Cronaca
Morto a 84 anni “Pippo” Alleruzzo, boss del “Triangolo della morte”

Giuseppe “Pippo” Alleruzzo, storico boss di Paternò, è morto nella sua casa di contrada Porrazzo all’età di 84 anni, a causa di una malattia. Si trovava ai “domiciliari” nella stessa casa in cui nel 2012 i carabinieri lo avevano arrestato per il ritrovamento di un arsenale d’armi e 250 kg di sostanza stupefacente.
Ex mafioso legato al clan Santapaola, Alleruzzo si era pentito dopo l’omicidio del figlio Santo e della moglie, Lucia Anastasi, avvenuti nell’estate del 1987. La sua collaborazione con la giustizia che ha permesso di ricostruire l’attività delle cosche tra Paternò, Adrano e Biancavilla è stata però discontinua. Quando venne arrestato nel 2012, infatti, secondo gli investigatori voleva riorganizzare il proprio clan.
Sorprese allora l’arresto di Giuseppe Alleruzzo, che a 77 anni, invece di godersi la pensione, si era rimesso in pista. Voleva tornare a fare il capomafia. Si vede che essere boss ce l’aveva nel sangue e che aveva bisogno di quella scarica di adrenalina come fosse una sniffata.
Così ricostruisce il suo profilo, il sito de “La Sicilia.it”.
Era il 31 luglio 1975 e quell’uomo, Giuseppe Alleruzzo, era conosciuto non come boss, bensì come personaggio assai attivo nel settore redditizio delle corse clandestine di cavalli. Si muoveva assieme ai fratelli Catena, Angelo e Giuseppe (ma ce n’era anche un terzo, Orazio, che rimase ferito), che qualcuno, quel giorno, in via Scala Vecchia a Paternò, decise di seppellire sotto una tempesta di piombo.
Fu quella la scintilla che fece divampare la faida non soltanto a Paternò, ma anche nei centri vicini di Adrano, Biancavilla, Santa Maria di Licodia, Scordia e Palagonia. E Alleruzzo, da semplice luogotenente, si ritrovò a gestire in prima linea quelle corse clandestine, in aperta concorrenza con tale Orazio Conigliello, specialista anche lui del settore delle corse e «persona» di Salvatore Rapisarda, nonché di Federico Antonino Morabito («Nino Lima) e di Vito Arena («Vito ‘u piscaturi»).
Per il duplice omicidio dei fratelli Catena, la Corte d’Assise di Catania condannò il Rapisarda a 26 anni di reclusione, pena confermata successivamente anche in Appello. Da lì la lunga scia di sangue con le uccisioni, fra gli altri, di amici e familiari del Morabito e del Rapisarda, nonché con l¿omicidio di Antonio Scalisi, figura autorevole del panorama criminale adranita, legato ai Laudani di Catania ed a quell’Alfio Ferlito, altro boss catanese, fatto ammazzare da Nitto Santapaola, assieme alla scorta di carabinieri, nell’attentato sulla circonvallazione di Palermo.
Alleruzzo si ritrovava in piena ascesa, si circondava di personaggi dall’alto spessore criminale e sfruttava il rapporto di parentela col cognato (i due avevano sposato le sorelle Anastasi) Francesco Augusto Ferrera, «Cavadduzzu», cugino di Nitto Santapaola.
Mentre Alleruzzo si alleava con i Pellegriti di Adrano, dall’altra parte si creava un sodalizio fra le famiglie Morabito, Rapisarda, Laudani e Scalisi. L’unione, in questo caso, non fece la forza: Alleruzzo, con i Pellegriti e i Gurgone (di Biancavilla), ne venne fuori vincitore. Ciò fino a quando nell’87, a un anno dall’arresto sia di Pippo Alleruzzo sia di Giuseppe Pellegriti, non vennero uccisi la moglie di Alleruzzo – Lucia Anastasi, ammazzata sui gradini dell’uscio di casa mentre prendeva il fresco in una giornata torrida – e il figlio Santo.
È a quel punto, davanti al cadavere della moglie cui l’uomo rende l’ultimo saluto, che l’ormai cinquantaduenne boss decide di collaborare con la giustizia.
Una collaborazione che ha permesso di infliggere duri colpi ad ex amici e ad avversari e che ha pure consentito al boss, però, di abbandonare il carcere nel 2009. Ciò mentre, su precisi input delle famiglie di Catania, i gruppi contrapposti della zona decidevano di siglare un patto di non belligeranza.
La tranquillità, nonostante quanto passato, non deve aver fatto parte del Dna di Pippo Alleruzzo che, nonostante gli acciacchi, aveva provato a tornare in pista.

Cronaca
Aggredisce e minaccia la madre: «Ora t’ammazzo», arrestato un 35enne
Intervento dei carabinieri, a seguito di un’accorata richiesta di aiuto di una donna maltrattata

La telefonata ai carabinieri è arrivata da una casalinga 63enne. Un’accorata richiesta di aiuto. Ancora una volta, la donna era stata picchiata dal figlio, che pretendeva denaro per l’acquisto di alcol, droga o giocare ai video poker. Immediato l’intervento dei militari: arrestato un 35enne per maltrattamenti contro familiari ed estorsione.
Appena arrivati nell’abitazione, i carabinieri hanno trovato la donna attorniata dai familiari, marito e tre figli, tra cui il 35enne. La donna, che sin dà subito è apparsa emotivamente provata, pur non volendo affidarsi alle cure dei sanitari, nonostante mostrasse i segni delle percosse, soprattutto sulle braccia e sul collo, ha comunque deciso di confidarsi con i militari, raccontando quanto appena accaduto.
Dalla ricostruzione dei fatti, è quindi emerso come il figlio avrebbe da lei preteso l’ennesima somma di denaro, questa volta di 30 euro, che sarebbe riuscito ad ottenere solo dopo averla aggredita. In quel frangente, provvidenziale sarebbe stato l’intervento del padre 70enne, che in difesa della moglie, sarebbe intervenuto bloccando l’uomo.
Il 35enne, a quel punto, soddisfatto, dopo essere uscito per alcune ore, sarebbe rincasato solo in serata, completamente ubriaco, dando il via ad un nuovo litigio. Dopo aver fatto cadere una bottiglia di birra sul pavimento, si sarebbe infatti nuovamente scagliato contro la povera madre, dandole la colpa dell’accaduto. La reazione dell’uomo sarebbe stata minacciosa: «Colpa tua se la birra mi è caduta a terra, ora t’ammazzo». E poi si sarebbe scagliato contro una porta, danneggiandola insieme ad altre suppellettili.
Effettivamente, anche alla presenza dei militari, il 35enne non si è calmato, proseguendo anzi con le minacce alla madre: «Appena torno (dal carcere) t’ammazzo».
La donna aveva già presentato una denuncia nei confronti del figlio per analoghi fatti. Motivo per cui, i carabinieri hanno stavolta arrestato il 35enne, trasferendolo nel carcere di piazza Lanza, a Catania.
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