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Cronaca

Appetiti criminali sulle ambulanze divisi tra “biancavilloti” e “durnisi”

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di Vittorio Fiorenza

Gli appetiti criminali sul business del trasporto privato in ambulanza da accaparrare attraverso i pazienti, morti o in fase terminale, usciti dall’ospedale “Maria Santissima Addolorata” di Biancavilla. Ben prima dello scoop de “Le Iene” e dell’apertura di un fascicolo sulla cosiddetta “ambulanza della morte”, gli atti della Procura della Repubblica di Catania avevano puntato i riflettori su certi movimenti e su certe losche presenze attorno alla struttura sanitaria del centro etneo.

Non si era arrivati a scoprire il lavoro sporco e disumano di ambulanzieri senza scrupoli, che con iniezioni di aria nelle vene, uccidevano pazienti in fin di vita per ottenere un “funerale assicurato” con relativa “provvigione” di 200-300 euro. Ma che ci fosse un giro d’affare criminale con i servizi in ambulanza, lo si è accertato con gli ultimi blitz effettuati dai carabinieri della compagnia di Paternò e della stazione di Biancavilla.  Le operazioni “Onda d’urto” del dicembre dello scorso anno e “Reset” dello scorso aprile sono, di fatto, le basi da cui si è arrivati alla “terza puntata” con l’arresto del 42enne adranita Davide Garofalo, uno dei presunti “ambulanzieri della morte”.

I due blitz avevano squarciato per la prima volta gli intrecci del settore delle pompe funebri con l’arresto di una ventina di personaggi, tutti accusati di estorsione ai danni dell’agenzia funebre Arena, i cui titolari –una volta superati dubbi e tentennamenti– avevano fatto una scelta di campo con una determinante e convinta collaborazione (i fratelli Luca e Giuseppe sono oggi testimoni di giustizia e seguono un programma di protezione in località segrete fuori dalla Sicilia). Ma sono state anche due operazioni che hanno permesso di fare luce sulle ambulanze private che stazionavano attorno al presidio ospedaliero “Maria Santissima Addolorata”.

«Ca a Biancavilla semu, nan semu ad Adranu. U viaggiu, unu u fai tu e unu c’iu fai fari a iddu». L’intercettazione ambientale è stata captata in una sala giochi di Biancavilla lo scorso febbraio ed è inserita tra le carte dell’inchiesta “Reset”. L’audio riporta la conversazione tra un personaggio orbitante nel clan biancavillese e Giuseppe Arena, la cui agenzia funebre era in possesso pure di un’ambulanza. La conversazione avuta indicava le condizioni a cui l’impresa doveva sottostare perché potesse continuare il servizio, rispettando gli equilibri tra il clan di Biancavilla (o meglio quelle frange che erano rimaste dopo i ripetuti blitz degli ultimi anni) ed i “rappresentanti” del clan Santangelo di Adrano. Disposizioni per dividere il business del trasporto in ambulanza. Anzi, nelle previsioni dei gruppi criminali, con l’apertura del nuovo plesso ospedaliero, il “lavoro” sarebbe aumentato e l’obiettivo dei “biancavilloti” sarebbe stato quello di estromettere dal giro i “durnisi”.

Piani e propositi saltati dopo gli arresti. In totale, le due retate avevano coinvolto 20 soggetti. Per tutti le contestazioni riguardano l’imposizione del pizzo con l’aggravante di avere agito con il metodo mafioso. Per sette di loro, che hanno seguito il rito abbreviato, è già arrivata la sentenza di primo grado: due mesi fa, il Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Catania, Giuliana Sammartino, li ha condannati complessivamente a sessant’anni di carcere, oltre a 50mila euro di multe ed al risarcimento nei confronti delle parti civili, stabilito in via provvisionale in 100mila euro. Altri nove imputati stanno seguendo, invece, il rito ordinario. Le prossime udienze sono state fissate a gennaio (per gli arrestati di “Reset”) e a febbraio (per quelli arrestati in “Onda d’urto”). Per ulteriori quattro imputati pende ancora la richiesta del pubblico ministero Andrea Bonomo di rinvio a giudizio, che verrà esaminata nel marzo del 2018.

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Cronaca

Aggredisce e minaccia la madre: «Ora t’ammazzo», arrestato un 35enne

Intervento dei carabinieri, a seguito di un’accorata richiesta di aiuto di una donna maltrattata

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La telefonata ai carabinieri è arrivata da una casalinga 63enne. Un’accorata richiesta di aiuto. Ancora una volta, la donna era stata picchiata dal figlio, che pretendeva denaro per l’acquisto di alcol, droga o giocare ai video poker. Immediato l’intervento dei militari: arrestato un 35enne per maltrattamenti contro familiari ed estorsione.

Appena arrivati nell’abitazione, i carabinieri hanno trovato la donna attorniata dai familiari, marito e tre figli, tra cui il 35enne. La donna, che sin dà subito è apparsa emotivamente provata, pur non volendo affidarsi alle cure dei sanitari, nonostante mostrasse i segni delle percosse, soprattutto sulle braccia e sul collo, ha comunque deciso di confidarsi con i militari, raccontando quanto appena accaduto.

Dalla ricostruzione dei fatti, è quindi emerso come il figlio avrebbe da lei preteso l’ennesima somma di denaro, questa volta di 30 euro, che sarebbe riuscito ad ottenere solo dopo averla aggredita. In quel frangente, provvidenziale sarebbe stato l’intervento del padre 70enne, che in difesa della moglie, sarebbe intervenuto bloccando l’uomo.

Il 35enne, a quel punto, soddisfatto, dopo essere uscito per alcune ore, sarebbe rincasato solo in serata, completamente ubriaco, dando il via ad un nuovo litigio. Dopo aver fatto cadere una bottiglia di birra sul pavimento, si sarebbe infatti nuovamente scagliato contro la povera madre, dandole la colpa dell’accaduto. La reazione dell’uomo sarebbe stata minacciosa: «Colpa tua se la birra mi è caduta a terra, ora t’ammazzo». E poi si sarebbe scagliato contro una porta, danneggiandola insieme ad altre suppellettili.

Effettivamente, anche alla presenza dei militari, il 35enne non si è calmato, proseguendo anzi con le minacce alla madre: «Appena torno (dal carcere) t’ammazzo».

La donna aveva già presentato una denuncia nei confronti del figlio per analoghi fatti. Motivo per cui, i carabinieri hanno stavolta arrestato il 35enne, trasferendolo nel carcere di piazza Lanza, a Catania.

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