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“I Malavoglia” nei salotti fiorentini e quel rapporto tra Verga e Bruno

L’associazione “Biancavilla Documenti” alla conversazione presso la Società di Storia Patria

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Una conversazione su “Verga, Antonio Bruno e altri letterati” nella prestigiosa sede della Società di Storia Patria per la Sicilia orientale, a Catania. L’incontro – il primo di un ciclo organizzati dalla Fondazione Verga presieduta da Gabriella Alfieri – ha visto quale relatrice Margherita Verdirame.

La docente universitaria ha tratteggiato in modo acuto ed attento la figura dello scrittore vizzinese, mettendo quindi in risalto le relazioni esistenti con i giovani letterati del tempo, che vedevano nel Verga un “Maestro” da guardare con rispetto e riverenza.

A questi giovani scrittori, anche se in parte propugnavano idee antitetiche, l’esponente del Verismo dava riscontro con lettere cortesi. Particolarmente interessante, il rapporto tra Bruno e Verga, evidenziato da un carteggio epistolare intercorso.

Nel suo soggiorno a Firenze, Bruno portò con sé “Mastro don Gesualdo” e “I Malavoglia “, facendo circolare il nome dello scrittore verista quale presenza importante e imponente nel panorama letterario europeo, suscitando un forte brusio nei salotti fiorentini.

All’incontro presenti tra gli altri la prof.ssa Rosa Maria Monastra, relatrice a Biancavilla nel 1991 in occasione del centenario della nascita del Bruno, e Antonio Zappalà e Salvuccio Furnari, in rappresentanza dell’Associazione Culturale “Biancavilla Documenti”.

Nel suo intervento, Furnari ha rilevato, con piacere, di apprezzare l’attenzione del mondo accademico e culturale catanese nei confronti del poeta e letterato biancavillese.

L’Associazione metterà a disposizione degli organizzatori dell’evento, alcune copie della ristampa anastatica, pubblicata nel 2000 da Andrea Livi Editore, della rivista futurista “Pickwick” del 1915, coordinata da Antonio Bruno. Iniziativa editoriale promossa da “Biancavilla Documenti” con un comitato composto dagli stessi Furnari e Zappalà e da Salvo D’Asero, Vittorio Fiorenza e Placido Sangiorgio.

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A Biancavilla “scaliari” è frugare e “a scalia” la fanno le forze dell’ordine

Ma in altre parti della Sicilia la parola (di origine latina, in prestito dal greco) ha pure altri significati

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Un proverbio che avremmo potuto leggere ne I Malavoglia, anche se nella forma del calco in italiano è Il gallo a portare e la gallina a razzolare. Come documenta, infatti, Gabriella Alfieri in uno studio dedicato ai proverbi ne I Malavoglia, Verga aveva prima aggiunto questo proverbio nel manoscritto e poi lo aveva espunto dall’opera andata in stampa. La forma siciliana del proverbio è quella registrata da Pitrè: lu gaddu a purtari e la gaddina a scaliari, il cui significato paremiologico vuole essere quello secondo cui “in una famiglia con piccoli guadagni e piccoli risparmi si riescono a fare cose di un certo valore”.

Il significato di “razzolare” che Verga attribuisce a scalïari è diverso da quello che si usa a Biancavilla, cioè “frugare”, per esempio scalïàricci i sacchetti a unu “frugare nelle tasche di qualcuno”, oppure scalïari a unu “perquisire qualcuno”; da qui la scàlia cioè la “perquisizione” operata dalle forze dell’ordine: mi poi scalïari i sacchetti, nan ci àiu mancu na lira, così in risposta a chi ci chiede de soldi.

In altre parti della Sicilia scalïari ha anche altri significati: a) “razzolare, delle galline”, b) “rovistare, rimuovere ogni cosa per cercare un oggetto”; c) “mettere tutto a soqquadro, scompigliare”; d) “rubare”; e) scalïàrisi i sacchetti vale scherzosamente “tirar fuori il denaro”, mentre f) scalïàrisi a testa significa “guastarsi la testa”, nell’Agrigentino. Nel Ragusano il modo di dire scalïari a mmerda ca feti, lett. “frugare lo sterco che puzza”, ha il significato figurato di “rimestare faccende poco pulite”. Dal participio derivano: scalïata e scalïatina “il razzolare”, “il frugare alla meglio”, “perquisizione sommaria”; scaliatu “riferito alla terra scavata e ammonticchiata dalla talpa”, nel Nisseno; in area catanese meridionale con peṭṛi scalïati si indica un “cumulo di pietre ammonticchiate alla rinfusa nei campi coltivati”.

“Scaliari” tra poesie e canzoni

Non molto adoperato nei romanzi di scrittori siciliani, scalïari è usato in poesie dialettali e in canzoni, come in questa dal titolo Tintatu dall’album Incantu, di un cantautore agrigentino che usa lo pseudonimo di Agghiastru:

Cunnucimi jusu chi l’occhi toi vasu

araciu tintatu di viriri jo.

Unn’è la to luci chi scuru cchiù ‘n sia

e scaliari a lu funnu un sia mai.

Parola d’origine latina, ma prestata dal greco

Molto interessanti, ai fini della comprensione dell’origine della parola, oltre a quello di “razzolare”, sono i significati di “zappare superficialmente” e di “rimuovere, ad esempio, la brace o il pane nel forno”. La nostra voce deriva da un latino parlato *SCALIDIARE, a sua volta prestito dal greco σκαλίζω (skalizō) “zappare, sarchiare”, voce presente nei dialetti greci di Calabria, coi significati di “zappettare”, “sarchiare”, “razzolare”, “attizzare il fuoco”, “frugare”.

Partendo, dunque, dal significato più antico, che è quello di “zappare”, si arriva, nell’ordine, a quelli di “sarchiare”, “zappare superficialmente”, “razzolare”, cioè raspare la terra con le zampe e il becco, e, infine, “frugare”, cioè cercare minuziosamente, con le mani o anche servendosi di un arnese, in ripostigli o in mezzo ad altri oggetti.

PER SAPERNE DI PIU’

“La Sicilia dei cento dialetti” di Alfio Lanaia

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