Cultura
Un’epigrafe, un convegno e una tesi di laurea dedicati a Gerardo Sangiorgio
Biancavilla celebra il centenario della nascita dell’intellettuale e letterato sopravvissuto ai lager

A cent’anni dalla nascita di Gerardo Sangiorgio, intellettuale antifascista sopravvissuto ai lager nazisti, Biancavilla lo ha ricordato con una lapide posta sulla facciata della sua abitazione ed un convegno a Villa delle Favare.
La targa commemorativa è stata svelata dal sindaco Antonio Bonanno e dalla prof. Maria Cuscunà (vedova Sangiorgio) con i figli Placido e Rita.
Sulla lastra marmorea è stato scritto: «In questa casa visse e operò Gerardo Sangiorgio (1921-1993). Poeta di alta dignità umana, fine intellettuale, giusto nel buio della storia. Il suo esempio è sale della terra. He stands as a beacon of the everling spirit of authentic poetry and true humanism. La città nel centenario della nascita».
Parole estrapolate da pensieri che intellettuali italiani e stranieri (Consolo, Tabucchi, De Luca, per finire con il famoso critico americano Harold Bloom) dedicarono a Gerardo Sangiorgio, definito “poeta struggente”. Un uomo, un insegnante, un intellettuale che dedicò la sua vita, promuovendo i valori di libertà e fratellanza, di democrazia e tolleranza, sempre aggrappato alla fede cristiana, mai lasciata, nemmeno durante l’orrore della sua prigionia.
Per l’occasione, un indirizzo di saluto alla famiglia di Sangiorgio è arrivato anche da Palazzo Chigi, a nome del presidente del Consiglio Mario Draghi. E come ha anticipato Biancavilla Oggi, un messaggio è arrivato pure dalla senatrice a vita Liliana Segre, superstite dell’Olocausto e testimone della Shoah.
Alla cerimonia, organizzata dall’assessore alla Toponomastica e vice sindaco Nino Finocchiaro, ha partecipato il prof. Salvatore Borzì. Autore di numerosi testi dedicati a Sangiorgio, collaboratore di Biancavilla Oggi, per la nostra casa editrice Nero su Bianco ha scritto “Internato n. 102883/IIA” e ha curato “Una vita ancora più bella”. È toccato a lui tracciare un profilo culturale di Sangiorgio.

Sangiorgio nell’evento della Pro Loco
Lo stesso Borzì è intervenuto poi al secondo momento dedicato a Sangiorgio. Un convegno a Villa delle Favare dal titolo “Nel tepore di un dolce sorriso”.
Iniziativa culturale volta a valorizzare la figura dell’intellettuale biancavillese, «testimone delle prigionie nazifasciste e dall’intelletto carismatico». Così l’ha definito la Pro Loco di Biancavilla con il presidente Francesco Di Mauro, che ha promosso l’evento.
Per l’occasione sono intervenuti personalità illustri, quali il prof. Nicolò Mineo, critico letterario e docente emerito dell’Università degli Studi di Catania; il prof. Franco Contorbia, docente emerito dell’Università di Genova; il prof. Luciano Zani, docente ordinario dell’Università Roma Uno; la prof.ssa Cinzia Emmi e la prof.ssa Grazia Messina. Ha moderato l’incontro, con collegamenti online, Margherita Maria Messina, socia della Pro Loco. Presente l’assessore Finocchiaro.
A seguire i vari interventi anche una rappresentanza di studenti dell’Istituto Industriale di Biancavilla, accompagnata dalle prof.sse Valeria Calabrò e Grazia Russo. A chiudere il convegno è stato Placido Sangiorgio, figlio di Gerardo.
Sangiorgio nella tesi di Maria Rita Neri
Coincide con il centenario della nascita di Sangiorgio anche la discussione di una tesi di laurea su di lui incentrata, discussa da Maria Rita Neri per il corso magistrale in “Letteratura, lingua e cultura italiana” dell’Università eCampus. Il titolo della tesi è “Per un’analisi della produzione poetica di Gerardo Sangiorgio, intellettuale siciliano del Novecento”.
Neri si sofferma, in particolare, sui temi della produzione poetica di Sangiorgio: la fede, l’amore, lo scorrere del tempo e la memoria del passato, la famiglia, la natura. E poi passa alle fonti di ispirazione: Dante Alighieri, Ugo Foscolo, Giacomo Leopardi, Charles Baudelaire, Giovanni verga, Giovanni pascoli, Guido Gozzano, i Vociani, Giuseppe Ungaretti, Eugenio Montale, Gesualdo Bufalino e Primo Levi. Diverse, poi, le poesie sottoposte da Neri ad analisi.
Maria Rita Neri ha già in passato soffermato la sua attenzione nello studio della figura e delle opere di Sangiorgio. Così spiega il suo interesse culturale: «Il racconto su Gerardo Sangiorgio da parte di persone a me care, quali i miei genitori, che lo hanno conosciuto personalmente, ha acceso in me il desiderio di volerne approfondire la conoscenza. Fu così che, in occasione della stesura della tesi triennale, mi sono approcciata a questa figura poliedrica, ricca di doti umane e poetiche. Con la tesi triennale, dal titolo “Estri e virtù di un letterato di provincia: Gerardo Sangiorgio”, ho voluto mettere in luce il pensiero del poeta sul tema delle virtù e dei valori da lui cantati e vissuti».
«Attraverso questo mio primo studio, quindi, ho potuto conoscere –spiega ancora Neri– un uomo di grande levatura intellettuale e morale. Tale scoperta mi ha entusiasmata a tal punto da volerne approfondire la conoscenza sotto il profilo stilistico e compositivo. L’occasione mi è stata data dalla stesura della tesi magistrale. Per sviluppare questo mio lavoro ho riletto tutta la sua produzione poetica, cercando di analizzarne, oltre ai contenuti, la struttura, la musicalità e il ritmo, le immagini».
«Sangiorgio –conclude Maria Rita Neri– nelle sue poesie tratta i temi di sempre in modo originale, ricco, ricercato ed elegante. Scrive per comunicare sentimenti, emozioni, pensieri, scrive per dilettare il lettore, ma anche per proporre temi altamente educativi. Può considerarsi, a mio modesto parere, un intellettuale siciliano di spicco del Novecento, da leggere, da studiare e a cui riservare un piccolo spazio nella storia della letteratura italiana del Novecento».

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Cultura
I mortaretti innescano il conto alla rovescia: un mese e… sarà San Placido
Il 5 settembre, una data simbolo: Biancavilla verso la grande festa (religiosa e civile) per il suo patrono

Austu cucina e sittembiri minestra: un proverbio che in poche parole racconta la saggezza contadina di chi sapeva leggere il ritmo delle stagioni. Agosto offre il raccolto, settembre lo mette in tavola. È l’inizio autentico dell’anno contadino, civile e religioso. E qui, il tempo ha un ritmo preciso. A Biancavilla, questo passaggio è segnato ogni 5 settembre da un evento tanto simbolico quanto atteso: lo sparo dei mortaretti per annunciare che trasìu u misi a San Prazzitu. È il primo segnale che risveglia la memoria della comunità e dà il via a un conto alla rovescia carico di attesa e significato: tra un mese esatto sarà la festa di San Placido.
Preparativi antichi, attese senza tempo
Un tempo, questo giorno era l’avvio concreto dei preparativi, delle contrattazioni, l’inizio di una mobilitazione corale. Si montavano le logge di legno per ospitare i firanti della grande fiera, si stipulavano accordi con mastri pirotecnici e bande musicali, si allestivano le impalcature per le luminarie che avrebbero adornato le vie principali e il palco in piazza. Il campanile della matrice veniva costellato da migliaia di lucine elettriche che si sarebbero accese nei giorni di festa, rendendolo visibile anche nelle ore notturne, come una magia. A sostenere tutto questo non era l’amministrazione comunale, che si limitava a pochi contributi essenziali, ma la devozione popolare, organizzata dalla Confraternita del SS. Sacramento, i cui confrati passavano di casa in casa, nelle botteghe e nei circoli a raccogliere offerte. Era il popolo stesso a “costruire” la festa.
Nel frattempo, anche nelle case ci si preparava con la stessa intensità. Le donne cucivano abiti nuovi da sfoggiare nei giorni solenni, mentre gli uomini, aiutati da tutta la famiglia, mmazzavano ’u porcu allevato in casa per un anno intero cch’i favi e a canigghia. Niente era lasciato al caso. Anche il cibo, come i vestiti e i gesti, aveva un significato rituale: era memoria, sacrificio e condivisione.
I “doni” di settembre
Settembre portava altri doni. Nelle campagne si cutulavano le mandorle, un tempo abbondanti nel nostro territorio. Poi, in famiglia, si sgusciavano, si separavano dal mallo e si essiccavano al sole davanti agli usci e nei cortili. Infine si conservavano per durare tutto l’anno.
Nei vigneti a nord del paese, la vendemmia era una festa vera, fatta di fatica e gesti rituali. Famiglie intere si riunivano nei filari, assegnandosi ruoli e compiti precisi, tra animali da soma, cesti pieni d’uva e canti popolari. Era il trionfo della cooperazione e della fatica condivisa.
Oggi tutto è più veloce e last minute: con internet, tablet e smartphone gli eventi vengono pianificati e pubblicizzati via social e quel tempo lento e solenne sembra lontano. Eppure, settembre conserva ancora un’aura speciale: è il mese in cui si ritorna alla normalità dopo la sospensione estiva, si riprende la scuola, il lavoro, la vita sociale e la programmazione ecclesiale. A Biancavilla, invece, è ancora soprattutto il periodo prima di San Placido. Un mese che non guarda solo al futuro, ma affonda le sue radici in una memoria collettiva che ha plasmato l’identità del paese.
Una devozione con radici profonde
La figura di San Placido, monaco benedettino e martire, è da oltre quattro secoli il fulcro della devozione biancavillese. La tradizione vuole che, nel 1588, dopo il ritrovamento del corpo del santo a Messina, le sue reliquie venissero portate in processione nei principali centri della Sicilia. Il carro che trasportava le sacre spoglie aveva appena fatto tappa al monastero di Santa Maria di Licodia ed era diretto ad Adrano, senza fermarsi a Biancavilla, allora piccolo borgo di povera gente. Ma, giunto al confine tra i due territori, accadde qualcosa di prodigioso: il mulo si arrestò, impuntandosi, e nonostante ogni sforzo non volle più muoversi. Fu interpretato come un segno: il santo desiderava restare lì. Quel punto prese il nome di pidata di San Prazzitu, la pedata di San Placido.
È solo una leggenda – tramandata anche da Giuseppe Pitrè e di cui esistono più varianti – ma, come spesso accade, la forza del mito vale quasi quanto la verità storica. In essa si riconosce il bisogno della comunità di sentirsi scelta, benedetta, parte di una storia più grande. San Placido non è solo il protettore celeste, ma il simbolo di un’identità che ha saputo unire fede, lavoro, sacrificio e speranza. E anche se i tempi cambiano, settembre resta il mese in cui Biancavilla si raccoglie attorno alla sua memoria più viva. È il mese in cui il cielo si fa più terso, le prime piogge fecondano la terra e ogni cosa sembra ricominciare il suo ciclo. Ecco perché, ogni anno, quando i mortaretti del 5 settembre rompono il silenzio, non si annunciano solo dei preparativi: si riaccende il cuore pulsante dell’intera comunità.
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Cultura
Mulini ad acqua, Bonanno: «Sì al loro recupero con un progetto partecipato»
Ok del sindaco all’idea lanciata da “Biancavilla Oggi”: oltre 40 anni fa la denuncia di Antonio Zappalà

«Accolgo con favore l’iniziativa. Sono davvero felice di vedere l’attenzione che si focalizza sui mulini ad acqua di Biancavilla, veri e propri monumenti inconsapevoli da tutelare. La proposta di creare un “percorso dell’acqua” per recuperare e valorizzare questi ruderi è un’idea meravigliosa che potrebbe portare benefici culturali, turistici ed educativi alla nostra città».
Lo dichiara il sindaco Antonio Bonanno, in riferimento all’articolo a firma di Filadelfio Grasso, pubblicato su Biancavilla Oggi, sulla storia dei mulini ad acqua, per i quali si propone un’azione di recupero in modo da inserirli in un itinerario culturale, turistico ed educativo.
«È un’opportunità per riscoprire il nostro passato. Ricordo – aggiunge Bonanno – che già nella zona è in corso un intervento di rigenerazione urbana che sta interessando la Fontana Vecchia, l’ex Macello e l’installazione del basolato lavico sino alla via Inessa e all’incrocio con la via dei mulini ad acqua. Purtroppo, i fondi non sono stati sufficienti per comprendere anche la parte dei mulini, ma credo che questo sia un ottimo punto di partenza per proseguire il lavoro. Sarebbe interessante conciliare la proposta con il progetto di rigenerazione urbana di Antonio Presti, che attraverso un momento partecipativo nella nostra Biancavilla ha individuato la “Via dei Mulini” e la Fontana vecchia come “Belvedere dell’anima“».
Il sindaco: «Coinvolgerò gli studiosi locali»
Si tratta, dunque, di avviare un iter partecipato con contributi di idee e intercettare poi i necessari fondi. «Condivido pienamente l’idea di avviare una progettazione partecipata insieme a studiosi e storici della nostra città. Mi farò carico – specifica ancora il sindaco – di coinvolgere Filadelfio Grasso e Enzo Meccia di “SiciliAntica”, che hanno sempre mostrato attenzione e spirito propositivo. Sarò felice di coinvolgere anche chiunque altro vorrà dare un contributo. Spero che questa iniziativa possa essere un’opportunità per riscoprire il nostro passato e dare un senso nuovo a luoghi simbolo della nostra città».
Nel 1983 su “Callicari” l’appello di Antonio Zappalà
La tutela dei mulini ad acqua, ormai ridotti a ruderi fagocitati dallo sviluppo urbano, è un grido che già molti anni fa si è levato forte. Il primo a denunciare lo stato di abbandono e chiedere interventi di recupero è stato Antonio Zappalà. Lo studioso di storia e tradizioni locali, infatti, già nel 1983, all’epoca del ciclostile, ne scriveva su “Callicari”. Sul periodico parrocchiale della chiesa madre, a sua firma, erano state pubblicate diverse pagine nella rubrica “C’è da salvare” con un’uscita dedicata proprio ai mulini.
«Tentativi di recupero in tal senso – evidenziava Zappalà – sono stati fatti con ottimi risultati nel Nord Italia, dove strutture del genere sono state opportunamente ripristinate per servire veri e propri “Musei della civiltà contadina e rurale” o destinate a “Centri per attività culturali”».
«Mi domando a questo punto: perché non fare un serio tentativo anche qui a Biancavilla?», si chiedeva Zappalà. «Un immediato vantaggio – aggiungeva – potrebbe trarne il quartiere Sant’Orsola, che disporrebbe così di una struttura sociale per attività culturali e ricreative, nonché di un ampio spazio circostante da destinare a verde pubblico, di cui avrebbe bisogno».
Da qui l’appello di Antonio Zappalà rivolto al Comune: «Con la viva speranza di un pronto interessamento da parte della Giunta municipale, rivolgo un particolare invito all’assessore preposto ai Beni culturali, affinché intervenga presso le autorità competenti prima che il cemento e l’incuria del tempo soffochino e trasformino questa testimonianza del passato cara ai biancavillesi». Un appello che, a distanza di oltre 40 anni, rinnovato adesso da Biancavilla Oggi, attende ancora una risposta.
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