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Cronaca

Ammazzò il marito Alfio Longo Condannata a 14 anni di carcere

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Alfio Longo con la moglie Enza Ingrassia in una iniziativa del gruppo di preghiera che frequentavano

Nell’agosto del 2015 il delitto alle Vigne. Oggi la sentenza nei confronti di Enza Ingrassia. Oltre allo sconto di pena dovuto al rito abbreviato, riconosciuta alla donna l’attenuante di avere agito quella notte in condizione d’ira.

 

di Vittorio Fiorenza

Una condanna a 14 di reclusione per Enza Ingrassia per omicidio aggravato dallo stato di coniugio. È questa la sentenza del Giudice per le udienze preliminari, Rosa Alba Recupido, nei confronti della casalinga di Biancavilla che uccise il marito, Alfio Longo, nell’agosto del 2015, nella loro villetta di zona Vigne.

Alla Ingrassia, che si trova rinchiusa in una struttura di Mascalucia, sono state riconosciute le attenuanti generiche e l’attenuante dello stato d’ira, oltre a beneficiare dello sconto di pena di un terzo dovuto al rito abbreviato. Per le motivazioni, bisognerà aspettare sessanta giorni.

Il pubblico ministero, Raffaella Vinciguerra, nell’udienza dello scorso novembre, aveva chiesto una pena di 13 anni e 4 mesi di reclusione.

L’imputata è stata assistita dall’avv. Pilar Castiglia, mentre le parti civili, rappresentate dalla sorella e dai nipoti della vittima, sono state assistite dagli avv. Alfina D’Oca e Vincenzo Nicolosi.

L’omicidio avvenne nella villetta dei due coniugi di contrada “Crocifisso”. In un primo momento, Ingrassia inscenò l’assalto di sconosciuti nel più classico dei copioni da “Arancia meccanica”. Molte le incongruenze e le contraddizioni di fronte alle domande pressanti dei carabinieri e degli inquirenti.

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La fiction della donna si concluse 24 ore dopo con la piena confessione: «Sono stata io ad uccidere mio marito, ero stanca di subire violenze ed umiliazioni».

L’omicidio si consumò nella stanza da letto. Ingrassia attese che il marito si addormentasse, dopo una serata di litigi, per poi colpirlo ripetutamente alla testa con un ciocco di legno e lasciarlo disteso sul letto con la faccia trasformata in una maschera di sangue.

«Una gelida assassina», titolarono i giornali e i telegiornali di tutta Italia, ribaltando e correggendo la cronaca del fantomatico assalto dei rapinatori stranieri del giorno prima. Furono Biancavilla Oggi e il quotidiano “La Sicilia” a tratteggiare il quadro più completo, raccontando in esclusiva anche i maltrattamenti subiti dalla donna in quarant’anni di vita matrimoniale (fin da subito tenuti in considerazione dalla Procura) e svelando la doppia personalità di Alfio Longo: uomo stimato in paese ed impegnato in chiesa, violento e manesco tra le quattro mura di casa.

Quella casa in cui, gli investigatori trovarono pure ingenti somme di denaro, dosi e piante di marijuana, foto e contatti di pregiudicati biancavillesi, oltre ad armi, tra cui una pistola risultata rubata. Ma questo è un capitolo a parte, oggetto di un’indagine parallela su cui gli inquirenti tentano e sperano di aprire uno squarcio.

IL DOSSIER

Dalla messinscena della rapina alla confessione del delitto

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1 Comment

1 Comment

  1. Marco

    22 Febbraio 2017 at 9:43

    Ogni tanto la giustizia funziona …se la legge viene applicata correttamente.
    Giustizia è stata fatta.

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Cronaca

In auto contro lo scooter: non è stato un incidente, ma un atto di “vendetta”

Diciottenne di Biancavilla denunciato per lesioni e atti persecutori ai danni di un coetaneo di Adrano

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Ha provocato un incidente stradale con l’intento di “vendicarsi” di un acceso diverbio avvenuto nei mesi scorsi. Un biancavillese di 18 anni è stato così denunciato dalla Polizia di Stato. Il giovane ha architettato il piano perché non si era rassegnato alla lite per futili motivi con una ragazzo 17enne di Adrano.

Il minorenne stava percorrendo in scooter via della Regione, ad Adrano. Proprio nei pressi della sede del Commissariato di Polizia era stato tamponato dall’auto guidata dal 18enne, finendo a terra, con una gamba bloccata sotto il peso dello scooter. Per tutta risposta, il giovane biancavillese, anziché prestare soccorso, è sceso dall’auto e, dopo una rincorsa, ha sferrato un violento calcio contro il ragazzino.

Una pattuglia di poliziotti ha assistito alla scena e ha fermato l’aggressione ancora in corso, bloccando il 18enne e prestando le prime cure al minorenne. Dopo qualche minuto, è arrivato il padre della vittima, accompagnata poi al pronto soccorso dell’ospedale “Maria Santissima Addolorata” di Biancavilla. La prognosi è stata indicata in sette giorni.

I poliziotti del Commissariato hanno compiuto dettagliati accertamenti per ricostruire la dinamica dei fatti e, dopo le attività di indagine, sono risaliti alle reali cause dell’aggressione.

L’origine dei rapporti conflittuali tra i due sembra essere legata ad un alterco avvenuto per futili motivi qualche mese addietro, con il 18enne che, in più occasioni, avrebbe tentato di “vendicarsi dell’affronto patito”. Il giovane è stato denunciato, in stato di libertà, per lesioni pluriaggravate ed atti persecutori.

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Cronaca

Così i dipendenti venivano intimoriti: «Attenti, il filo si può spezzare»

Lo sfruttamento dei lavoratori del supermercato, i retroscena di un’inchiesta avviata nel 2023

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«Un quadro inquietante di sfruttamento lavorativo». Dietro i volti gentili e sorridenti di banconisti, cassieri, addetti agli scaffali e magazzinieri si celava una realtà ben diversa. Nell’ordinanza con cui il Gip del Tribunale di Catania, Maria Ivana Cardillo, ha disposto le misure cautelari, vengono messi in evidenza gli elementi che hanno portato all’arresto di Luca Bonomo e Vincenzo Strano, rispettivamente titolare e direttore commerciale del supermercato di via Arti e Mestieri, a Biancavilla. Il marchio è Decò, ma la gestione è autonoma e indipendente dal Gruppo Arena. L’indagine, eseguita dalla Guardia di finanza di Paternò, è culminata anche con il sequestro preventivo dell’azienda e la nomina di un amministratore giudiziario.

Dalle quindici pagine dell’atto emergono – come è in grado di raccontare Biancavilla Oggi – episodi di sfruttamento: ferie e straordinari non pagati, stipendi da fame, in alcuni casi persino inferiori a 2 euro l’ora. Evidenziato anche lo stato di profondo bisogno in cui versavano i dipendenti, costretti ad accettare orari e retribuzioni falsificati. E poi, una forte sudditanza psicologica. Secondo il Gip, non si tratta di «una mera inosservanza di singole disposizioni normative, bensì… di un disegno criminoso».

Quando le verifiche amministrative e i controlli dei militari si sono intensificati, le due figure apicali hanno “avvertito” i dipendenti. Una lavoratrice ha riferito le indicazioni impartite da Strano: «Mi ha incalzata dicendomi che, se tenevo al mio lavoro, già sapevo cosa avrei dovuto rispondere… mi sono sentita sotto pressione». Stesso avvertimento sarebbe stato rivolto a tutto il personale, convocato per una riunione. Indicazioni ribadite poi da Bonomo: «Ci disse che, a seconda delle dichiarazioni rilasciate da noi dipendenti, il filo si sarebbe potuto spezzare».

Il filo, in realtà, si era spezzato già nel momento in cui le Fiamme Gialle avevano messo piede nel supermercato. Tutto era partito non da una denuncia, ma da un semplice controllo amministrativo dei finanzieri paternesi, nel novembre 2023. Già in quell’occasione erano emerse violazioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Da lì, la necessità di ulteriori approfondimenti su retribuzioni, orari, straordinari e altri aspetti contrattuali. Nella prima fase era stato sentito il commercialista e consulente del lavoro dell’azienda.

L’inchiesta si era quindi concentrata sul legale rappresentante della società per «evidenti indizi di sfruttamento lavorativo desumibili da erogazioni di retribuzioni evidentemente difformi rispetto alle ore lavorate». Il lavoro investigativo era proseguito con l’audizione dei dipendenti. Tra questi, il ruolo chiave era quello del direttore del punto vendita, definito dagli inquirenti la “longa manus” del titolare. Una persona – secondo la Procura – perfettamente consapevole delle condizioni lavorative offerte al personale. Anzi, durante i colloqui con chi aspirava ad un’assunzione, l’uomo metteva subito in chiaro i vincoli a cui bisognava sottostare.

«Lo stato di bisogno – ha sottolineato il procuratore Francesco Curcio – ha inciso sulla libertà di autodeterminazione, inducendo i lavoratori ad accettare condizioni particolarmente svantaggiose e illecite, non riconosciute né dalla contrattazione collettiva né dalla normativa giuslavoristica».

Secondo la Guardia di finanza, la mancata regolarizzazione delle retribuzioni ha permesso al punto vendita di ottenere un risparmio illecito di oltre 2,7 milioni di euro, tra stipendi non versati e contributi omessi.

I due indagati – scrive ora il Gip – potrebbero avvicinare i dipendenti, sfruttando la loro vulnerabilità, per indurli a tacere o a fornire versioni alterate dei fatti. C’è, dunque, il rischio di reiterazione del reato e inquinamento delle prove. Da qui, l’applicazione degli arresti domiciliari, con pesanti contestazioni: intermediazione illecita, sfruttamento del lavoro e autoriciclaggio.

Il supermercato, comunque, rimane aperto. L’attività va avanti. La presenza dell’amministratore giudiziario, il dott. Luciano Modica, nominato dall’autorità giudiziaria, rappresenta la garanzia massima per il pieno rispetto, d’ora in avanti, dei diritti dei lavoratori.


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