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Editoriali

Nel Consiglio del 15-1, l’opposizione va garantita (anche) tramite… una firma

Ma i numeri impietosi non siano un alibi di inconcludenza: la democrazia cittadina non è in pericolo

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© Foto Biancavilla Oggi

La nuova geografia consiliare di Biancavilla, tracciata dopo l’esito plebiscitario a favore di Antonio Bonanno, ha una mappa senza precedenti: 15 componenti alla maggioranza e soltanto 1 alla minoranza. Un quadro sbilanciato, evidentemente. Ma non è il frutto di un golpe. È il risultato democratico determinato da regole e meccanismi democratici, sulla base del voto popolare, espresso peraltro con un’affluenza superiore al 63%.

Al di là della volontà – fin troppo chiara – manifestata dai biancavillesi, va riconosciuto che il nuovo assetto dell’assemblea cittadina, convocata oggi, alle ore 20.30, per l’insediamento, fa emergere conseguenze pratiche e necessità operative che mai prima d’ora si erano verificate. Necessità, nella dialettica e nelle dinamiche consiliari, a cui vanno date risposte immediate.

Un esempio? Per presentare una mozione, il regolamento prevede che l’atto, se si vuole mettere in discussione, debba essere firmato da almeno due consiglieri comunali. Ne deriva che l’attuale minoranza sarà oggettivamente impedita a poterlo fare. Certo, una mozione dà un indirizzo all’amministrazione comunale, ma non pone alcun vincolo: spesso ha solo un valore simbolico o di mera testimonianza.

Non a caso, la prassi, nelle sei consiliature, è che il 99% delle mozioni – anche quelle approvate all’unanimità – siano state poi disattese dalla Giunta e dal sindaco di turno. All’epoca di Pietro Manna, tutti i consiglieri votarono una proposta di Nicola Tomasello e Vincenzo Cantarella per dare la cittadinanza onoraria a Rita Levi Montalcini. L’amministrazione se ne infischiò dell’illustre scienziata Premio Nobel. Stessa sorte, più recente, per la proposta di Alfio Distefano e Dino Asero tesa ad intitolare una via a Peppino Impastato: nonostante l’atto sia passato all’unanimità, nella toponomastica non c’è menzione del militante di Democrazia Proletaria, morto ammazzato per mano mafiosa.

Se è vero che il tenore delle mozioni trattate nell’ultimo quinquennio abbia avuto un livello elementare imbarazzante (inferiore alle discussioni del baby-Consiglio), è innegabile che si tratti di uno strumento utile. Se ben usato, può innescare la discussione in aula, denunciare e dibattere questioni di ampio interesse, porre tematiche all’attenzione dell’opinione pubblica, indicare soluzioni e suggerire un indirizzo (a prescindere dall’effettiva ricezione dell’organo esecutivo).

Una funzione di cui il Partito Democratico, in questo Consiglio Comunale, risulta privato di fatto. Stesso “impedimento” varrebbe in linea teorica per altre due forze mono-rappresentate: Movimento per l’Autonomia e “Noi per Biancavilla”. Ma loro stanno nella comfort zone della coalizione di governo, mentre l’esigenza impellente – lo si comprende facilmente – riguarda la minoranza, dunque il Pd.

Come risolvere questo vuoto? Una maggioranza bulgara, come quella attuale, deve avvertire l’opportunità di mettere mano al regolamento per consentire proposte a firma singola. Nell’attesa della modifica, la coalizione di Bonanno può dare dimostrazione di maturità istituzionale, “prestando” una firma in bianco al consigliere solitario del Pd affinché gli sia consentita la trattazione dell’atto. Resta inteso che poi può essere emendato o anche respinto. Ma la discussione dev’essere garantita. Ebbene sì, il rispetto della minoranza passa anche attraverso… una firma.

Un simile gesto avrebbe più valore di affidare all’opposizione – per garbo istituzionale, secondo le intenzioni del sindaco Bonanno – la vicepresidenza del Consiglio. Una carica inutile sul piano operativo, che non attribuisce alcuna prerogativa supplementare. Un ruolo che entra in esercizio solo quando il presidente è impedito da una febbre autunnale o si allontana dall’aula per andare a fare pipì.

Detto questo – lo sottolineiamo con altrettanta chiarezza – non vediamo pericoli per la democrazia cittadina. Il palazzo comunale, per sua natura, è il luogo più trasparente, nel quale risulta impossibile nascondere o camuffare alcunché. E poi, è facile e fisiologico prevedere, in una maggioranza così larga, la creazione di una “opposizione” intestina.

Non impressioni più di tanto, quindi, la sproporizione del 15-1. D’altra parte, il precedente Consiglio Comunale era partito con ben 5 oppositori, poi ridotti a 3. Ma sono stati gli oppositori più muti e assenti di sempre, al punto da non presentare nemmeno emendamenti al bilancio, che costituiscono l’abc dell’attività consiliare. Un’imperdonabile e scandalosa violazione del patto “sacro” con i propri elettori per un “mandato di opposizione” non esercitato nell’ultima consiliatura (a parte qualche lampo nella fase finale).

Non si usino, perciò, i numeri come alibi di eventuale inconcludenza: dai banchi della destra, a contrapporsi alla prima Giunta Manna, c’era solo Vincenzo Randazzo (oggi diventato assessore), il quale dava filo da torcere con puntuale capacità e martellante presenza, nonostante lo strapotere dell’allora primo cittadino.

Il Pd biancavillese deve, quindi, dimostrare di essere all’altezza del difficilissimo lavoro d’aula, come a parti inverse faceva Alleanza Nazionale quasi trent’anni fa. Ma è bene specificare che il suo vero problema è visceralmente e drammaticamente sociale, prima ancora che politico. È una forza che – fuori dal Palazzo – è chiamata ad una profonda rifondazione per ritrovare l’identità perduta, rimediare alle umiliazioni patite, riconnettersi all’elettorato progressista ed uscire dall’irrilevanza in cui è ridotta (da anni, non da ora). Perché, altrimenti, il passo successivo è l’estinzione.

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San Placido “censurato” nei manifesti: è un ottobre che di sacro ha ben poco

L’uscita silenziosa del fercolo potrebbe essere un segno solidale per i bambini e i civili massacrati a Gaza

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Non è tanto vedere un manifesto in cui pochi appuntamenti amplificano un blu di vuoto, quanto che nella più anonima intestazione di “Ottobre in festa” si oblitera il più specifico e distintivo rimando a San Placido. Tra le ecclesiastiche “Feste patronali” e quelle civili inespresse, ancora quest’anno, si dimentica il laboratorio che la biancavillese “Festa di S. Placido” è stato, dai tempi del Regno delle Due Sicilie e per tutta una centenaria catasta di Almanacchi nazionali e Barbanera. Ce lo ricorda il De Roberto appassionato narratore delle esposizioni universali, che riconosceva ai nostri la primazia nello sperimentare il lancio dei palloni aerostatici, ne va ancora fiero il crispellaio che si autoproduce l’insegna ossequiando la tradizione.

Ci si teneva, allora, alle ricorrenze e ci si è tenuto fino a quando lenzuolate di programma erano l’attesa di nonni e bambini che sillabavano insieme nella lettura. Dispiace, quindi, che non si pensi a chiedere a un noto artista, locale o no (a partire da Dino Cunsolo, per fare un nome) di illustrare con una creazione a tema il più significativo e ricorsivo evento della città, biechi e incuranti di quell’ideale galleria che il tempo ne restituirebbe. Come si possono educare i più giovani alle tradizioni e all’orgoglio dei luoghi, se poi si assiste a così marchiane incuranze? Nota a margine: per zelo e passione ci sarebbe da apprendere dai fedeli del Circolo San Zenone.

Come possiamo festeggiare noi?

Per questo Ottobre 2025, che di sacro ha ben poco, funestato com’è dalle guerre, dall’inefficacia degli organismi internazionali e dagli sporchi interessi dei governi, forse la nostra festa di S. Placido un segnale potrebbe darlo, a partire da un’uscita silenziosa del fercolo alle 12 del 5, quando per ogni biancavillese nel mondo è l’ora X, e a Biancavilla, per un quarto d’ora ininterrotto, la terra trema.

Come possiamo festeggiare noi quando in altri lembi di terra, per lo stesso sordo rumore di deflagrazioni, si è sospesi tra la vita e la morte; quando vediamo ossute e vagolanti sagome di bambini aggirarsi tra le macerie di Gaza? Lo dico, a scanso di equivoci, da biancavillese affezionatissimo allo “sparo”, ma per quest’anno, destiniamo a causa migliore i fondi.

Noi, periferia nel dolore del mondo?

Che il nostro borioso festeggiare non ci renda periferia nel dolore del mondo. E, attenzione, non è religioso, è solo un umano riconnettersi alla migliore tradizione di questa terra: allo scoppio della Prima Guerra Mondiale le donne scesero in piazza per manifestare contro il conflitto, e il locale periodico “La Ronda”, sempre nel 1915, apriva su tutte le colonne con i versi di Vincenzo da Filicaia a sostegno della causa pacifista. Vogliamo ancora sciorinare il refrain che i biancavillesi non capirebbero o che Biancavilla non è pronta? Siamo, per caso, più involuti di 110 anni fa?

Ci resta a consolarci il fatto che la Festa cada in una felice congiuntura stagionale, e che – sempre e comunque – per la sorridente famiglia emigrata questi giorni offrono l’occasione di riunirsi ai parenti e, rigorosamente e ritualmente, esibire il vestito nuovo. E che quando l’ultimo botto del 6 ci congederà da questa bolla magica, San Placido si aggirerà ancora rubicondo per le vie, calcherà i basolati e ci perdonerà da incuranze e miserie, tentando di renderci migliori. Rientra, d’altronde, tra i compiti del Patrono.

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Biancavilla non legge, chiude l’edicola di Danilo Galati: una pessima notizia

«La gente non compra i giornali, preferendo informarsi sui social, e con il Covid le cose sono peggiorate»

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Ogni saracinesca che si abbassa in modo definitivo, qualunque sia l’attività, è sempre una perdita. Ma è la legge del libero mercato, in cui commerciante o imprenditore scelgono di operare con la consapevolezza dei rischi. Quando, però, la chiusura riguarda un’edicola, ogni considerazione non può essere ricondotta alle fredde regole del profitto. A Biancavilla chiude “Cart & Game”, l’edicola-libreria a due passi dal plesso elementare “Guglielmo Marconi”, gestita con professionalità e passione da Danilo Galati. Qualità che evidentemente non sono bastate a resistere nel tumultuoso settore dell’editoria e dell’informazione cartacea, segnato nell’ultimo ventennio da radicali e drammatiche trasformazioni.

«Ormai – racconta Galati a Biancavilla Oggi – la gente non legge più, preferisce informarsi tramite i social, non compra più i giornali e i quotidiani. Dopo il Covid, le cose sono peggiorate. Prima della pandemia c’erano bar e barbieri che tenevano i giornali per metterli a disposizione dei propri clienti. Poi, però, questa abitudine è sparita. L’edicola resta un riferimento soltanto per poche persone con l’abitudine alla lettura o per chi è interessato alle pubblicazioni collezionabili».

Una serie di fattori (non ultimi un’insostenibile tassazione e l’impossibilità a trovare parcheggio nel centro storico) che dopo 12 anni ha spinto Danilo Galati alla drastica decisione. Ci dispiace parecchio, soprattutto in un contesto, quello biancavillese, in cui già altre edicole sono state chiuse: ne rimangono adesso soltanto tre e, presto, potrebbero ridursi a due. Un contesto nel quale, peraltro, spicca l’assenza di una libreria. Un dato sociologico assai indicativo della realtà locale, avvolta nel buio culturale ed intellettuale con una classe dirigente che in ogni ambito (politico, ecclesiastico, scolastico, professionale…) non sente la necessità della lettura, mostrando apatia e indifferenza. Con rare e – ahinoi – insufficienti eccezioni.

La nostra casa editrice Nero su Bianco promuove, da Biancavilla e per Biancavilla, ricerche e progetti culturali nella concretezza di una produzione libraria di qualità. Ma non basta e renderci soddisfatti se ciò che ci circonda tende alla desertificazione.

Ecco perché l’ennesima chiusura di un’edicola a Biancavilla la riteniamo una pessima notizia. Un punto vendita di giornali che scompare significa non solo un punto di ritrovo in meno. Significa anche sottrarre alla comunità un luogo di riferimento culturale e un canale di diffusione di idee e informazione, necessarie alla formazione dell’opinione pubblica e alla vivacità della nostra asfissiata e affaticata democrazia.  

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