Cultura
Santa Lucia, le radici della devozione a Biancavilla nel cuore di dicembre
Un dipinto ottocentesco, una statua, i “carannuli”: il luogo del culto era la chiesa di Sant’Orsola
Nel cuore di dicembre si celebrano i cosiddetti “santi della luce”. Tra questi spicca Santa Lucia, martire siracusana del IV secolo, da secoli invocata come patrona della vista e protettrice degli occhi. A Biancavilla la memoria di Lucia non si limita all’ambito strettamente religioso, ma intreccia elementi di cultura contadina e antiche osservazioni meteorologiche.
Le famose carannuli di Santa Lucia – le calendule – costituivano un vero e proprio calendario popolare: si osservavano con attenzione i dodici giorni precedenti la festa della Santa, oppure quelli compresi tra il 13 dicembre e il Natale, traendone auspici sul clima e sugli avvenimenti dei dodici mesi dell’anno successivo. Non a caso un detto locale diceva: «Di Lucia a Natali, dudici iorna a cuntari».
Il culto nella chiesa di Sant’Orsola
La devozione biancavillese trovava il suo centro nella chiesetta di Sant’Orsola, dove un pregevole dipinto ottocentesco di Giacomo Portale, commissionato da Vincenzo Raspagliesi, raffigura il martirio della Santa. Accanto alla tela si custodiva una statua più semplice, esposta ogni dicembre sull’altare maggiore e ricoperta di ex voto: gioielli, medaglie, soprattutto placche d’argento a forma di occhi, segni tangibili delle grazie ricevute.
Un tempo, nel giorno della festa, la chiesa si riempiva di fedeli che portavano fiori, candele e offerte votive. Alcuni compivano a piedi scalzi il viaggio devozionale per chiedere protezione o ringraziare per miracoli ottenuti, principalmente in caso di malattie oculari. Una religiosità intensa, fatta di gesti semplici ma profondi, purtroppo adesso quasi scomparsa.
Santa Lucia, tra luce e memoria
Dal 2001, in seguito alla dichiarazione di inagibilità della chiesa di Sant’Orsola, opere e suppellettili sono state trasferite principalmente nella Chiesa Madre, dove la festa viene attualmente celebrata. Tra le tradizioni recuperate negli ultimi anni vi è la suggestiva benedizione degli occhi, segno di continuità con il passato e di rinnovata attenzione verso un culto che merita di essere preservato.
A ricordare la devozione di un tempo, una giaculatoria popolare, recitata per generazioni, dice così:
Virginedda gluriusa,
di Gesù siti la spusa.
L’occhi vostri supra ’i mia,
viva viva Santa Lucia.
La figura di Lucia, così profondamente legata alla luce, diventa a Biancavilla un ponte simbolico tra antichi culti solstiziali, tradizioni contadine e fede cristiana. In un periodo dell’anno in cui il sole sembra morire per rinascere, la Santa siracusana ricorda che la luce torna sempre, spesso guidata da gesti umili e da una devozione capace di attraversare le epoche.
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Cultura
La statua misteriosa ritrovata in basilica che rievoca San Nicola e… Santa Claus
Dalla scoperta sensazionale del 2015 alla figura del vescovo da cui trae origine il folklore di Babbo Natale
A dicembre, quando l’autunno inoltrato porta con sé l’odore della legna bruciata e un freddo che preannuncia il Natale, riaffiorano antiche memorie. Tra queste, a Biancavilla, sopravvive appena il ricordo di San Nicola, santo un tempo venerato e oggi quasi inghiottito dall’oblio.
Eppure, scavando fra tradizioni locali e frammenti della nostra storia, affiorano tracce inattese, capaci di risvegliare un culto assopito. Lo spunto ce lo dà la scoperta sensazionale nel novembre 2015, avvenuta nella basilica di Biancavilla. Una statua dentro un’altra, che ci rimanda a San Nicola di Mira, figura da cui l’immaginario ha creato… Santa Claus e il nostro Babbo Natale. Come è piccolo il mondo. Una storia da leggere e raccontare.
Una statua nella statua
Il mistero si accese quando la statua in cartapesta di un altro santo, San Biagio, venne portata nel laboratorio della ditta Calvagna di Aci Sant’Antonio per un intervento di restauro, finanziato da Antonio Zappalà, biancavillese legato per tradizione familiare al santo taumaturgo. I lavori sembravano ordinari, ma il restauratore – con meraviglia – si accorse che all’interno del simulacro si nascondeva un’altra statua. Le immagini di quello svelamento furono pubblicate da Biancavilla Oggi e le riproponiamo nel video sopra.
Da quel momento prese avvio un delicato processo di separazione delle due opere. Fu smontata con pazienza la figura di San Biagio, ricomponendola in seguito, per liberare l’immagine ignota celata al suo interno: un simulacro ligneo privo di braccia e volto, bisognoso di studio e identificazione.
Dopo quasi tre anni di analisi e restauro, conclusi nell’agosto 2016, quella figura mutila assunse nuovamente fattezze umane. Le parti mancanti furono ricostruite con elementi mobili e gli studiosi giunsero a un’ipotesi sorprendente: la statua era con ogni probabilità dedicata a San Nicola di Mira.
Quell’indizio del XVII secolo
L’interpretazione trovò sostegno in un documento antico. Nella visita pastorale del 1602 compiuta a Biancavilla, infatti, compare l’inventario di una «imago S. Nicolai noviter constructa…», una «immagine di San Nicola da poco costruita».
Che fosse proprio quella ritrovata nel 2015 dentro il simulacro di San Biagio? Alcuni elementi sembrano suggerirlo, mentre altri aprono a scenari diversi, forse legati a un’altra devozione ormai scomparsa. Il mistero, come spesso accade nella storia locale, rimane affascinante e aperto.
Il Santo divenuto il volto del Natale
San Nicola di Mira, vissuto tra III e IV secolo, è una figura chiave dell’immaginario cristiano e popolare. È da lui che trae origine la metamorfosi folklorica del moderno Santa Claus, divenuto in Italia “Babbo Natale”. La leggenda racconta che il vescovo Nicola, per salvare tre fanciulle povere dal destino della prostituzione, portò di nascosto alla loro casa sacchi di viveri e denaro. Questo gesto di carità gettò il seme della tradizione dei doni natalizi.
La diffusione dell’immagine attuale, l’anziano barbuto e paffutello vestito di rosso, risale al poema A Visit from St. Nicholas (1821) di Clement C. Moore, divenuto poi un’icona planetaria.
San Nicola è patrono di bambini, marinai, nubili, viaggiatori, prigionieri e di chiunque invochi protezione nelle necessità. La sua festa del 6 dicembre, che anticipa il Natale, è celebrata ancora in diversi comuni dell’area etnea.
San Nicola e la supplica a Biancavilla
A Biancavilla, invece, il suo culto sopravvive oggi solo nei ricordi e in qualche tenue traccia culturale. Fra queste, rimane una piccola, preziosa testimonianza: una preghiera popolare, un tempo recitata dalle giovani in cerca di marito, che conserva l’aroma della devozione spontanea:
San Nicola gluriusu,
preju a vui di cca jusu;
jù mi vogghiu maritari,
pirchì sula nan pozzu stari.
Vui sta razia m’ata a fari,
prestu m’ata cunsulari.
La parola mia è sincera,
ascutati sta priera.
Lu ma cori cunsulati,
ccu la vostra caritati.
Una supplica semplice e genuina, che rivela quanto profondamente il santo fosse radicato nella cultura affettiva del paese.
Il ritrovamento del simulacro ligneo, sottratto al silenzio della sua prigione di cartapesta ed esposto dopo l’intervento di restaurato nell’agosto 2018, potrebbe rappresentare l’occasione per riflettere sull’antica presenza di San Nicola a Biancavilla. A volte è proprio ciò che viene alla luce per caso a rivelare ciò che una comunità ha dimenticato di sé.
Tra storia, fede e mistero, la figura del santo torna così ad affacciarsi nella memoria collettiva: forse non per reclamare un culto, ma per ricordare che la tradizione è fatta di segni nascosti, affidati alla cura di chi li sa ascoltare.
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Cultura
Biancavilla alle origini e Santa Caterina: a lei gli albanesi dedicarono la chiesa
Solo 70 anni dopo la venuta dei profughi, il titolo dell’edificio sacro fu dato alla Madonna dell’Elemosina
Biancavilla e Santa Caterina d’Alessandria: un legame che ci porta alle nostre origini. Una figura di straordinaria sapienza e coraggio, il cui culto è attestato in contrada Callicari dopo l’arrivo degli albanesi. Un manoscritto del 1849 conservato nell’Archivio della Matrice attesta che, quando tra il 1480 e il 1486 la colonia di profughi fondò il nuovo insediamento sul territorio etneo, decise di erigere la prima chiesa del paese e di dedicarla proprio alla martire alessandrina: «…alzò picciola chiesa sotto titolo di S. Catarina la Martire, ove all’Immacolata Signora della Limosina Protettrice e al glorioso S. Zenone martire Greco […] avesse i rispettivi altari».
Questa scelta non fu casuale. Per quei primi abitanti, la giovane martire del IV secolo era modello di sapienza, fede salda e dignità personale: qualità capaci di accompagnare la nascita di una comunità giovane e orgogliosa delle proprie radici. Non sorprende che nei registri più antichi di Biancavilla (dal 1599 in poi) compaiano numerose donne chiamate Caterina, Catarina o Catarinella, segno di una devozione viva e diffusa.
La chiesetta originaria sorgeva probabilmente nell’area in cui oggi si trova la Cappella di San Placido, orientata verso il sorgere del sole secondo l’uso orientale. Lì i coloni albanesi celebravano la liturgia secondo il rito greco-bizantino, intonando antichi inni sacri, le cui melodie riportavano alla memoria la patria lasciata oltre il mare.
Circa settant’anni dopo la fondazione, la chiesa mutò titolo e fu dedicata alla Madonna dell’Elemosina, come chiesto nel 1552 dal cappellano Bernardino De Castelli al vescovo di Catania Nicola Maria Caracciolo. La visita pastorale del 1555 conferma che il cambio era già avvenuto. Tuttavia, il nucleo primitivo dell’attuale basilica – la maestosa Chiesa Madre che domina oggi il centro storico – nacque proprio come “chiesetta di Santa Caterina”. Un dato che conferma la profondità e l’antichità del culto della martire a Biancavilla.
La sua statua nel prosetto della basilica
Nonostante il cambio di titolazione, la memoria di Santa Caterina non è mai del tutto scomparsa. Oggi la sua immagine sopravvive in tre significative rappresentazioni. La sua statua si trova a destra del prospetto principale della Basilica (opera dell’architetto Carlo Sada), dove la Santa appare con la ruota dentata spezzata, simbolo della vittoria sulla violenza e sull’ingiustizia. Troviamo la sua immagine anche in una tela di autore ignoto, esposta nella navata sinistra della Basilica. E ancora, in una delle quattro icone del maestro Antonio Schiavone, raffigurata accanto agli altri santi tutelari della città: Placido, Zenone e Agata.
Sono presenze discrete, ma eloquenti: testimoniano come il culto di Caterina, pur trasformandosi nel tempo, continui a intrecciarsi con la storia, le architetture e la memoria religiosa di Biancavilla.
Emblema di coraggio femminile
La Chiesa ricorda Santa Caterina d’Alessandria il 25 novembre come figura di straordinaria sapienza e coraggio. Secondo la tradizione, Caterina era una giovane nobile e istruita. Rifiutò di compiere sacrifici agli dèi pagani e invitò il governatore romano a convertirsi al cristianesimo. L’uomo, affascinato dalla sua intelligenza e dalla sua bellezza, tentò di convincerla a sposarlo. Al suo rifiuto reagì con brutalità: la condannò alla tortura della ruota dentata che – narra la leggenda – si spezzò miracolosamente senza toccarla. Caterina venne infine decapitata, testimoniando con il sangue la libertà del suo pensiero e della sua fede.
In lei si intrecciano una forza morale e una dignità femminile che non si piega al sopruso. Una donna che subì violenza, ma che nel tempo è divenuta, per i cristiani, emblema di libertà interiore e lucidità spirituale. La ruota spezzata (rappresenta anche sulla facciata della basilica di Biancavilla) è il segno visibile di questa eredità: un simbolo che attraversa i secoli e che continua a parlare alla città con la stessa limpidezza delle sue origini.
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