Cultura
“Il mio Dio è nero”, la presentazione del romanzo al Circolo Castriota


L’ingresso del circolo Castriota di Biancavilla
“Il mio Dio è nero”. Il romanzo di Nicoletta Bona, pubblicato da Aulino Editore, sarà presentato venerdì 13 gennaio, alle 18.30, al “Circolo Castriota” di Biancavilla. Sarà presente l’autrice, introdotta da Giuseppe Monforte, presidente del circolo. Interverranno Claudia Barcellona e Pino Pesce. L’attrice Agata Longo leggere alcuni brani del libro. Previsto un intermezzo musicale con la pianista Maria Schillaci ed il soprano Margherita Aiello.
«L’arte non si può insegnare, né imparare; la tecnica sì, il colore sì, l’anatomia delle cose sì, il resto no! Il mare, il cielo, lo stelo di un fiore o un albero spoglio, sono creature informi che nascono dentro di te, le realizzi con le mani, ma le crei col cuore. È il potere straordinario di visione che è in noi a far assumere forme concrete alle astrazioni».
È questo il pensiero imperturbabile di Sara, una pittrice che sfida la vita usuraia con la sua arte, trasformando le brutture del mondo in bellezza da vivere e di cui inebriarsi, nelle sue tele sfavillanti di colori e odoranti di profumi ed essenze che stuzzicano i sensi fino al tormento della gioia.
Sara difende la sua arte e non la lascia deturpare dalle meschinità degli approfittatori assatanati di gloria, che incrociano il suo impervio cammino e non scende a compromessi neppure con la vita stessa che le ha rubato tutto ma non le ruberà la dignità: «L’arte consiste nella capacità di cogliere l’immediatezza di un attimo speciale che provi e che vuoi esternare per renderlo vivo e immortale. Tu vuoi distruggermi le illusioni, ma gli ideali no, quelli non li tocchi! L’anima dell’artista non si vende e non si compra e soprattutto non si richiede a comando».
L’autrice ci regala una storia emozionante e fortissima, intrecciata di vicende e colpi di scena che stimoleranno il lettore a proseguire questo breve viaggio dentro l’anima dei personaggi in cui, forse, riconoscerà chi già conosce e amerà chi incontra per la prima volta.
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Cultura
A Biancavilla “scaliari” è frugare e “a scalia” la fanno le forze dell’ordine
Ma in altre parti della Sicilia la parola (di origine latina, in prestito dal greco) ha pure altri significati


Un proverbio che avremmo potuto leggere ne I Malavoglia, anche se nella forma del calco in italiano è Il gallo a portare e la gallina a razzolare. Come documenta, infatti, Gabriella Alfieri in uno studio dedicato ai proverbi ne I Malavoglia, Verga aveva prima aggiunto questo proverbio nel manoscritto e poi lo aveva espunto dall’opera andata in stampa. La forma siciliana del proverbio è quella registrata da Pitrè: lu gaddu a purtari e la gaddina a scaliari, il cui significato paremiologico vuole essere quello secondo cui “in una famiglia con piccoli guadagni e piccoli risparmi si riescono a fare cose di un certo valore”.
Il significato di “razzolare” che Verga attribuisce a scalïari è diverso da quello che si usa a Biancavilla, cioè “frugare”, per esempio scalïàricci i sacchetti a unu “frugare nelle tasche di qualcuno”, oppure scalïari a unu “perquisire qualcuno”; da qui la scàlia cioè la “perquisizione” operata dalle forze dell’ordine: mi poi scalïari i sacchetti, nan ci àiu mancu na lira, così in risposta a chi ci chiede de soldi.
In altre parti della Sicilia scalïari ha anche altri significati: a) “razzolare, delle galline”, b) “rovistare, rimuovere ogni cosa per cercare un oggetto”; c) “mettere tutto a soqquadro, scompigliare”; d) “rubare”; e) scalïàrisi i sacchetti vale scherzosamente “tirar fuori il denaro”, mentre f) scalïàrisi a testa significa “guastarsi la testa”, nell’Agrigentino. Nel Ragusano il modo di dire scalïari a mmerda ca feti, lett. “frugare lo sterco che puzza”, ha il significato figurato di “rimestare faccende poco pulite”. Dal participio derivano: scalïata e scalïatina “il razzolare”, “il frugare alla meglio”, “perquisizione sommaria”; scaliatu “riferito alla terra scavata e ammonticchiata dalla talpa”, nel Nisseno; in area catanese meridionale con peṭṛi scalïati si indica un “cumulo di pietre ammonticchiate alla rinfusa nei campi coltivati”.
“Scaliari” tra poesie e canzoni
Non molto adoperato nei romanzi di scrittori siciliani, scalïari è usato in poesie dialettali e in canzoni, come in questa dal titolo Tintatu dall’album Incantu, di un cantautore agrigentino che usa lo pseudonimo di Agghiastru:
Cunnucimi jusu chi l’occhi toi vasu
araciu tintatu di viriri jo.
Unn’è la to luci chi scuru cchiù ‘n sia
e scaliari a lu funnu un sia mai.
Parola d’origine latina, ma prestata dal greco
Molto interessanti, ai fini della comprensione dell’origine della parola, oltre a quello di “razzolare”, sono i significati di “zappare superficialmente” e di “rimuovere, ad esempio, la brace o il pane nel forno”. La nostra voce deriva da un latino parlato *SCALIDIARE, a sua volta prestito dal greco σκαλίζω (skalizō) “zappare, sarchiare”, voce presente nei dialetti greci di Calabria, coi significati di “zappettare”, “sarchiare”, “razzolare”, “attizzare il fuoco”, “frugare”.
Partendo, dunque, dal significato più antico, che è quello di “zappare”, si arriva, nell’ordine, a quelli di “sarchiare”, “zappare superficialmente”, “razzolare”, cioè raspare la terra con le zampe e il becco, e, infine, “frugare”, cioè cercare minuziosamente, con le mani o anche servendosi di un arnese, in ripostigli o in mezzo ad altri oggetti.
PER SAPERNE DI PIU’
“La Sicilia dei cento dialetti” di Alfio Lanaia
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