Storie
Lettera del partigiano biancavillese: «Io, processato come un terrorista»
Benedetto Viaggio, da Biancavilla a Genova, dove fu nel Cnl e torturato dai fascisti

di NINO LONGO
Recentemente, uno studioso genovese della Resistenza, Lorenzo Torre, autore, tra l’altro, del libro “Bicicletta partigiana”, ci ha ricordato che nella lista dei partigiani genovesi c’era un biancavillese: Benedetto Viaggio.
Figlio di un noto avvocato biancavillese, Giuseppe Viaggio, impegnato politicamente con il Partito Popolare, partì da giovane per Genova, dove studiò e poi lavorò presso il Comune. Denunciato da una spia, fu catturato dalla polizia politica e processato.
Scrive Benedetto Viaggio al fratello e alle sorelle in una lettera del 26 maggio 1945: «Del mio arresto e del processo che ne seguì, se ne occuparono tanto i giornali locali e perfino “La Stampa” di Torino e il “Corriere della Sera”; essi curavano in ogni minuta parte il dibattito nelle udienze del 22, 23, 24, 25 e 26 agosto 1944. Al processo gli imputati eravamo in 31 (terroristi, così ci chiamavano), giudicati dal Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato. Io venni assolto per insufficienza di prove e con tutto ciò, assieme agli altri, condannati con pene varie dai cinque ai 29 anni di reclusione. Venni tradotto a Bolzano, in un campo di lavoro, ove di fame e di sevizie ne provammo: dal 12 settembre 1944 al 29 aprile 1945… Dei trentuno solo uno è stato condannato alla pena capitale, per quanto il Pubblico Ministero l’avesse chiesta per la maggioranza».
Egli fu torturato ma non parlò. Fu liberato dai partigiani. Dopo la Liberazione fu Presidente del Comitato di Liberazione Nazionale insediato nel Comune di Genova.
Debilitato nel fisico, morì il 22 aprile 1947, senza poter rivedere la sua Biancavilla e la vigna di famiglia, dove sperava di stare con suo fratello Vincenzo e le sorelle Grazia, Agata, Clementina e Francesca. A Biancavilla vive ancora la figlia, la maestra Cettina Viaggio.
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Storie
Vent’anni senza Placido Stissi, il figlio Giuseppe: «Onorati di un papà così»
A “Biancavilla Oggi” il ricordo commosso: «Non ci ha visto crescere, ma siamo certi che veglia su di noi»

Vent’anni fa la morte di Placido Stissi. Il suo ricordo è intatto. Il suo gesto resta una testimonianza del suo altruismo. Dipendente della Provincia di Catania e stretto collaboratore del presidente Nello Musumeci e poi di Raffaele Lombardo, Stissi stava andando al lavoro. In un punto della tangenziale di Catania, sotto la pioggia battente, accostò e fermò la sua macchina. Lo fece per prestare aiuto ad un giovane automobilista rimasto in panne nella corsia opposta. Mentre attraversa la carreggiata, però, un veicolo lo travolse. Morì a 41 anni, lasciando la moglie Anna Maria e i tre figli, ancora minorenni: Giuseppe, Gessica e Denis.
Il ricordo del suo primogenito è intriso di affetto e orgoglio. «Sono passati 20 lunghi anni, mi fa onore, ci rende onorati che – dice Giuseppe a Biancavilla Oggi – dopo tutto questo tempo ancora la gente ricordi il gesto eroico che mio padre ha fatto. Non ha riflettuto più di una volta a scendere dalla propria auto e a soccorrere quel ragazzo rimasto in panne e con l’auto capovolta. Non ha pensato alle conseguenze che potevano succedere in quella fatidica giornata piovosa. Come poi effettivamente accaduto, lasciando noi figli piccoli e mia mamma».
Chi ha conosciuto Placido, a Biancavilla, può confermare che le parole del figlio descrivano esattamente quei modi di sincera disponibilità nei confronti di chiunque.
«Mio papà era fatto così. Sempre premuroso. Sempre cordiale e generoso con tutti. L’amico degli amici. Sempre pronto ad aiutare tutti. Un angelo volato in cielo troppo giovane e troppo presto. Oggi è raro fare e ricevere gesti del genere. Soprattutto noi giovani – sottolinea Giuseppe – dovremmo prendere esempio da questi ormai rari gesti di altruismo verso il prossimo. Non si pensa altro che all’invidia e alla cattiveria, invece dovremmo trovare il modo per riportare i bei gesti di solidarietà. Non dovremmo dimenticare che potremmo avere bisogno, anche noi, di un semplice aiuto, una carezza, una mano che ci venga posta sulla spalla o essere ascoltati».
«Noi figli – conclude Giuseppe – siamo veramente onorati di avere avuto un padre così. Mia mamma lo è del marito che ha avuto. Certo, il dolore resta, come il rammarico che ci abbia lasciati così presto senza vederci crescere ed essere al nostro fianco. Ma siamo sicuri che ci veglia da lassù e guida i suoi nipoti nella migliore strada».
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