concittadina sottoposta al tampone è risultata negativa. Non ha contratto il virus. Sono felice per lei, per la sua famiglia e per le persone che sono state a stretto contatto con lei. Ma tutto questo non modifica di una virgola il momento che stiamo vivendo e l’atteggiamento che siamo tenuti e mantenere. Non è questo il tempo in cui dobbiamo lasciarci sopraffare dalla psicosi e dalla paura, così come ho riscontrato in tanti in questi ultimi due giorni: dobbiamo essere rigidi con noi stessi per potere uscire tutti assieme da una circostanza imprevedibile che ci sta mettendo a durissima prova».
Ben prima che la notizia fosse stata pubblicata da tutte le testate locali (tranne una), allarme e preoccupazione serpeggiavano a Paternò (dove la ragazza lavora in un call center) e a Biancavilla (dove risiede). Allarme condito da fake news, messaggi audio di operatori della sanità locale su whatsapp e insistenti richieste di chiarimenti arrivate al telefono del sindaco Antonio Bonanno. Due comunità in grandissima apprensione.
Di fronte a questa situazione, quale è la funzione dei giornalisti? È deontologicamente doveroso verificare con fonti qualificate ogni dettaglio e riportare i fatti nella loro giusta dimensione ed effettiva proporzione. È quello che, con professionalità, hanno fatto i cronisti locali. Biancavilla Oggi, così come La Sicilia, il Corriere Etneo, Video Star, Tva, Etna News 24, Ciak Telesud ed altre testate (ognuna in totale autonomia) hanno svolto la loro funzione sociale per informare due comunità allarmate. Allarmate non dai giornali, ma da notizie incontrollate sui social che circolavano da ore e ore.
Un “tampone” non è notizia. Non c’è bisogno di qualche professorone per comprenderlo. Ma lo diventa se questo provoca apprensione di massa, a cui bisogna dare una risposta, scattando una istantanea dei fatti certi e verificati. Una situazione che ha imposto l’intervento della stampa, sussistendo tutti i presupposti dell’interesse pubblico: anche un pivellino di un giornaletto parrocchiale lo capirebbe.
Al contrario, un black out di informazione professionale sullo stato reale dei fatti –magari in attesa dell’esito del tampone– avrebbe soltanto ingigantito il polverone incontrollato di voci, secondo cui una ragazza infettata aveva a sua volta infettato un intero call center e gli invitati della festa a cui era stata. Queste erano le fantomatiche voci che tra Biancavilla e Paternò passavano con toni drammatici da uno smartphone all’altro, senza che i giornalisti avessero ancora pubblicato nulla. E di fronte a tutto questo, i cronisti dovrebbero stare zitti, negare l’informazione ai cittadini e aspettare 2-3 giorni gli esiti del tampone? Follia pura. Non è un caso che anche il sindaco Antonio Bonanno sia intervenuto per rendere noto ai cittadini il caso sospetto. E ha fatto bene.
Lo diciamo nell’assoluta certezza di avere agito nel rispetto delle norme deontologiche e della persona coinvolta ed in ossequio al diritto di cronaca, con buona pace di certi “sacerdoti” del giornalismo locale, che con un tesserino di pubblicista salgono in cattedra per tentare di dare improbabili lezioni a giornalisti professionisti, che un esame di Stato lo hanno sostenuto e superato brillantemente.
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Caporalato, il Gruppo Arena: «Il blitz non riguarda il nostro punto vendita»
Precisazione della società della Gdo in merito all’inchiesta sui lavoratori sfruttati al supermercato

«Il punto vendita oggetto delle indagini non è gestito direttamente dal gruppo Arena, ma un operatore commerciale affiliato che opera in autonomia giuridica e gestionale. Il modello di affiliazione commerciale, adottato su scala nazionale da molte insegne della Grande distribuzione organizzata, prevede che l’affiliato mantenga la piena responsabilità in materia di gestione del personale, contratti di lavoro e adempimenti retributivi e previdenziali».
Lo precisa una nota del gruppo Arena sulla inchiesta della Procura di Catania per caporalato ed autoriciclaggio che ha portato agli arresti domiciliari il rappresentante legale e del direttore commerciale di un supermercato di Biancavilla e al sequestro preventivo della società, il cui valore è stimato in 3 milioni di euro.
«Il gruppo Arena, da sempre impegnato a promuovere etica, legalità e rispetto delle normative vigenti – prosegue la nota – si dichiara totalmente estraneo ai fatti contestati e condanna fermamente ogni forma di sfruttamento del lavoro, esprimendo solidarietà ai lavoratori coinvolti. Rinnoviamo piena fiducia nell’operato della magistratura e delle forze dell’ordine, auspicando al più presto chiarezza sulla vicenda».
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Lavoratori sfruttati, intervengono Cgil, Cisl e Uil: «Un quadro drammatico»
Le sigle sindacali parlano di episodi inquietanti con profitti al vertice e disperazione alla base

Parole di condanna per gli episodi di sfruttamento accertati in un supermercato di Biancavilla ai danni dei lavoratori. Le esprimo le organizzazioni sindacali, che allo stesso tempo plaudono all’inchiesta della Procura di Catania, culminata con l’arresto del titolare e del direttore commerciale, eseguito dalla Guardia di finanza.
La Cgil sarà parte civile
Il segretario di Cgil Sicilia, Alfio Mannino, annuncia la costituzione di parte civile nel processo. «Gli arresti di Biancavilla – dice – fanno emergere un quadro drammatico, purtroppo diffuso, che vede profittatori senza scrupoli fare leva sullo stato di bisogno dei lavoratori per imporre condizioni indegne di un paese civile. Va detto che operazioni di questo genere sono possibili dalla legge 199 sul caporalato. Per il suo varo la Cgil ha lottato. Legge che ha introdotto l’indice dello stato di bisogno del lavoratore. Inoltre si evidenzia come le norme che rendono in lavoro precario aprano la strada allo sfruttamento dei lavoratori, all’illegalità e alle attività criminose».
Di «sistema ipocrita, che alimenta i profitti al vertice e la disperazione alla base» parlano i segretari della Camera del lavoro di Catania, Carmelo De Caudo, e della Filcams di Catania, Davide Foti. «Da anni – aggiungono – denunciamo le pratiche dei grandi competitor della grande distribuzione che, attraverso i sistemi di franchising e appalti a cascata, hanno creato un sottobosco di illegalità e sfruttamento».
Cisl: «Soggetti senza scrupoli»
Maurizio Attanasio, segretario della Cisl catanese propone «un comitato permanente prefettizio interforze, composto da forze dell’ordine, Inps, Inail, Ispettorato del lavoro, organizzazioni sindacali e anche dalle associazioni datoriali e dai consulenti del lavoro per affrontare efficacemente tutte le forme di lavoro povero effetto dello sfruttamento del lavoro e del caporalato». Attanasio sottolinea l’esistenza di «intere sacche del mercato del lavoro in cui i lavoratori sono sfruttati e ricattati da soggetti senza scrupoli».
Uil: «Episodi inquietanti»
Intervento anche da parte dei segretari di Uil e UilTucs Catania, Enza Meli e Giovanni Casa: «Inquietante leggere di neoassunti costretti a percepire un euro e 60 centesimi l’ora, obbligati a lavorare 60 ore settimanali. Inquietante, ma non sorprendente perché purtroppo non siamo di fronte un episodio senza precedenti».
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15 Marzo 2020 at 15:30
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